Baratta merita l’impeachment? Renato Barilli sulla Biennale con troppo pochi italiani
Il critico bolognese prende posizione rispetto alla scarsa presenza di artisti italiani all’imminente Biennale di Venezia, diretta da Ralph Rugoff. Accusando il presidente Paolo Baratta di aver scelto un curatore poco incline a rischiare. E Baratta cosa ne pensa? Lo leggerete domani su queste pagine, all’interno di una lunga intervista.
Ritorno sull’argomento Biennale di Venezia. Avevo già manifestato le mie perplessità su quanto enunciato in sede di presentazione generale dal direttore Rugoff, ma non sapevo, o mi era sfuggito, il dato che nella sua selezione ci sono appena due artisti italiani, anzi, artiste. Questa preferenza di genere è un dato positivo, come il fatto che il numero delle presenze femminili superi, per la prima volta nella storia della Biennale, quello dei colletti azzurri. Ma trovo scandaloso che la presenza nostrana si fermi a due unità.
In merito mi permetto di correggere un certo tono apparso proprio nel nostro amato gazzettino Artribune.com, che commentava questa penuria sul tono di “noi poverini, noi meschini”. Non è forse vero che la Biennale di Venezia è la prima istituzione del mondo, come nascita e come influenza? Ha dato alla luce un numero incredibile di filiazioni, e continua a farlo, superando per questo verso la concorrente diretta, la Documenta di Kassel, vittima della troppo rarefatta periodicità quinquennale. E dunque il presidente della nostra Biennale dovrebbe godere di un prestigio enorme, ma questa sorta di presidente a vita, Baratta, si guarda bene dall’usare l’influenza che gli spetta. Chi più di lui dovrebbe farsi tutore della causa vitale della presenza nostrana nell’ente stesso cui è preposto? Gli si potrebbe promuovere contro una causa di impeachment per non aver adempiuto a un suo ruolo sacrosanto. Si dirà che il procedere di Baratta è stato corretto, nel nome della libertà critica, ma è avere una concezione troppo tollerante.
“Chi più di Baratta dovrebbe farsi tutore della causa vitale della presenza nostrana nell’ente stesso cui è preposto?”.
Nel selezionare il direttore, Baratta doveva farsi carico di questo aspetto, andare a cercare qualcuno che si fosse occupato della nostra arte, avesse visitato il nostro Paese, i nostri musei e gallerie private. Del resto, al giorno d’oggi non c’è neppure bisogno di compiere viaggi materiali, basta consultare i siti: non c’è artista o galleria appena dotati di qualche notorietà che non lo abbiano. Ma questi famigerati “curatori”, vil razza dannata, vogliono viaggiare sul sicuro, non correre rischi, e dunque, delle due ammesse, una, Lara Favaretto, è certamente brava, ma alla Biennale c’era già stata, è cioè un nome largamente acquisito, senza alcuno sforzo da parte del selezionatore. Meno vista Ludovica Carbotta, e di ammirarla saremo ben felici, ma, ripeto, fermarsi a due presenze è troppo poco.
Ci sarebbe il risarcimento delle presenze supplementari nel Padiglione Italia, con tre buone proposte, ma col solito inconveniente, cui il presidente Baratta si è guardato bene dal porre rimedio, che esso è nel posto più scomodo delle Corderie.
‒ Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48
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