Neovernacolare (VII). Il contesto
Un rapporto sano fra l’opera e il contesto di riferimento è un elemento essenziale per far fronte alla crisi che sta interessando il sistema dell’arte contemporanea.
Ripartendo dalle ragioni per cui l’arte neovernacolare si muove sempre sul filo del rasoio tra élite e popolo. In questo caso, ‘élite’ chiama in causa direttamente il sistema dell’arte. Gli articoli che vengono pubblicati su questa rivista, scritti da galleriste a proposito dello stato attuale delle gallerie, sono estremamente interessanti e istruttivi proprio perché le analisi così lucide provengono da un’esperienza diretta.
Scrive Maria Chiara Valacchi: “Di fatto, oggi le fiere sono lo specchio di questo trend: grandi supermarket dell’arte, spesso anabolizzati da smisurate ambizioni curatoriali (più per volontà di compiacimento che di studio), dove il lavoro degli artisti si acquista come un prodotto: più per il nome che per la visione a lunga gittata. L’evidente disaffezione da parte del pubblico e il costante svuotamento dei progetti presentati negli spazi privati rendono i galleristi sorta di schiavi di un sistema che li induce a continue partecipazioni forzate a rassegne a pagamento, allo scopo di mostrare al cosiddetto “mondo dell’arte” la propria esistenza” (Perché le gallerie sono in crisi? L’opinione di Maria Chiara Valacchi, 21 marzo 2019). Le fa eco Raffaella De Chirico: “Abbiamo mandato quadri in asta a quattro soldi facendo registrare record negativi ad artisti trattati da noi (dei geni!), ci siamo fatti trattare come degli scolaretti imberbi dai direttori delle fiere, facendoci umiliare a suon di migliaia di euro e facendoci dire cosa fare per essere “in” (migliaia di euro pagati da noi: il teatro di Beckett è meno assurdo). Abbiamo tenuto la gente in stage per mesi, non pagandola, promettendo esperienza e visibilità. Questo sistema è totalmente al collasso. Abbiamo consegnato la vittoria ai nerd del mondo” (Mid size gallery. Parla Raffaella De Chirico, 22 marzo 2019).
Quella descritta è una situazione oggettiva, reale, nella quale per una serie di fattori – economici, certo: ma prima ancora culturali – le opere recedono indefinitamente, e così le ricerche che le sottendono. Contrariamente alla vulgata, negli ultimi anni si assiste a una “evidente disaffezione da parte del pubblico”: il “sistema è totalmente al collasso”. Una parte rilevante delle ragioni di questo collasso risiede molto probabilmente proprio nello scollamento tra le intenzioni dell’opera e quelle di ciò-che-la-circonda. Il contesto cioè, che dovrebbe accoglierla e favorirla, in effetti la respinge, la costringe a essere altro da quello che vorrebbe e potrebbe essere.
ARTE NEOVERNACOLARE E CONTESTO
L’arte neovernacolare non è certo la soluzione a questa situazione disastrosa, ma molto semplicemente cerca di mettere a fuoco quello che è un potenziale rapporto sano con il contesto di riferimento. Che, intanto, non è più principalmente il ‘sistema’ ma la ‘vita’, l’esistenza quotidiana. Per fuoriuscire da un recinto occorre innanzitutto muovere una serie di passi, consapevolmente, nella direzione giusta: non basta infatti sognare di uscire, fingere di uscire, rappresentare l’atto dell’uscita. È questo l’errore principale – e macroscopico – di molti progetti legati all’idea di social practice, in cui sostanzialmente è la socialità stessa a trasformarsi in un bene di consumo e la trasformazione della realtà da parte dell’arte diventa una mera illusione: “Partly as a result of the echo chamber this dynamic creates, socially engaged art wants the art world to be a veritable one-stop shop for all manner of social gesture and commentary. Further, it wants sociality to be valuated on the terms of capitalism and popular media. The social is what is being shopped” (Manuel Arturo Abreu, We Need to Talk About Social Practice, “Art Practical”, 9 marzo 2019).
La “trasformazione della realtà” a disposizione dell’arte è qualcosa di più serio e al tempo stesso più piccolo, vale a dire più collocato, situato, concreto: richiede cioè all’opera la disponibilità a immergersi completamente nella realtà, a far parte del suo tessuto (come un qualsiasi altro elemento, relazione, individuo, oggetto), senza chiedere continuamente validazione, assenso o riconoscimento al mondo dell’arte.
‒ Christian Caliandro
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