Simona Weller – La pittura è facile e difficile come l’amore
La Galleria Tiziana Di Caro presenta per la prima volta nei suoi spazi una mostra personale di Simona Weller, intitolata La pittura è facile e difficile come l’amore.
Comunicato stampa
La Galleria Tiziana Di Caro presenta per la prima volta nei suoi spazi una mostra personale di Simona Weller, intitolata La pittura è facile e difficile come l'amore. La mostra si inaugura giovedì 21 marzo 2019 alle ore 19:00 (Piazzetta Nilo, 7 – Napoli).
Il progetto include una selezione di opere che inquadra i tre cicli visivi che hanno caratterizzato il lavoro di Weller dall'inizio degli anni Settanta sino a oggi.
Il titolo della mostra è ispirato ad un poesia che Cesare Vivaldi le dedicò nel 1974.
Simona Weller è nata a Roma nel 1940. Dopo gli studi classici si iscrive all'Accademia di Belle Arti per diplomarsi con Ferruccio Ferrazzi e Mario Mafai. Come vincitrice di borse di studio UNESCO, vive e lavora in Thailandia, Malesia, Egitto. Quando rientra in Italia si trasferisce nella campagna umbra dove può più facilmente allevare i suoi due figli, David e Micol. Nei periodi estivi si trasferisce a Finalborgo (Savona) dove frequenta la comunità di artisti di varia provenienza (da Scanalino a Reggiani, da Mondino a De Filippi a Nangeroni e perfino Warhol) nel pieno fermento creativo che caratterizza quell'area negli anni Sessanta e Settanta. Negli anni Duemila decide infine di stabilirsi nel borgo falisco di Calcata, a quaranta chilometri da Roma, dove tutt'ora vive e lavora.
Dipingere con le parole è il tema ricorrente dell’opera della Weller. Le parole sono scelte per la loro brevità e la loro particolare grafia. Per esempio: erba, alba, mare, grano. Usando pastelli a olio e sovrapponendo abilmente i primari con i complementari, la Weller riesce a creare una sorta di texture di cui si comprende l’efficacia solo guardando l’opera da lontano. Al tempo stesso queste parole vengono trattate sia in modo microscopico sia in modo macroscopico. Esemplare, in questo senso, l’apertura della mostra con un’opera del 2014 intitolata Plenilunio. In questa tela l’artista si serve appunto di una scrittura formata da moduli macroscopici che dovrebbero mimare frammenti di una parola simbolo come potrebbe essere mare.
Il risultato della reinterpretazione macroscopica di questa parola crea un effetto di grande suggestione e sinergia tra segno e immagine.
In Plenilunio uno squarcio di luce, reso attraverso vivide variazioni cromatiche, si inquadra nel centro dell'opera, diventando elemento rivelatore. È in quel dettaglio, infatti, che si esalta e si manifesta il tema dell'opera.
La seconda sala ospita una selezione di tele in cui la pratica del “dipingere con le parole” si manifesta con più evidenza. Le opere sono caratterizzate da grafie cromatiche che si ripetono e si sovrappongono in modo fitto e continuo. L’artista usa una sua tecnica particolare in cui si avvale di una scrittura ottenuta con olio solido che le permette di alternare e sovrapporre stesure di parole che suggeriscono la sensazione o la memoria di un’emozione visiva come un’alba o un riflesso nel mare.
Immagine e parole non sono in dialogo, ma si relazionano come in una mimesi aristotelica, la cui sintesi formale è da ricercarsi nell'ampio tema della natura. Non c'è da stupirsi che artisti come Claude Monet, Vincent Van Gogh e soprattutto George Seurat siano da sempre dei riferimenti cromatici di Simona Weller. Queste opere se studiate più intimamente sembrano dei misteriosi graffiti, ma allontanandosi dal quadro e raggiungendo la giusta distanza l'enigma svanisce. Compaiono allora paesaggi dominati dal mare, dai prati, dai fiori, dal sole e alle volte persino dal vento.
Nella terza sala sono ospitate le lavagne, opere su fondo nero in cui Weller svolge dei veri e propri temi, come un tempo ognuno di noi faceva a scuola. In esse la scrittura diventa vivida, leggibile, emulatrice della grafia infantile. Ma questo passaggio è ragionato e interpretato da una precisa volontà. Le lavagne sono delle geografie del pensiero, trattate con estrema libertà e l'aspetto visivamente tormentato e quasi ossessivo di altre opere diventa invece chiaro e giocoso in queste. I significati non sono mai compromessi da una struttura compositiva disordinata, perché l'artista usa l’errore (cancellature) come funzionale alla composizione generale che, nonostante l’apparente disordine, mantiene un suo ritmo interno. L’elemento segnico come l’errore è di fondamentale importanza, così come il disegno infantile che spesso si insinua fra le parole. Non a caso, come ha scritto Claudio Strinati, una delle sue opere più riuscite è Una lavagna per pensare.
In una dichiarazione del 1973, dopo aver esposto i primi quadri di questo tipo (lavagne e quaderni) alla Quadriennale di Roma, l'artista mette in evidenza il sollievo provato in questa nuova ricerca. La conquista di una libertà inaspettata e il coraggio di dipingere quello che non aveva mai osato esprimere, ignorando il bel disegno, la bella materia, la bella pittura”.