Top e flop Milano Design Week. Cosa ci è piaciuto e cosa meno del Fuorisalone 2019
Dopo aver girato e raccontato l’intensa Design Week milanese, è tempo di bilanci. Ecco quali sono, a nostro insindacabile giudizio, le cose migliori e peggiori viste durante l’ultimo Fuorisalone. Voi cosa ne pensate?
TOP – Il progetto curatoriale di 5VIE
Lo abbiamo già scritto, lo ribadiamo, siamo convinti che il tempo della proliferazione spontanea delle proposte stia per finire e che anche alla più famosa delle settimane del design a livello mondiale farebbe bene dotarsi di una sorta di regia, o quantomeno di una griglia curatoriale più nitida. Il distretto del centro storico di Milano, nel suo piccolo, riesce a proporre un progetto che segua una linea tematica chiara e, al tempo stesso, offra contenuti interessanti. La mostra di Roberto Sironi nei sotterranei del SIAM flirta con l’antropologia e condensa in pochi pezzi chiave il lungo cammino dell’uomo, la personale del designer libanese Carlo Massoud mette in scena una serie di pezzi apparentemente innocui ma narrativamente potenti in un contesto che mima alcuni passaggi della liturgia cristiana, Kiki Van Eijk e Joost Van Bleiswijk mostrano un lavoro articolato ma libero, anche e soprattutto dai vincoli della committenza. Il tutto senza paura della complessità e senza cedere alle lusinghe dell’installazione pensata per Instagram. Chapeau.
TOP – Les Arcanistes
Il loro Club Unseen, cocktail bar dalla location segreta e dalle tonalità zuccherine, è stato uno degli highlights della scorsa edizione e ha ricevuto diversi premi. Arianna Lelli Mami e Chiara di Pinto, le due anime di Studiopepe, non sbagliano un colpo: il loro nuovo progetto ispirato all’alchimia e all’arte della divinazione e allestito in una ex-fabbrica in procinto di essere demolita è coerente e curato nei minimi dettagli, dalle atmosfere al profumo, dalle scelte cromatiche fino alle foglioline di menta e ai petali di rosa cristallizzati che vengono confezionati nel laboratorio dell’alchimista. Il seminterrato col pavimento ricoperto di sale stupisce mentre i giochi e il cartomante che “legge” gli oggetti al posto dei tarocchi apportano una nota di colore.
TOP – Design Collisions
Partiamo dai difetti: l’allestimento è decisamente povero, non si capisce quanto per scelta e quanto per effettiva carenza di mezzi. Per il resto, salutiamo una mostra che, in un periodo storico nel quale la complessità sembra quasi una parolaccia, richiede ai suoi visitatori un notevole impegno per leggere testi lunghi, guardare contributi video, afferrare senza troppi appigli pratici il senso di progetti che spesso hanno un lato immateriale preponderante poiché afferiscono alla categoria del design dei servizi piuttosto che a quella del design di prodotto. Il tema scelto dalla giornalista-curatrice Laura Traldi, poi, è un atto di fiducia nelle possibilità del design di ricucire le numerose fratture – sociali, economiche, politiche – che caratterizzano la nostra esistenza.
TOP – FAR
Nella vastità della ex struttura industriale del Nilufar Depot, che già ha ospitato in passato megaeventi come quello riservato a Lina Bo Bardi, fluttuano infatti grandi sfere in materiale plastico sospese a mezz’aria come navicelle astrali, “visitabili” dagli accessi posti all’ammezzato, e adibite a contenitori di design. Fra i vari temi espositivi qui presentati dalla gallerista Nina Yashar, spicca FAR. Curato da Valentina Ciuffi/Studio Vedèt, FAR è un progetto che va al di là del tradizionale concetto di collectible design. I 10 giovani designer emergenti che ne fanno parte, pur avendo già esposto insieme come si trattasse di un “collettivo”, lavorano in totale autonomia, applicando concept e materiali difformi. Ciò che li accomuna, è l’uso a oltranza della tecnologia che li spinge al di là dei consueti confini del design, negando sia estetica che funzionalità agli oggetti. Non si tratta di una tendenza inedita, ma sicuramente l’operazione da loro condotta appare particolarmente destabilizzante. Esemplare la ricerca di Audrey Large, designer francese con base a Eindhoven, in Olanda, che confonde (e fonde) i confini tra materialità dell’oggetto e sua rappresentazione. Gli oggetti diventano immagini e le immagini oggetti. Secondo il progetto Mocap.vfx/Implicit Surfaces, i suoi pezzi (vasi e brocche scultoree in PLA) sono disegnati sulla base dei dati scaturiti dalle tracce lasciate nello spazio dal movimento provocato dall’uso quotidiano. Riportate a video, le traiettorie sono trasferite su un software che traduce i dati in modelli 3D, lavorati poi a mano. Dal processo scaturisce un nuovo tipo di “fisicità”, mentre lo spazio digitale diviene luogo di sperimentazione e “arbitrio” creativo.
