La nuova vita degli oggetti comuni. Intervista a Stefano Arienti
Una lunga e interessante conversazione con Stefano Arienti, uno degli artisti italiani contemporanei più importanti. Alberto Mattia Martini l'ha incontrato nel suo studio milanese
Erano gli anni Ottanta quando Stefano Arienti (1961) decise di abbandonare la campagna mantovana e di avventurarsi nella metropoli milanese. Arienti trova una Milano “non solo da bere”: una città in espansione, stimolante, che ha voglia di sperimentare e dove si respira ad ampi polmoni, non solo la nebbia, ma anche un intenso fermento culturale. Una laurea in Agraria, e quindi un legame viscerale con la terra e la natura, sembrano un paradosso per un giovane che cerca di diventare artista nella caotica città meneghina; inizialmente saranno invece proprio queste peculiarità a fare la differenza e consentirgli di armonizzare la tradizione con l’innovazione.
La prima personale prende forma nel 1986 e non è un caso che si svolga nello studio di uno sperimentatore come Corrado Levi, con il quale si instaurerà un importante dialogo artistico e umano. Così come le frequentazioni presso la Casa degli Artisti coordinata da Luciano Fabbro.
Da qui tutto ha inizio e successivamente si instaurano collaborazioni con lo Studio Guenzani, tuttora in essere, e arrivano le mostre, sia in Italia che all’estero, in importanti gallerie e istituzioni museali.
Gli anni Ottanta sono anche identificati con la diffusione della musica pop e rock e con l’espansione della televisione commerciale: entrambe inclinazioni di Arienti e conseguenti stimoli per il suo lavoro artistico. Ecco allora le manipolazioni e trasformazioni delle immagini, ma anche l’uso di materiali poveri, semplici, di uso comune, come sacchetti di plastica, dischi in vinile, carte di vario genere, libri, enciclopedie, riviste e fumetti.
Come afferma lo stesso artista: “Io posso pensare di rivitalizzare degli oggetti e delle cose che vivono uno stato imperfetto, di sfalsamento per il loro uso costante. Nel mio lavoro fondamentale è il tempo, la sedimentazione dei materiali. Io non faccio parte della tipologia di artisti che ha visioni ossessivamente normative e conservative o che ritiene che si debba rispettare a ogni costo le disposizioni, spesso troppo limitative”.
– Alberto Mattia Martini
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