Famiglie & dolori. Due mostre da Forma
Da una parte, Léonie Hampton. Dall’altra, Paolo Pellegrin. Doppia esposizione, fino al 1° maggio, in uno dei luoghi più legittimati a parlar di fotografia a Milano e dintorni. Mostre che toccano le corde più intime del visitatore.
Bello anche il titolo della mostra di Léonie Hampton (Gran Bretagna, 1978), In the shadow of things, con quelle ombre, dal vasto significato simbolico, capaci di evocare lati oscuri, zone tenebrose e misteriose, anche tra gli affetti più cari, in famiglia. L’autrice ha il coraggio di rendere esplicito, evidente all’occhio, il disagio della madre, la sua “sindrome ossessivo-compulsiva che la spinge ad accumulare, riordinare e distruggere ciò che aveva appena sistemato”. E quei vestiti stesi a terra, in These are not our clothes #1, evocano il gioco dell’essere/apparire, riconoscimento/negazione di Magritte, e sono contemporaneamente costruzione di colore, spaesamento di compiti e funzioni.
Immagini che paiono voler ricordare come abitualmente si fotografava in particolari ricorrenze, foto-ricordo nate al momento, il clic quasi maldestro, ma lasciando poi spazio a visioni particolarmente curate, suggestive, toccanti, come per la solitaria sedia a sdraio nei grigiori di terra e cielo, Daphne’s Sun Chair, o i nudi, a grande distanza d’età, di David and Jake, corpi esposti, diverse fragilità, oppure, con lo stesso titolo, ma #2, quei non-abiti ammucchiati come spazzatura, su cui una figura femminile di rosso vestita pare gettarvisi sopra, volare come una creatura chagalliana.
È uno strano dialogo con l’altra mostra esposta a Forma, passando dal colore, diversi formati, una distribuzione mossa delle fotografie che fermano istanti di luoghi e volti familiari, al rigore, quasi esclusivamente in bianco e nero, di Paolo Pellegrin (Roma, 1964). Sono aree diverse del mondo dove s’incontra il dolore, per guerre, inondazioni, terremoti, una scansione visiva coerente, razionale e insieme di potente drammaticità. Anche qui di grande efficacia il titolo, Dies irae, e nell’intervista a catalogo un confronto letterario con La strada di Cormac McCarthy, tra apocalisse e riscatto.
Dietro un velo, protezione forse ad altre infezioni, lo sguardo perso, smarrito di Nhan, giovane ex prostituta tailandese, sieropositiva; i volti di pianto ai funerali di un uomo ucciso da una mina, a Pristina, in Kosovo; un palestinese viene arrestato e bendato durante un’operazione militare israeliana, vicino a Jenin, in Palestina. C’è anche l’uragano Katrina, con devastazioni a colori, o lo tsunami in Indonesia, con corpi di fango, e il terremoto di Haiti, con disperazione e miseria.
Questo nel cuore del bel volume (ma di preziosa cura sono entrambi i cataloghi, editi da Contrasto) per ritornare quindi al racconto di quanta distruzione e dolore sappiano produrre gli interventi militari in tanti parti del mondo: Gaza, Afghanistan, Libano… E la bellezza delle foto non riesce a offrire “consolazione”. Particolarmente indelebili alla mente alcune immagini che, nel particolare di un singolo evento, paiono sintetizzare smarrimenti e strazio senza confini.
Valeria Ottolenghi
dal 25 marzo al 1° maggio 2011
Léonie Hampton – In the shadow of things
dal 18 febbraio al 15 maggio 2011
Paolo Pellegrin – Dies Irae
Fondazione FORMA per la Fotografia
Piazza Tito Lucrezio Caro, 1 – 20136 Milano
Orario: da martedì a domenica ore 10-20; giovedì e venerdì ore 10-22
Ingresso: intero € 7,50; ridotto € 6
Cataloghi Contrasto
Info: tel. +39 0258118067; [email protected]; www.formafoto.it
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