Leonardo da Vinci e Firenze Fogli scelti dal Codice Atlantico
La mostra Leonardo da Vinci e Firenze. Fogli scelti dal Codice Atlantico, presenta, in Palazzo Vecchio, allora come adesso il luogo più rappresentativo della città, dodici carte vergate da Leonardo, provenienti dalla veneranda Biblioteca Ambrosiana e proposte in un percorso a cura di Cristina Acidini.
Comunicato stampa
Cinquecento anni fa, nel castello di Clos-Lucé, in Francia, moriva Leonardo da Vinci. Aveva lasciato Firenze da oltre dieci anni, ma alla sua città era rimasto profondamente legato. Per tutta la vita si definì ‘pittore fiorentino’, chiese nelle volontà testamentarie di essere sepolto nella ‘giesia de sancto Fiorentino de Amboysia’ e dedicò uno dei suoi ultimi ricordi scritti, l’anno prima di morire, al serraglio dei leoni che si trovava dietro Palazzo Vecchio. Il foglio dedicato all’animale totemico di Firenze, testimonianza di un ricordo ancora vivissimo, porta la significativa data del 24 giugno 1518, giorno del patrono cittadino. E proprio nel nome di questo legame, la sua città lo celebra oggi con la mostra Leonardo da Vinci e Firenze. Fogli scelti dal Codice Atlantico, che presenta, in Palazzo Vecchio, allora come adesso il luogo più rappresentativo della città, dodici carte vergate da Leonardo, provenienti dalla veneranda Biblioteca Ambrosiana e proposte in un percorso a cura di Cristina Acidini, dal 29 marzo al 24 giugno 2019.
Il Codice Atlantico, conservato nella storica biblioteca di Milano, è composto da 1119 fogli, contenenti per lo più scritti e disegni di Leonardo da Vinci. Questo straordinario patrimonio grafico non è certo sconosciuto. Oltre alle edizioni integrali, che hanno seguito la prima curata dall’Accademia dei Lincei nel 1884, non si contano le ricerche e le pubblicazioni sui vari fogli a cura di studiosi di tutto il mondo. Inoltre, dopo l’imponente lavoro di restauro del Codice, nel 2008, la Biblioteca Ambrosiana stessa ha organizzato ben ventiquattro mostre, presentando diversi raggruppamenti tematici corrispondenti ai molteplici interessi di Leonardo e contribuendo così a mettere a fuoco la portata e la natura del suo ingegno: ‘Ingegno eccelso, poliedrico e dispersivo’, come lo definisce Cristina Acidini nella bella introduzione al catalogo.
Trovare un nuovo percorso tematico, che fosse scientificamente fondato e sostenibile, non è dunque stato facile. Non si è voluta fare una scelta cronologica, tentando di ricostruire le attività speculative di Leonardo, ne’ una scelta di tipo estetico, privilegiando i fogli con disegni più grandi e godibili. Si è fatto invece un percorso a ritroso, partendo dalla città stessa della mostra, Firenze, e andando a cercare nei fogli del Codice i tanti richiami al luogo d’origine, mai veramente lasciato e comunque mai dimenticato. Leonardo e Firenze, dunque. Non solo Leonardo a Firenze, ma anche Firenze con Leonardo, sempre presente nella sua mente, ovunque egli si trovasse - a Milano, nell’Italia del Nord e del Centro, a Roma, infine in Francia - attraverso le reti di protezioni, conoscenze, amicizie, corrispondenze e nel bagaglio che sempre si portava appresso, di esperienze e ricordi, il lavorìo progettuale, la continuazione dei quadri iniziati in patria.
I dodici fogli scelti, che non sono gli unici in cui si trovano richiami a Firenze, funzionano come fili d’Arianna al contrario, che indirizzano il visitatore nei profondi meandri del Labirinto, anziché indicarne l’uscita. E come Labirinto si devono considerare i tantissimi aspetti del rapporto sfaccettato e molto spesso contraddittorio tra Leonardo e la città nel cui dominio nacque e nella quale trascorse gli anni fondamentali della sua formazione.
Le carte in mostra sono state scritte tra gli anni Settanta del Quattrocento e la morte di Leonardo, nel 1519, e hanno tutte una straordinaria capacità evocativa. Grazie al contributo di esperti dei diversi argomenti trattati, di ogni foglio la mostra fornisce la motivazione per la quale è stato incluso, a partire dal primo che contiene la nota frase “Sandro, tu non di' perché tali cose seconde paiono più basse che le terze”, interpretata come una critica alla prospettiva di Botticelli e che rimanda ai tempi in cui i due frequentavano entrambi la bottega di Andrea del Verrocchio, gettando le basi di una confidenza, che tuttavia non escluse mai la rivalità.
