La storia del presunto Caravaggio di Odessa in restauro a Kiev
La “Cattura di Cristo”, rubata nel 2008 dal museo di Odessa, ritrovata due anni dopo e ora nelle mani dell’Istituto di restauro ucraino di Kiev, è al centro delle riflessioni della storica dell’arte e restauratrice Giulia Silvia Ghia e di Nataliia Chechykova.
È in corso in questi giorni, presso il laboratorio di restauro di Kiev, un intervento conservativo su una tela la cui storia ho conosciuto grazie agli studi di Nataliia Chechykova per la sua tesi di laurea, di cui sono stata co-relatrice, presso l’Università di Ferrara. La storia è alquanto complessa e avvincente e potrebbe portare a conclusioni sorprendenti e inaspettate. Si parte da una Parigi di fine secolo, poi il passaggio del dipinto in Russia, la Rivoluzione a Odessa del 1917, il bombardamento e l’occupazione del 1941 da parte delle truppe rumene e naziste, la restituzione dell’opera al museo di Odessa nel 1945, un primo restauro nel 1951 seguito da un secondo nel 2008. Fino al furto su commissione nel 2008, con l’esecuzione del taglio della tela dal telaio e il suo ritrovamento nel 2010. Dopo nove anni di sequestro, il dipinto ora è nelle mani dei restauratori del laboratorio di Kiev, che ne stanno avendo cura soprattutto per far ri-aderire la tela rimasta sul telaio a quella asportata con il taglio. Per fare luce sulle vicende ho intervistato chi le ha ricostruite. Nataliia Chechykova è nata a Odessa, in Ucraina, e perciò conosce questo dipinto sin da bambina. Assidua frequentatrice del museo di Odessa fin da piccola con la scuola e poi come insegnante, si è particolarmente appassionata al “Caravaggio di Odessa”, come veniva comunemente chiamata la Cattura di Cristo.
LA VICENDA DELLA CATTURA DI CRISTO
“Questo quadro ha avuto una storia decisamente tormentata” – racconta Nataliia – “e un’uscita dall’Italia ancora non definita. La prima citazione la si trova nel catalogo di un’asta svoltasi nel 1868 a Parigi, il suo proprietario è un grande collezionista russo di origini ucraine, Alexander Petrovich Basilewsky. In questa asta è attribuito a Caravaggio (Michel-Ange) e il suo titolo è “Le Baiser de Judas”. La mia ricerca di questi anni non è ancora riuscita a determinare in maniera certa come Alexander Basilewsky sia venuto in possesso della tela. L’ipotesi più probabile è che Basilewsky l’acquistò proprio a Parigi. Nel 1859, infatti, nove anni prima dell’acquisto di Basilewsky, nell’asta della collezione post mortem del Conte Bertalazone d’Arache, un collezionista piemontese, fu messo in vendita un “Baiser de Juda” attribuito però a Gerrit Van Honthorst (Gherardo delle Notti).
Qualche anno ancora prima, nel 1853, in un’altra asta, quella delle proprietà dell’Accademico di Francia e pittore Sebastien De Rouillard appare un altro “Baiser de Judas”, attribuito in questo caso proprio a Michel-Ange de Caravage.
Queste date coincidono stranamente con la scomparsa di un dipinto di Gherardo delle Notti proprio intorno alla metà dell’Ottocento, che secondo le descrizioni delle guide italiane e straniere si trovava nella quarta sala di Palazzo Barberini-Colonna. Il dipinto veniva per lo più descritto come “Nostro Signore arrestato da’ soldati, nel momento più scuro della notte; vi è un soldato che tiene in mano una lanterna, la luce della quale illumina meravigliosamente tutto il quadro”. Tali citazioni terminano proprio intorno agli Anni Cinquanta di quel secolo.
Nel 1870 il dipinto fu regalato da Basilewsky al fratello dello Zar, Vladimir Alexandrovich Romanov, in quanto egli stesso aveva intrapreso un altro filone collezionistico con l’aiuto dell’amico Alfred Darcel. Il gran Principe, ottenuto un dono di rilevante importanza, lo fece prima esporre e poi lo donò all’Accademia delle Belle Arti di San Pietroburgo, con il titolo de “Il Tradimento di Giuda Iscariota”. Nel 1916 la tela fu trasferita insieme ad altre ventotto, tutte creazioni dei più grandi maestri europei, al museo della città di Odessa, nell’ambito di un potenziamento della struttura museale della città che nel frattempo era diventata la quarta dell’impero, ed era considerata la porta principale dei commerci esteri del Paese. Il quadro non ha avuto in Russia una vita facile: appena arrivato a Odessa, la città è stata investita in pieno dalla Rivoluzione del 1917 e dalla successiva guerra civile. Odessa fu conquistata e persa dall’Armata rossa più volte. Durante il conflitto mondiale degli Anni Quaranta la città fu bombardata pesantemente e poi occupata nel 1941 dalle truppe rumene e naziste. Il quadro, in maniera inspiegabile, non era nell’elenco della maggior parte delle opere d’arte del museo di Odessa messe in salvo con un trasferimento verso est. Del quadro non si seppe più nulla, se non quando venne “miracolosamente” riconsegnato dalla Chiesa Cattolica Romana alle autorità sovietiche nel giugno del 1945, ben quattordici mesi dopo la liberazione della città”.
