Mater Matter
Mater Matter è il frutto dell’incontro intellettuale tra quattro artisti radicalmente differenti per origine, formazione e tecnica, tuttavia accomunati da una condivisa sensibilità nei confronti delle tematiche che la mostra intende esplorare.
Comunicato stampa
Chiara Agradi e Valeria Biamonti sono liete di presentare Mater Matter, una mostra collettiva che include le opere di Josep Barnadas, Isabella Benshimol, Bianca Lee Vasquez e Jacopo Valentini.
Mater Matter è il frutto dell’incontro intellettuale tra quattro artisti radicalmente differenti per origine, formazione e tecnica, tuttavia accomunati da una condivisa sensibilità nei confronti delle tematiche che la mostra intende esplorare. E’ nella frammentarietà della società contemporanea che quattro giovani artisti internazionali affrontano la loro relazione con se stessi e con il concetto d’origine, riscoprendo il senso d’appartenenza ad una data comunità o instaurando un rapporto affettivo con quei luoghi della memoria che l’urbanizzazione condanna all’anonimato.
Mater, richiama, non senza una leggera nota nostalgica, il conforto della tradizione, la dolcezza delle storie già raccontate e dei luoghi conosciuti, in cui le proprie radici vengono percepite come presenti. Madre è anche la natura che l’uomo abita, forza suprema ed indomabile che tutto regola e scandisce. Matter, è invece la materia, elemento primordiale costitutivo di tutte le cose. Comune alle pratiche dei quattro artisti è la predilezione verso forme d’espressione artistiche che prevedano l’uso di materiali lavorati con grande virtuosità ed una forte componente tattile o strutturalista. La materia è esplorazione, scoperta, mutamento.
Il percorso di Mater Matter si apre con l’opera della poliedrica artista cubano-ecuadoriana Bianca Lee Vasquez, protagonista della scena artistica contemporanea parigina. L’arte di Bianca Lee Vasquez è una forma di poesia che costruisce i propri versi con le forme organiche della natura, superando le etichette istituzionali di Body Art e Land Art. Prerogative della ricerca artistica di Lee Vasquez sono il contatto fisico con la natura, in particolare con la terra, fonte generatrice di vita, e l’utilizzo del proprio corpo come medium che, scevro di questioni di genere, si impone come elmento integrante, e non esterno, alla natura. Lee Vasquez denuncia infatti la distanza dell’uomo contemporaneo dalla natura, trasformata in paesaggio urbano. La serie fotografica Webmaking Rituals, concepita durante la residenza d’artista organizzata dalla Centrale Fies a Dro, in Trentino, nel 2016, analizza questi temi. Attraverso l’uso di fili di lana, Lee Vasquez riconnette il proprio corpo agli elementi della natura circostante. Il filo come elemento d’unione tra l’uomo ed il paesaggio richiama alla memoria le caratteristiche della società contemporanea, caratterizzata da un’infinita rete invisibile di connessioni.
Il rapporto di reciprocità tra corpo e mondo esterno è al centro della riflessione artistica di Isabella Benshimol, che predilige un’estetica ironica e dura, a tratti volutamente disturbante. Per Mater Matter l’artista presenta Post Vexed of Kin; Meat Dog’s Friends, il cui titolo è tratto dall’ultimo episodio del cartone animato CatDog in cui il protagonista, una creatura mezzo cane mezzo gatto, decide di uccidersi. Trattandosi di una creatura dalla duplice natura, il desiderio suicida del gatto determina, di fatto, anche la morte del cane. L’artista prende spunto da questo paradossale episodio per indagare i limiti del corpo come contenitore, dove la pelle è solo la sottile linea di confine che separa l’anima dal mondo esterno. Benshimol padroneggia l’arte della tensione degli opposti: Post Vexed of Kin; Meat Dog’s Friends è una scultura divisa in due parti composta da materiali dissonanti, che simboleggiano la lotta dell’esterno con l’interno e la dicotomia corpo-anima.
Lo studio del paesaggio abitato ed il concetto d’appartenenza culturale sono invece due degli assi di ricerca di Jacopo Valentini, fotografo modenese architetto di formazione, che per Mater Matter ha selezionato alcune fotografie tratte dalla serie Volcano’s Ubiquity, realizzata a Napoli nel 2016-2017. Jacopo Valentini conia il neologismo “vulcanicità” indagando l’effetto della presenza del Vesuvio sugli abitanti e sul paesaggio di Napoli, dalla scelta dei materiali edili alla ricorrenza delle forme coniche nei souvenirs e negli oggetti d’uso quotidiano. Lo studio del legame tra uomo contemporaneo ed il territorio che abita, in particolare lo studio del paesaggio antropizzato, imprescindibile dall’impatto dell’uomo, è ricco di riferimenti a quella che è stata talvolta definita la “scuola italiana del paesaggio”, composta da maestri della fotografia tra i quali Gabriele Basilico, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Mario Cresci. Valentini, quasi quarant’anni dopo il Viaggio in Italia di Luigi Ghirri, approda a Napoli per esplorare i limiti e le possibilità di un luogo dal passato storico-artistico ingombrante e dal paesaggio caratterizzato dalla presenza del vulcano. Valentini si interroga, affrontando un tema di grande attualità, sul significato di identità italiana, in costante tensione tra bellezze naturalistiche, complessità economiche ed una storia frammentaria, che si ripercuote nell’infinita varietà di stili architettonici ed artistici.
Alla stregua di Jacopo Valentini, è nel solco della tradizione mediterranea che Josep Barnadas, artista catalano con base a Londra ha concepito Agata, una scultura monumentale costituita da un mosaico pavimentale sormontato da una porta lignea. Agata e Jean condividono lo spazio della decorazione musiva, che racconta la loro drammatica storia. Lo spazio intimo della narrazione è delimitato dalla porta, al di là della quale lo spettatore assiste alla fuga di Agata da Jean, sospinta dal vento. La componente narrativa dell’opera di Barnadas rende omaggio al teatro classico. Egli prende inoltre in prestito elementi zoomorfi e fitomorfi alla tradizione musiva paleocristiana dei pavimenti della tarda antichità, dal deambulatorio del mausoleo di Santa Costanza a Roma al pavimento della Basilica di Santa Maria Assunta ad Aquileia. Elementi zoomorfi appaiono anche nell’opera Si es els meu temps dels teus vents una ilusion perduda (Se è il mio tempo del tuo vento una illusione perduta), in cui un serpente di cera blu si contorce su un piccolo mosaico. L’opera di Josep Barnadas si distingue per la ricerca di una cifra stilistica inedita all’interno dei codici visivi della storia dell’arte antica e per il chiaro omaggio alla cultura mediterranea, che ne rivela le origini catalane.