Architetti d’Italia. Massimo Cacciari, il filosofo

Non un architetto, ma un filosofo insignito della laurea honoris causa in architettura, Massimo Cacciari è il nuovo protagonista della rubrica di Luigi Prestinenza Puglisi dedicata alla disciplina progettuale in chiave italiana.

Ho recentemente letto una intervista di Candida Morvillo a Massimo Cacciari apparsa sulla pagina del Corriere della Sera del 22 aprile. Sono rimasto colpito da tre particolari. Il primo è una affermazione: “La nostra natura è prigioniera di passioni quanto più praticate quanto più deprecate: invidia, gelosia, risentimento, avarizia…”. Al che l’intervistatrice chiede: “Quali passioni hanno afflitto lei?”. Cacciari risponde: “Nessuna, il padreterno me ne ha donato la totale assenza”. Una frase alla quale, certamente, bisogna dare il peso giusto: quante volte ne abbiamo pronunziate di simili anche noi? Ma dalla bocca di Cacciari, come vedremo in seguito, mi ha fatto una certa impressione. La seconda riguarda la sua biblioteca, alla quale ritorna sempre con piacere. Composta, afferma, da 30mila libri. Perché dichiararne il numero? Per costruire una distanza con l’interlocutore? Il terzo particolare è ancora più apparentemente insignificante. Nell’intervista Cacciari dichiara di tagliarsi barba e capelli da solo. Per mancanza di tempo. Incuriosito ho guardato le sue foto: non mi sembra un cattivo taglio. Noto che a 74 anni ha i capelli neri. Immagino colorati. Segno forse di una vanità inconfessata.

Contropiano

Contropiano

FILOSOFIA E ARCHITETTURA

Cacciari è un filosofo che ha detto tante cose sull’architettura e che ho sempre seguito con estremo interesse. A cominciare dai suoi saggi su Adolf Loos e dagli articoli che apparivano nella Casabella di Vittorio Gregotti. Costituivano per noi ragazzi una sfida, spesso di comprensione. A partire dal suo vezzo di mettere interi brani in tedesco, in un periodo in cui non esistevano i traduttori automatici. Il messaggio era lo stesso della dichiarazione dei trentamila libri: come, un intellettuale non conosce il tedesco?
Questo snobismo, come spesso accade quando sei giovane, invece che rendercelo intollerabile, aumentava l’interesse. Se lo capivamo solo a condizione di paurosi mal di testa, voleva dire che era profondo (solo più tardi ho realizzato che la fumosità è un accorgimento che adoperano gli scrittori che vogliono spostare la profondità dal testo all’interpretazione: nel senso che l’interprete, per capire il confuso e l’ambiguo, mette in gioco tutte le proprie migliori energie, trovando e azzardando così infiniti e meravigliosi sensi che il testo non necessariamente aveva). Uno stimolo formidabile a studiare, ad approfondire, a cercare di comprendere il senso. Cacciari, in questo gioco dell’intelligenza, non era solo. Era in coppia fissa con Manfredo Tafuri, un altro maestro di terrorismo culturale. Insegnavano ambedue allo IUAV, avevano lavorato insieme alla rivista Contropiano e soprattutto appartenevano alla sinistra estrema. Oltre il PCI imborghesito dal compromesso storico. Ancora oggi Cacciari, nell’intervista a Candida Morvillo, rivendica i picchetti e il volantinaggio a Porto Marghera. E la amicizia con Asor Rosa, Mario Tronti e Toni Negri. Sì: Negri, accusato (e poi prosciolto) di essere l’ideologo del terrorismo. Naturalmente, Cacciari non ha mai avuto niente a che vedere con le Brigate Rosse, ma il rivendicare una giovinezza con amici così al limite della rivoluzione non può che accrescere l’interesse per il personaggio. Unico, ma, a pensarci bene, fino a un certo punto. Ho scoperto, nel corso del tempo, che il nostro panorama culturale è popolato da ex rivoluzionari, perfettamente integrati nel sistema, che brillano della luce del loro passato. Così anche se oggi ‒ dico tanto per dire ‒ stanno con Matteo Renzi o con Berlusconi, lo fanno non da semplici socialdemocratici o populisti come è più che lecito essere, ma da ex rivoluzionari, perché l’estremismo romantico è un’aura che una volta che abbiamo indossata non la si perde mai. E i reazionari sono sempre gli altri. “Io” ‒ come diceva lo stesso Cacciari in una intervista su Panorama data a Luca Telese e pubblicata il 15 aprile ‒ “spero ardentemente di sbagliarmi. Ma finora non mi sono sbagliato mai”. Forse sarebbe più onesto dire: “Adesso che ho fatto i capelli grigi, posso affermare che, come tutti gli umani, mi sono sbagliato spesso”.

