Pittura lingua viva. Parola a Jacopo Casadei
Viva, morta o X? Trentesimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.
Jacopo Casadei (Cesena, 1982) vive e lavora a Cesena. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Tra le mostre personali: Veduta a margine, TOMAV, Moresco, 2016; This is nowhere, Yellow, Varese, 2015; Defrag, Localedue, Bologna, 2015. Tra le collettive: Reazione a catena. Differenti vie della pittura #1, unosunove arte contemporanea, Roma, 2018; TU35expanded, Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato, 2017; Le stanze d’Aragona, Rizzuto Gallery, Palermo, 2015; Contemporary Italian Painters Today, Federico Bianchi Gallery, Milano, 2015; Let there be light, Yellow, Varese, 2014; Frenhofer, Villa Contemporanea, Monza, 2014; Visioni per un inventario: mappa del navegar pittoresco, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia, 2014; Landina, Palazzotto d’Orta, Verbania, 2013; Mars mission, Geh8, Dresda, 2012; Bianca feat. Mars, galleria Bianca, Palermo, 2012; On Cloud Seven, Cars, Omegna (residenza artistica), 2012; I can’t take my eyes off you, Mars Milano, 2011; Difetto come indizio di desiderio, Neon Gallery, Bologna, 2011.
Come ti sei avvicinato alla pittura?
Ho sempre disegnato. Ho scoperto la pittura tardi, durante il mio percorso di studi in Accademia. Da studente uscito da un Istituto d’Arte lamentavo, come diversi miei coetanei, la carenza di un approfondimento sull’arte e la pittura contemporanea e, di conseguenza, durante i primi anni all’Accademia mi si è aperto un mondo: esisteva una scena pittorica vivente internazionale! Poi mi è capitato sotto mano un catalogo di Marlene Dumas insieme a uno di acquerelli di Rodin e ho percepito l’esistenza di un legame profondo tra passato e presente, un dialogo tra opere così apparentemente distanti.
Quali sono i maestri e gli artisti cui guardi?
Sono tanti gli artisti cui ho guardato in passato, soffermandomi in special modo su quelle opere dove ho trovato l’intenzione di disegnare attraverso il colore. Sarebbero da fare troppi nomi: da Turner a Twombly fino ai disegni di Picabia. Oggi mi piace confrontarmi e dialogare, quando mi è possibile, con pittori a me vicini e amici.
Ci sono tecniche o formati che prediligi?
Non ritengo che le dimensioni del supporto possano imprimere qualità a un’opera: un quadro grande non è per forza un grande quadro. Il formato non dovrebbe influenzare la produzione o le idee, l’ho sempre considerata una riflessione sterile. La dimensione viene semplicemente da sé. Stesso discorso per le tecniche: sono legate alla finalità del progetto.
Astrazione e figurazione: quando finisce una e inizia l’altra?
Mi ha sempre interessato il confine tra astrazione e figurazione: è un territorio spesso equivoco, destabilizzante, dov’è possibile ancora porsi delle domande. Si tratta di un universo che difficilmente può essere racchiuso entro stretti limiti, difficile da identificare, dove una componente si fonde e confonde nell’altra, ma proprio per questo stimolante e da indagare a fondo.
Come scegli i tuoi soggetti?
Non scelgo dei soggetti, scelgo un incedere pittorico, un ritmo. È difficile da definire in parole: l’intonazione del lavoro viene data dal mio stato d’animo. I soggetti emergono dopo, di conseguenza, come ospiti improvvisi.
E come nascono i titoli delle tue opere?
Alcuni titoli vengono dati a lavoro finito e dopo un periodo breve di distacco da esso: è una fase nella quale mi concedo un po’ di relax, dove mi lascio andare a una interpretazione libera, cercando di immaginarmi estraneo all’opera. Altri titoli, invece, rimandano a canzoni prodotte con la mia band. Mi capita spesso, infatti, di sentire il bisogno di dare un volto alla musica che facciamo, di creare un frame visivo del brano. Di per sé può sembrare un intento anacronistico, banale e un po’ romantico, ma l’ho sempre fatto. D’altronde suono da quando disegno e viceversa.
Quale, se esiste, il rapporto tra la tua pittura e la fotografia? E con la pittura dal vero?