CARAVAGGIO DI ODESSA. DAL RESTAURO AL FURTO
“Le condizioni del quadro, dopo le numerose vicissitudini, erano pessime. Soltanto nel 1951 fu trasferito a Mosca, all’Istituto Grabar, per un profondo lavoro di restauro che durò ben quattro anni. Le fotografie visionate del prima e dopo il restauro sono impressionanti. Già durante quel primo intervento, il quadro fu sottoposto alle prime radiografie. Nel 1993, dalle ricerche condotte dalle studiose Cappelletti e Testa, venne trovato un documento di pagamento di dodici scudi da parte di Asdrubale Mattei al pittore Giovanni D’Attili, datato 3 settembre 1626, per la realizzazione di una copia della “Cattura di Cristo”. Da questo momento in poi gli studiosi attribuirono a D’Attili il dipinto di Odessa senza un vero e proprio motivo. Nel 2006 fu realizzato, sulla tela, un secondo intervento conservativo di pochi giorni, a cura dell’Istituto di restauro di Kiev, che diede però l’opportunità ai tecnici di effettuare una serie di analisi fotografiche e radiografiche. Le indagini probabilmente avevano fatto comprendere che non vi potevano essere troppi dubbi sull’attribuzione, tanto che nel 2008 il dipinto fu rubato dal museo di Odessa. Un furto apparentemente su commissione, dato che non furono forzate né porte né finestre e fu rubata solo quest’opera, purtroppo tagliandola dal telaio lungo il suo perimetro. Fortunatamente la tela fu ritrovata due anni dopo, nel 2010, a cui seguirono anni di sequestro a cura delle autorità giudiziarie. Finalmente, dopo dieci anni, il quadro è stato affidato di nuovo all’Istituto di restauro ucraino di Kiev, per risanare la tela nel migliore dei modi”.
IL QUADRO DI DUBLINO E QUELLO DI ODESSA
Al di là della ricostruzione storica e dell’anamnesi conservativa, diverse importanti novità sono emerse dagli studi di Nataliia. Per prima cosa che la tecnica esecutiva di questo olio su tela (134 x 172,5 cm) corrisponde pienamente ai canoni della pittura del Caravaggio del periodo romano. Le figure sono a grandezza naturale su uno sfondo scuro rischiarato da due fonti di luce laterali e si presentano nella loro drammatica potenza espressiva, secondo gli studi sui “moti dell’anima” di Leonardo da Vinci conosciuti dal Merisi durante gli anni della sua formazione milanese.
Certamente questi elementi non bastano a fare di questo dipinto un quadro di Caravaggio. Ma è il confronto con la versione identica e nota, oggi a Dublino, indubbiamente attribuita al Merisi, che rende la storia interessante. Il quadro di Dublino ha una storia meno avventurosa e sicuramente ben definita, nel suo itinerario dal 1600 ai giorni nostri. Infatti le ricerche condotte alla fine degli Anni Ottanta da Francesca Cappelletti e Laura Testa hanno permesso di accertare il momento della sua vendita all’asta in Inghilterra, nel 1802. Il dipinto passò dalla famiglia Mattei allo scozzese Hamilton Nisbet e l’allora restauratore della National Gallery of Ireland, Sergio Benedetti, lo scoprì nel convento di Sant’ Ignazio dei Gesuiti di Dublino.
Anche questo dipinto è un olio su tela nel quale la tecnica del Caravaggio romano è sicuramente riconoscibile. Le due opere sono sostanzialmente simili anche nelle misure (133,5 x 169,5 cm) e non si discostano in alcun modo neanche per la disposizione e la grandezza dei personaggi e nel taglio della luce. Un certa differenza presenta la figura del Cristo. Nataliia racconta che il quadro di Odessa, osservato da lei più volte prima del furto e del sequestro, “ha indubbiamente la vividezza dei colori più netta, il blu e il rosso delle vesti del Cristo sono brillanti, evidenti, come sono perfettamente evidenti il verde e il rosso della tunica dell’uomo che fugge. Colori che non hanno tanta potenza nel quadro di Dublino, in particolare nella sua parte inferiore”.
