Remo Bianco ieri e oggi. Parola a Marina Abramović
Scomparso nel 1988, Remo Bianco ha giocato un ruolo di primo piano sulla scena artistica del secolo scorso, spaziando dalla pittura alla tridimensionalità, dai “Collage” alle “Impronte”. A ricordarlo in questo stralcio di intervista del 2012 a cura della Fondazione Remo Bianco è Marina Abramović, che incontrò Bianco alla fine degli Anni Settanta. In attesa della mostra a lui dedicata dal Museo del Novecento di Milano, in programma dal 5 luglio al 5 ottobre prossimi.
Marina Abramović: Ho incontrato Remo Bianco credo nel 1977, a Ferrara di fronte al Palazzo dei Diamanti e noi… eravamo così poveri. Avevamo solo […] una macchina che avevamo utilizzato in Sardegna […] …, un letto e due scatole con i nostri vestiti. Io realizzavo a maglia dei golf. Eravamo appena arrivati da Orgosolo. Ci avevano dato dei salumi e del pecorino e in cambio avevamo aiutato i pastori al mattino con le capre e le pecore. Era una vita molto semplice. Ma nessun compromesso. Noi dovevamo avere una mostra al Palazzo dei Diamanti, quindi eravamo andati lì. Abbiamo parcheggiato la macchina di fronte al Palazzo dei Diamanti e avevamo dormito in macchina[…].
Fondazione Remo Bianco: Dovevate fare una performance?
[…] All’interno sì, abbiamo fatto una performance. E allora Remo arrivò e ci parlò e siamo diventati amici. Ci portò ogni giorno a pranzo. In quei giorni abbiamo mangiato il miglior cibo di sempre e mi ricordo che non avevamo bisogno di pagare perché tutti i ristoranti lo conoscevano e, sai come si faceva allora, dava qualche sua opera in cambio del pranzo. Al tempo aveva tre studi pieni di opere in diversi posti a Milano, non ricordo dove esattamente, la mia memoria non è buonissima. Mi ricordo che mi piacquero moltissimo i suoi Quadri Parlanti e le sue Sculture calde.
Era molto competente sulla storia dell’arte italiana e sulla filosofia e abbiamo avuto bellissime conversazioni. Era davvero un’amicizia tra due giovani artisti e qualcuno di affermato. Gli piaceva il nostro lavoro. Lui capiva il nostro lavoro. La sua generazione di artisti non pensava fosse arte al quel tempo. Gli altri, al contrario, erano molto arroganti. Dicevano “questa è arte?”, “ma questo non è niente”, “sono c…e”. Lui invece non lo pensava. Capiva che non facevamo compromessi. E questo per noi era molto importante perchè credevamo in quello che stavamo facendo […].
Quanto tempo siete rimasti in contatto?
Siamo rimasti in contatto fino a quando, negli Anni Ottanta, non siamo partiti per l’Australia. Poi non abbiamo avuto più modo di sentirci. È durato per circa quattro o cinque anni.
Avete continuato l’amicizia scrivendovi?
Sì. Inoltre, avevamo anche un album nella macchina dove potevano scrivere tutti quelli a cui aprivamo la macchina dicendo “questa è la nostra macchina, puoi entrare, accomodati”. Credo di avere qualche annotazione anche di Remo Bianco. Devo guardare.
Io l’ho incontrato solo poche volte, ma tutti mi dicono che fosse una persona molto gentile.
Era molto gentile. Ciò che era veramente interessante nella sua come dire… “vita”, era il fatto che fosse qualcosa che non poteva definirsi nè propriamente Arte Povera, ma neanche espressionista, era molte cose differenti. Io penso fosse troppo in anticipo per il suo tempo.
Sì, era molte cose diverse, quindi le persone non potevano collocarlo da nessuna parte. […]. Ma lui sperimentava veramente e questo è il motivo per cui era un “personaggio” importante, interessante. Se non sperimenti, non puoi conoscere nuovi territori. Ma se sperimenti, puoi anche sbagliare. Lui non aveva paura di sbagliare o di cambiare da un mezzo espressivo all’altro. E questo è il motivo per cui lo spirito di Remo Bianco era straordinario per me. Ecco perché mi piaceva.
‒ a cura della Fondazione Remo Bianco
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