Ho smesso di utilizzare riferimenti fotografici da tempo. Nel quadro possono esserci elementi figurativi, ma derivano dalla libera interpretazione di un mio archivio visivo: dipingo a memoria e in studio. Ho avuto occasione in passato di dipingere dal vero: ho partecipato alla prima edizione di Landina ‒ un progetto di Lorenza Boisi incentrato sulla pittura en plein air ‒ e per me è stata un’esperienza molto significativa: qui ho avuto occasione di confrontarmi con diversi pittori e di testare quelli che ho scoperto essere i miei limiti riguardo alla pittura dal vero.
Il disegno invece ha un ruolo nella tua pratica? Per riprendere il titolo di una tua personale, quale il “margine” tra pittura e disegno?
Mi sono sempre considerato “un disegnatore prestato alla pittura”. Fin dalle scuole superiori, ho manifestato maggior interesse per il tratto che per il colore. Penso che il mio approccio segnico sia evidente e domini il mio lavoro. Passare dalla matita al pennello ha amplificato il raggio d’azione: il segno per me è l’essenza del dipinto. Un’opera grafica e un quadro hanno la stessa importanza. Un pregio del disegnare? Lo si può fare dove si vuole e in qualsiasi momento, perciò per me col passare del tempo è diventata una pratica compulsiva: ho accumulato un archivio di disegni enorme e continuo tuttora a farne in qualsiasi contesto, liberamente.
Dicevi prima che lavori in studio. Che cosa rappresenta questo per te?
Un momento di presa di coscienza. In studio il tempo si dilata; ho modo di riflettere, di osservare, di affrontare a più riprese il lavoro, di percepire il passo successivo della ricerca, sviluppandola anche a partire dagli errori. La parte più importante di tutto il processo creativo è il momento di distacco, la pausa che si fa quando si pensa di aver terminato: è cruciale e fa stare in ansia. Poi si torna in studio e si riprende il lavoro, risolvendolo magari anche in maniera diversa da come ci si aspettava inizialmente.
Quale il rapporto tra figura e sfondo nei tuoi lavori?
Sullo sfondo rimane sempre la traccia di una discussione precedente e in questo vedo un’analogia con la composizione musicale di una canzone. A volte un brano può nascere da un fraseggio di chitarra o da un passaggio di basso, altre volte da una linea vocale: attorno a questo particolare si costruisce l’apparato ritmico e melodico. Tutta la struttura può dipendere da un dettaglio. Come un ritornello, un testo o un assolo possono reggere una traccia intera, così può essere per un dipinto: serve mettere a fuoco quel momento che giustifica e valorizza tutta l’esecuzione.
Oltre che pittore sei musicista. Parlavi prima della tua band, hai stabilito analogie tra il rapporto figura/sfondo e la composizione di una canzone, affermi che affronti ogni nuovo dipinto come uno spartito. Mi interessa questo tuo procedere in parallelo tra le due discipline.
Suono con la mia band, Sunday Morning, da una quindicina di anni. Ho sempre suonato e disegnato: sono due discipline ugualmente importanti e complementari. Non riuscirei mai a fare l’una senza l’altra. Spesso mi è capitato di occuparmi della grafica del nostro merchandising o dei dischi (la copertina digitale di Lovers & Tramps, il nostro ultimo singolo, è il particolare di un mio dipinto). È una cosa che mi viene naturale e che faccio fin da adolescente, dal mio primo gruppo punk rock. Per affrontare il dipinto come uno spartito, per prima cosa definisco una mia grammatica visiva che porti a poter “scrivere un quadro”, legando le parti tra loro e rendendole fluide, dando loro un ritmo, una musicalità.
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
In passato cercavo influenze dirette da letture e ascolti, quasi a volerne dare una traduzione pittorica personale; oggi, se succede, non è voluto, fatta eccezione per la mia attività musicale. Cerco di non farlo di proposito e mi metto in discussione continuamente.
Come definiresti in sintesi la tua pittura?
Un disegno continuo.
Perché fare pittura oggi?
Per amore. Nel mio caso è difficile smettere.
E cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea?
Ho sempre considerato il dipingere un atto introspettivo e la pittura, di conseguenza, un campo infinito dove è difficile dare giudizi oggettivi. Sono felice della scena pittorica italiana contemporanea: mi sembra viva e in salute. Ci sono confronto e iniziativa.
‒ Damiano Gullì
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Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
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Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
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