Michele Zaza – Il rito dell’essere
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Comunicato stampa
A partire dai primi anni settanta, come pochi, Michele Zaza (Molfetta, Puglia, 1948) si è interrogato sui grandi problemi dell’arte: arte come ricerca, sperimentazione; arte soprattutto come testimonianza e pensiero. Oltre gli antiquati e accademici mezzi della pittura e della scultura, da subito capì che la fotografia era lo strumento ideale per la sua nuova ricerca. Così presto è diventato uno dei principali interpreti della fotografia concettuale. A partire dagli anni sessanta, fino ad oggi, l’immenso potere della TV, la telecrazia, e da pochi anni l’enorme diffusione di internet hanno proposto e propongono milioni e milioni di immagini, di fotografie, di video, moltiplicati in una inesauribile serie di banalità e sciocchezze. Di fronte a questa enorme omologazione al ribasso; a fronte di questo vastissimo potere che vorrebbe riportarci allo stato di bestie, il mangiare ed il riprodursi, il cibo ed il sesso sono i due istinti primari sul quale si fondano i programmi più popolari. Michele Zaza ha sempre creato immagini, opere in serie fotografiche o video, ricolme di pensiero, di interrogazioni sul senso e il non senso. Al centro l’uomo, la sua figura, la sua presenza, il suo volto. Un volto o altri volti, soprattutto suoi famigliari, mai idealizzati, mai finti, mai edulcorati. E intorno forme reali e irreali: nuvole di cotone, fiori artificiali, luci, cuscini, orologi, stelle, ad indicare anche la possibile presenza di altri universi, altre forme, altri mondi. L’uomo e la sua enorme ambiguità: un essere finito che può pensare l’infinito, insieme un animale ed un angelo; un corpo, pesante, limitato, sempre soggetto alla triste e drammatica metamorfosi dell’invecchiamento e dell’estinzione; ed una mente libera, aperta, illimitata, capace dei pensieri e dei desideri più vasti e astratti.