–Alessandra Quattordio
FLOP – Ventura BASE
Il risultato del matrimonio tra la costola di Ventura Projects dedicata alle scuole di design e alla sperimentazione e la nuova location del BASE era sulla carta una delle proposte faro di questo Fuorisalone. I contenuti di ricerca ci sono – così come alcune trovate divertentissime, per esempio lo Studiolo Robotico R.U.R. proposto dall’Academy of Arts, Architecture and Design di Praga, che mette in scena un mondo ancora indeciso tra tecnologia e tradizione in cui un braccio meccanico custodia i classici vetri di Boemia e il distributore di lattine sembra automatico ma in realtà nasconde un braccio umano – ma l’allestimento lascia perplessi. Al piano terra si veniva accolti da un insieme di espositori fuori focus (arredi, gioielli, oggettistica varia che flirta con l’etnico) mentre le mostre più interessanti, per esempio Future (H)eart(H): 8 Dutch Design visions for a livable earth, dedicata al biodesign, erano relegate al primo piano in spazi angusti e scarsamente segnalati.
FLOP – Installa tu che installo anch’io
La corsa all’installazione è una delle costanti della design week, ma quest’anno è stata talmente spinta all’eccesso da instillare il dubbio che non sia meglio cominciare a pensare ad altri modi per comunicare i contenuti coinvolgendo il pubblico. Nel mare magnum del Fuorisalone si sono viste installazioni che lasciano a bocca aperta come il grande cubo in wireframe di Aria, che si anima grazie alla realtà aumentata, e installazioni consapevoli come quella progettata da Carlo Ratti all’Orto Botanico di Brera e realizzata usando il micelio (che oltre ad essere d’impatto scenico non genererà rifiuti visto che il principale materiale costruttivo è destinato a tornare alla terra). Alcune sono risultate spettacolari ma carenti dal punto di vista contenutistico, altre (per esempio la Conifera di COS a Palazzo Isimbardi, della quale abbiamo intervistato l’autore, l’architetto francese Arthur Mamou-Mani) avevano molto da dire e sono state costruite usando tecniche interessanti ma non hanno raggiunto l’”effetto wow” che ci si sarebbe potuto immaginare. Per molte altre, invece, funziona il dizionario fuorisalonese-italiano, italiano-fuorisalonese proposto scherzosamente in questi giorni da Chiara Alessi: è onirico = è una pippa mentale, è emozionale = è una pippa letterale, è iconico = è la pippa definitiva, è instagrammabile = click, fatto, grazie.
FLOP – Gaetano Pesce
La grande sagoma femminile trafitta da frecce che si poteva ammirare in questi giorni era parte di un omaggio a Gaetano Pesce in occasione del cinquantesimo anniversario del lancio dell’iconica poltrona Up 5&6. L’operazione ha suscitato una serie di polemiche e azioni dimostrative, dalla manifestazione di protesta di “Non una di meno” all’intervento di Cristina Donati Meyer che ha dichiarato al Corriere della Sera di aver voluto “contestare e abbellire l’opera, con del sangue rosso intenso (vernice a tempera lavabile), in mezzo alle gambe della “donna poltrona”, una sorta di mestruazioni per riportare alla realtà l’artista che concepisce la donna solo come oggetto di arredo”. Contemporaneamente, una mostra celebrativa organizzata da B&B Italia che era stata annunciata al Museo della Scienza è stata cancellata senza troppe spiegazioni, e l’azienda ha scelto di limitarsi a festeggiare i cinquant’anni della seduta con un allestimento piuttosto sottotono nel suo showroom. A nostro parere, il Maestro avrebbe meritato tutt’altro omaggio.
FLOP – Salone, sostantivo maschile singolare
La foto del taglio del nastro del 58esimo Salone del Mobile mostra una decina di personalità ma sono tutti uomini. Eppure, ogni anno il Salone va in scena grazie anche all’opera di centinaia di professioniste. Inoltre, le donne designer sono moltissime, le accademie e i corsi di laurea in industrial designer rigurgitano di studentesse femmine e tutto il sistema è a grande partecipazione femminile. Il Sindaco Sala ha espresso il suo imbarazzo con un post sulla sua pagina Facebook, perciò non ci sembra il caso di alimentare la polemica. Ci limitiamo a segnalare che sarebbe stato doveroso invitare a tagliare il nastro almeno Marva Griffin, che ha inventato il SaloneSatellite e tenuto a battesimo generazioni di designer emergenti.
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