Adolf Loos – Our Contemporary - installation view at Biblioteca Marciana, Venezia 2016

Adolf Loos – Our Contemporary – installation view at Biblioteca Marciana, Venezia 2016

KRISIS

Ricordo di aver letto il suo libro Krisis come una rivelazione: a metà Anni Settanta in una notte in vagone letto mentre ero in viaggio per Trento, quando i treni erano ancora più lenti di oggi.
Il merito immenso di quel saggio fu di sdoganare da sinistra i protagonisti, spesso appartenenti all’ultra-destra, del pensiero negativo. In particolare Friedrich Nietzsche e Martin Heidegger. Nietzsche era poco rilevante per i ragionamenti sull’architettura: poteva essere usato indifferentemente da Le Corbusier o da Loos, da Mies o da Scharoun. Heidegger, invece, era un reazionario autentico, con dannosissime ricadute sulla ricerca architettonica. Non solo per la sua capanna nella Foresta Nesta, ma per un sistema filosofico intrinsecamente nostalgico che proiettava il pensiero sul rimpianto del passato. Non sugli stili storici: sarebbe stato un incentivo banale al post modernismo che in quegli anni andava per la maggiore. Ma sull’impossibilità di costruire futuro, sulla ricerca ossessiva di ciò che sta ancora più indietro del tempo e non si può mai raggiungere. La metafisica del più cupo degli Aldo Rossi, insomma, non il barocco pasticciato di Paolo Portoghesi. Sul quale infatti l’amico Tafuri sparava a mitraglia, parlando di disgustoso kitsch.
Imbrigliata da questa corazza di filosofia negativa, anche la lettura di Loos diventava funerea. Focalizzata sulle sue derive classiciste e dimenticando quanto il viennese (per assimilazione, anche se nato a Brno) fosse un personaggio ambiguo, vitale, pieno di contraddizioni e, come aveva ben individuato Edoardo Persico, decisamente sopravvalutato.
Apparentemente controcorrente, la riscoperta del pensiero negativo fu per la cultura italiana, da sempre intimamente reazionaria, accettata senza troppe obiezioni. D’altra parte in Italia la disputa tra la filosofia analitica (che si fonda sulla filosofia della scienza) e continentale (che muove dalla fenomenologia) da sempre aveva visto il predominio della seconda. E se Tafuri e Cacciari promuovevano a sinistra e tra gli architetti una lettura heideggeriana o comunque fortemente influenzata dal filosofo tedesco, nel mondo cattolico c’erano personaggi quali Emanuele Severino che insistevano sullo stesso tema, ovviamente declinandolo ciascuno in modo proprio e originale. Con risultati a volte esilaranti. Come nelle pagine di Casabella in cui Vittorio Gregotti discettava di fenomenologia e nichilismo o nelle tesi di dottorato nelle quali da anni non è possibile non citare Costruire, abitare, pensare o Essere e tempo. E passi che un architetto dia da intendere che ha letto il primo, ma diventa farsesco immaginare che si sia perso tra le pagine di un testo letteralmente illeggibile anche per i filosofi come il secondo. Insomma: una moda, sciocca come tutte le mode. Ma particolarmente ridicola perché una cosa è citare per esempio i Rolling Stones o il Pop e un’altra è avventurarsi, per giustificare concept architettonici di non particolare profondità, nella problematica di un Dio che gioca a nascondino con i fenomeni, chiamando in causa lo scontro epico tra l’Essere e il Nulla.

UN BUON SINDACO

Cacciari, abbandonati i panni del rivoluzionario, è stato un buon sindaco di Venezia. Molto più pragmatista di quello che il suo credo filosofico lasciasse sperare. Tanto da sollevare l’entusiasmo di Bruno Zevi che, invece, ce l’aveva con Rutelli, sindaco a Roma. Una preferenza un po’ strana che forse la dice di più sui meriti di Cacciari, che sui demeriti di Rutelli, che invece è stato un buon sindaco, forse il migliore di quelli che abbiamo avuto nella Capitale da molto tempo. Cacciari a Venezia non ha esitato a promuovere battaglie meritorie contro quella immensa bufala del MOSE e ha fatto realizzare qualche coraggiosa opera di architettura contemporanea come il ponte di Calatrava, dimenticando, e per fortuna, le sue interpretazioni su Loos.
È stato anche, a detta di molti suoi alunni, un ottimo professore di Storia dell’architettura e di Estetica e credo si sia meritato la laurea in architettura honoris causa che ha ricevuto nel 2003. Inutile dire che non gliela ha conferita la facoltà di Venezia, dove insegnava, ma quella di Genova. E anche questa, sugli architetti italiani, categoria titolari di cattedra, la dice lunga.

Luigi Prestinenza Puglisi

Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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