Il decennio silenzioso. Gli anni ’90 secondo Marco Senaldi
Gli Anni Novanta sono davvero un decennio incolore e insapore? Marco Senaldi prova a dimostrare il contrario, nominando una serie di svolte epocali. Dal boom delle immagini a internet.
All’inizio degli Anni Novanta, nella redazione milanese di Flash Art in cui lavoravo, circolava (per distrarci dallo stressante lavoro di edizione, redazione, contatti, tra l’altro per lo più telefonici o… via fax!) una storiella a dir poco demenziale. Sul palco di un teatro presumibilmente scespiriano il protagonista maschile intona il suo lamento: “O Desdemona, mia Desdemona, tu laceri un cuore già tanto esacerbato dalla sorte…” – al che la Desdemona di turno risponde: “Otello, deh, mio Otello – perché [pausa abilmente inserita] perché dici coteste parole arcane?” – Al che prontamente Otello replica (in romanesco): “Ar cane? E chiss’o i***la er cane?”… L’ilarità che ne seguiva era assolutamente irrefrenabile. Ricordo che durò per settimane e, alla fine, più che altro per spossatezza, si iniziava a ridere anche solo alle parole “…perché dici coteste parole…”. Due mesi dopo, ci si salutava tranquillamente con un semplice “arcane”, che valeva un “tutto ok?” e strappava un piccolo sorriso.
Ecco, a pensarci oggi, il cane in questione, che non c’entrava niente ed era perciò il perno comico della faccenda, sono un po’ gli Anni Novanta. Se uno dice “gli Anni Sessanta”, chiunque risponde “Pop Art”, oppure La dolce vita; se mi fai pensare agli Anni Settanta, invece, automaticamente ti dico “anni di piombo”, “rapimento Moro”, o femminismo; gli Anni Ottanta, invece, senza dubbio sono “Milano da bere”. E se invece vai a chiedere cosa sono stati gli Anni Novanta… in genere si alza un velo di imbarazzato mutismo.
Ma è proprio vero? Forse si tratta di un oblio frutto di una serie di disattenzioni. Proprio di recente si è tenuto a Bologna un convegno intitolato VHS: 1995-2000 – video e televisione tra analogico e digitale, che ha cercato, attraverso le voci dei partecipanti, di fare il punto su un aspetto specifico, ma centrale (il rapporto tra video, arte e televisione) di questo decennio apparentemente “silenzioso”, che non sembra aver lasciato una traccia udibile sulla scena culturale della fine del XX secolo.
Ne sono emerse molte considerazioni, ricordi, impressioni che invece hanno tratteggiato un panorama dinamico, affascinante e innovativo. Negli Anni Novanta le immagini e gli uomini hanno cominciato a circolare con una quantità, un’irruenza e una imprevedibilità del tutto uniche. Le immagini hanno iniziato a muovere gli uomini, e gli uomini a generare immagini: la foto della vecchia nave arrugginita stracarica di albanesi che traversano l’Adriatico (di Oliviero Toscani per Benetton), mossi dal desiderio di raggiungere un’Italia intravista in televisione, diventava essa stessa immagine televisiva, sia quando i profughi sopravvivevano, sia quando venivano affondati dalla nostra Marina – come accadde nella “sciagura” della Katër i Radës (1997), costata la vita a oltre cento persone.
“Negli Anni Novanta le immagini e gli uomini hanno cominciato a circolare con una quantità, un’irruenza e una imprevedibilità del tutto uniche”.
Il telecomando e il VHS furono le nuove armi leggere di questa epocale “guerra delle immagini”, come poi la battezzò Marc Augé. Il primo permetteva di saltare da un’immagine all’altra devastando anarchicamente ogni gerarchia visiva preconfezionata, tagliando a fette, a blocchi o a pezzettini l’immane flusso televisivo – mentre il secondo, pur nella sua fisicità, che oggi ci appare quasi primitiva, iniziava a rendere nomade la fruizione, ed esportabile il godimento estetico, sradicandolo definitivamente dalla sala del cinema o dal salotto di casa.
In quel periodo divenne progressivamente chiaro che le immagini non raccontavano il mondo, ma lo facevano – un mondo fatto di immagini fatte di mondo. Ricordo distintamente che la cosa che mi aveva più colpito appena giunto negli USA per una visita nei primissimi Anni Novanta, era la dicitura www. (seguita dalla marca) evidenziata sui cartelloni pubblicitari. Sapevamo che si trattava di Internet, ma a quell’epoca un sito web appariva come un semplice doppione di una pubblicità televisiva o cartacea. Solo più tardi avremmo capito che la scoperta “vera” era la connessione: quando iniziammo a possedere i primi indirizzi e-mail fu chiaro che il mondo si era accorciato così tanto e così in fretta da lasciare storditi. Tutto sembrava a portata di mano – e a distanza di occhio.
E, comunque la si veda, non può essere certo un caso che a metà degli Anni Novanta il potere politico, non solo in Italia, fu impugnato da chi sapeva come servirsi del mezzo televisivo – lo stesso Bill Clinton venne definito “il Presidente MTV”. Tutto ciò provocò le prese di posizione più estreme, da parte degli specialisti dell’immagine, che ormai non erano, non potevano più essere solo gli artisti. Ma furono proprio gli artisti, sottoposti a una sfida che aveva i suoi precedenti solo nella nascita della fotografia e del cinema un secolo prima, quelli capaci di reagire in modi del tutto straordinari: da un lato è questa la vera epoca d’oro del video (non più documento di un’azione ma azione in sé); dall’altro, questa fu l’epoca del confronto con la negazione del visibile, col “rovescio dell’immagine” – insomma, con un concetto di arte del tutto nuovo. Sarebbero dozzine gli episodi da ricordare, ma ne voglio menzionare almeno due: ArsLux – Aria all’arte, 1994, un’iniziativa alla quale parteciparono oltre cento artisti, le cui opere erano riprodotte su enormi billboard pubblicitari che girarono per tutt’Italia; e Critical Quest, 1993, una mostra (di cui mi accollo ahimè la responsabilità, con Alessandra Galletta), senza artisti, e in cui le opere erano sostituite da dichiarazioni di critici….
E poi c’è chi dice che negli Anni Novanta non è successo niente di memorabile!
‒ Marco Senaldi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48
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