La bottega del Verrocchio, crogiuolo di personalità artistiche, accolse Leonardo giovanissimo, fornendogli le basi non solo per la pittura, ma anche per le tecniche più difficili della statuaria e della lavorazione dei metalli. Da un altro suo ricordo esposto in mostra, si capisce che aveva visto da vicino la palla di rame dorato, montata nel 1471 dal suo maestro sopra la lanterna della cupola del Brunelleschi. E in quella e in altre occasioni, non avrà mancato di studiare le macchine di cantiere ancora presenti presso l'opera del Duomo, cui ripensò sicuramente in seguito, consulente per la costruzione del tiburio della Cattedrale di Milano, nel 1487-88.
In questa città Leonardo - in contatto con mercanti, banchieri e viaggiatori fiorentini - faceva da tramite tra la corte di Ludovico il Moro e la città natale, per le occorrenze più diverse: e così da un altro foglio esposto si capisce che gli venne chiesto di procurare un testo sul governo della città di Firenze di cui era probabilmente autore fra' Girolamo Savonarola, il predicatore domenicano che dopo la cacciata dei Medici instaurò a Firenze un'effimera teocrazia, salvo venire scomunicato e arso nel 1498. Leonardo certo lo conobbe, quando fu consultato per la costruzione della Sala del Maggior Consiglio, oggi dei Cinquecento, nel palazzo del governo.
Assente da Firenze per quasi venti anni, Leonardo vi torna nel 1500 e, stabilmente, nel 1503. Un suo punto di riferimento durante questo secondo soggiorno in città è il grande Spedale di Santa Maria Nuova, dove deposita i risparmi nel giorno della morte di suo padre, nel 1504 (lo ricorda in uno dei fogli in mostra), frequenta la Compagnia di San Luca che qui aveva sede e soprattutto ha l’opportunità di studiare l’anatomia umana, tramite la dissezione dei cadaveri.
Questo è anche il periodo delle grandi imprese, degli studi ambiziosi. Il foglio con il ricordo d'infanzia del "sogno del nibbio", considerato nel catalogo anche come caposaldo nella storia della psicanalisi per il saggio che ispirò a Freud (1910), porta con sé la passione per lo studio del volo: il volo degli uccelli, e, attraverso quello, il sogno dell'ala meccanica e del volo umano. A questo periodo risale, se ci fu davvero, l'esperimento del Monte Ceceri. Contemporaneamente studia l'idrografia fiorentina e l’intera valle dell'Arno, progettando la deviazione del fiume tramite un "Canale" che ne razionalizzasse il corso tortuoso. Il foglio esposto allude a un'impresa degna di un faraone, talmente grandiosa che i mercanti fiorentini non poterono finanziarla.
A quella stessa epoca risale infine la grande occasione artistica offertagli dal gonfaloniere Pier Soderini: la realizzazione della Battaglia d'Anghiari da dipingersi in palazzo (per cui esistono le "istruzioni" nel foglio esposto del Codice) a concorrenza con la Battaglia di Cascina di Michelangelo. Ma l’opera, approntata con disegni, cartoni e preparazione del muro, è andata presto perduta, con un fallimento forse parziale, ma sicuramente molto doloroso per Leonardo.
Da lì a poco lo si ritrova a Milano al servizio dei Francesi, poi tra Firenze e Roma, dove rinsalda, alla corte di Leone X, il suo legame con la famiglia dei Medici e in particolare con Giuliano, figlio di Lorenzo il Magnifico. Due fogli esemplificano in mostra le relazioni con il casato fiorentino che, iniziate negli ultimi decenni del Quattrocento sotto la protezione di Lorenzo, proseguirono con i suoi discendenti: ma non senza ombre, e funestate dalla morte di Giuliano nel 1517. Da lì la partenza per la Francia, al servizio di Francesco I.
In questa vita complessa, costellata di incarichi prestigiosi dagli esiti non sempre positivi, ma vissuta sempre sotto il segno di una curiosità insaziabile, Firenze fu, nella presenza e nella lontananza, il suo stabile punto di riferimento. E i fogli in mostra, nel loro succedersi, portano il visitatore al riconoscimento di questa vera e propria stella polare per l’artista.
Chiude l’esposizione, contraltare delle opere su carta, un solo quadro. Proveniente dalla Pinacoteca Ambrosiana, cui è stato donato nel 2013, il dipinto è attribuito a Gian Giacomo Caprotti detto Salaino e raffigura il Busto del Redentore. Nell'allestimento, introduce un argomento nuovo, non trattandosi di un'opera riconosciuta come di Leonardo da Vinci, e non essendo riconducibile al rapporto del maestro con la sua città. Il dipinto tuttavia è connesso, per vie ancora misteriose ma inequivocabili, al Salaino, del quale reca la firma, o il soprannome, SALAI, uno degli assistenti più cari a Leonardo, che lo seguì sicuramente nel soggiorno a Firenze, nei primi anni del Cinquecento. Questa effige d'iconica fissità e di remota dolcezza, d'indubbio sentore leonardesco, fa ancora molto pensare e farà ancora molto discutere. Il che, in fondo, è quanto di meglio si possa chiedere ad una mostra.