Nel suo accurato studio, Nataliia è riuscita a recuperare moltissimo materiale sul dipinto di Odessa. Oltre a un numero cospicuo di documenti che le hanno permesso di ricostruire la storia, anche una serie di fotografie tra cui tutte le indagini diagnostiche fatte negli anni. Le abbiamo guardate insieme e studiate, per quanto è possibile esaminare i dettagli da immagini che non possono essere ingrandite e soprattutto senza avere la possibilità di visionare da vicino il dipinto.
Indubbiamente i due quadri, di Odessa e di Dublino, rispetto ad altre versioni ritrovate, come quella della collezione Ladis Sannini, quella dell’asta Sotheby’s del 1980, quella di una collezione privata di Berlino e quella del Museo di Belle Arti di Budapest, sono i più simili per dimensioni, e sostanzialmente identici nella composizione dei personaggi. Solo la figura del Cristo si discosta. Nataliia osserva che “il viso leonardesco del Cristo di Odessa è impotente e rassegnato, quello di Dublino può sicuramente apparire rassegnato, ma non certo impotente”, ha quindi una forza comunicativa maggiore. “Il Cristo di Odessa sembra essere più sereno, proprio come lo descrive il Vangelo di Marco 14,49”. Anche l’esame dei pigmenti attesta che sul quadro di Odessa vi sono colori tipici del tempo e quindi anche della tavolozza caravaggesca, “fatto questo” – sostiene Nataliia – “che smentisce una volta per tutte che questo quadro possa essere la copia del poco noto Giovanni D’Attili a cui venne attributo dopo il ritrovamento, nel 1993, di una ricevuta di pagamento a questo pittore. Nessun copista, per dodici scudi, avrebbe potuto usare colori così costosi come quelli che risultato composti dai pigmenti analizzati”.
Inoltre le radiografie forniscono dati abbastanza inopinabili. Quelle del quadro di Dublino, sebbene non sia stato possibile analizzarle, sono state pubblicate in uno studio del dottor Simone Mancini nella rivista An Irish Quarterly Review. Dalle radiografie pubblicate risultano poche le correzioni rilevate, in particolare la più evidente è l’orecchio di Giuda. Ci sono poi lievi cambiamenti nelle mani del Cristo, dove le dita erano incrociate in maniera differente, e ancora in alcuni contorni delle figure: il naso, la fronte di Giuda e del soldato del lato destro.
Dalle radiografie eseguite sul quadro di Odessa, recuperate da Nataliia e visionate insieme, risultano esserci una serie di evidenti ritocchi in quasi tutte le figure del quadro. Solo il viso del Cristo non ha ritocchi o pentimenti e ciò non deve stupire ma sottintendere che l’artista lo abbia dipinto di prima, ossia con una stesura pittorica diretta, seguendo uno schema mentale preciso, secondo un suo stereotipo. Del resto molti altri volti di Cristo sono stati realizzati dal Merisi e tutti con una certa somiglianza.
CATTURA DI CRISTO DI CARAVAGGIO: LE MODIFICHE
Ci sono tre sostanziali modifiche che lasciano perplessi. Una riguarda un particolare quasi irrilevante nel quadro, ma proprio per questo interessante. La borchia dell’elmo del guerriero che prende Gesù, nel dipinto, è a forma di fiore piatto, mentre nelle radiografie appare chiaramente in forma di perno tridimensionale.
E ancora il braccio e anche la mano del servo che tiene la lanterna nella radiografia appaiono spostati nello spazio e piegati in maniera diversa da come appaiono nel dipinto. E da ultimo proprio il volto del servo (autoritratto del Caravaggio), che nella tela appare come un giovane curioso a tal punto da sollevare la lanterna per poter vedere meglio ciò che accade, ma nella radiografia appare in maniera decisamente diversa, come un uomo e non un ragazzo, stanco, afflitto e impotente almeno quanto il suo Cristo. Nataliia è convinta: “Il quadro di Odessa non è una copia, nessun copista con il quadro originale a disposizione davanti a se può “sbagliare” e soprattutto nessun copista può presentare la sua opera al committente avendo perfettamente copiato tutte le figure, ma dando una propria autonoma interpretazione della figura centrale: il Cristo. Perciò il quadro di Odessa è un’opera originale di un artista che sapeva ciò che stava facendo e che anzi ha pensato e ripensato come collocare figure e oggetti sulla tela”.
Una cosa è certa, il quadro è interessante e va ancora studiato, magari riuscendo a vederlo dal vivo.
‒ Giulia Silvia Ghia
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