Architetti d’Italia. Carlo Mollino, il ragazzaccio
Architetto, sì, ma anche appassionato di velocità, automobili e fotografia, Carlo Mollino è il nuovo protagonista della rubrica di Luigi Prestinenza Puglisi dedicata agli architetti italiani.
Per Karl Kraus era buona norma non confondere l’urna con il vaso da notte. Diceva in un celebre aforisma: “Adolf Loos e io, lui letteralmente, io linguisticamente, non abbiamo fatto e mostrato nient’altro che fra un’urna e un vaso da notte c’è una differenza e che proprio in questa differenza la civiltà ha il suo spazio”. Come non essere d’accordo? Anche se, a pensarci bene, vale pure l’opposto. Nel senso che la civiltà annovera visionari che hanno posto in discussione la differenza tra le cose, muovendosi lungo una linea di confine in cui svaniscono le individualità. Gehry e Oldenburg, con l’ingresso a forma di binocolo dell’edificio di Venice, ci rammentano proprio questo. E chi studia la cultura classica ben conosce la dialettica tra dionisiaco e apollineo, in cui il primo si differenzia dal secondo per la strategia del rimescolamento, dello scambio, dello scacco all’abitudine e alla regola.
È questa la prima osservazione che mi è venuta in mente non appena ho ripreso tra le mani l’opera di Carlo Mollino per scrivere il sessantunesimo profilo di “Architetti d’Italia”. Mi sembra infatti che, se ragioniamo affidandoci a categorie consolidate, questo strano architetto torinese, un ornitorinco, come lo ha brillantemente definito Guido Aragona, ci sfugga da tutte le parti. Non è uno storicista, eppure le sue opere traboccano di frammenti storici; non è un futurista, eppure disegna una automobile, la bisiluro, con una sorprendente aerodinamica; non è un organico, anche se i suoi mobili riprendono le forme della natura alla quale lui cerca di strappare i segreti; non è un designer industriale, perché non si sogna mai di mettere in produzione mobili che anticipano l’oggi: alcuni hanno precorso Ron Arad e Zaha Hadid, e difatti raggiungono quotazioni vertiginose alle aste internazionali, oltre il milione di euro.
Mollino è un ben strano personaggio, un “incorreggibile ragazzaccio”, come afferma Bruno Zevi che ne subisce il fascino per la sua costante opera di profanazione delle “nobili cadenze accademiche con disegni turbolenti e fotografie blasfeme”. Non è il solo: l’accademico Roberto Gabetti lo cita come il proprio Lieber Meister, usando le stesse parole che Frank Lloyd Wright adoperava per Louis Sullivan. E Paolo Portoghesi sente tanto il personaggio che gli dedica uno dei suoi più bei saggi. Nonostante la marginalità, Mollino non è mai stato un architetto incompreso. È poco conosciuto al vasto pubblico perché ha realizzato poche opere, ma gode di unanime consenso tra gli addetti ai lavori.
LA STORIA DI MOLLINO
Mollino è stato un personaggio molto sui generis. Figlio di un ingegnere affermato, era abbastanza ricco da permettersi una vita al di fuori dai consueti binari. È nota la sua passione per gli aerei ‒ne ebbe diversi ‒ e per il volo acrobatico, tanto da rappresentare l’Italia in qualche occasione per questa disciplina. Vi è poi la passione per l’automobilismo e per la velocità: con Mario Damonte ed Enrico Nardi, inventò la prima automobile in cui il motore è adattato alla scocca e non viceversa, come si era soliti fare. È la forma, l’efficienza aerodinamica che viene prima. Da qui un sistema innovativo di raffreddamento con un radiatore inventato ad hoc al fine di impedire l’inevitabile rallentamento provocato con l’impatto dell’aria. E la coraggiosa e leggera asimmetria insieme all’uso di un motore di cilindrata modesta. La velocità, è la lezione dell’architetto, non si ottiene moltiplicando l’energia erogata, ma lavorando sul suo risparmio permesso dalla forma. Un atteggiamento mentale, questo, che lo mise in sintonia con i più importanti ingegneri del tempo. E difatti fu amico di Sergio Musmeci, con il quale pensarono la struttura del Palazzo del lavoro e del teatro Regio di Torino, quest’ultimo realizzato sia pure con varianti. Vi è poi la passione per la fotografia, per la quale è più famoso, essendo molti scatti a soggetto erotico. Nottambulo, tanto da scambiare la notte con il giorno, girava per Torino raccattando amiche da portare nelle proprie abitazioni, dove erano fotografate con vestiti, oltre la decenza, da lui acquistati.
È interessante notare che le abitazioni, anche quelle castigate realizzate per amici e committenti, avevano poco e nulla dei caratteri futuristi o organici che troviamo nella bisiluro o nei mobili da lui disegnati. A prevalere era un’aria surrealista che, in parte, ma solo in parte, andrà attenuandosi nel tempo: è infatti più presente nelle opere degli Anni Trenta e Quaranta. Grazie alla apertura surreale, i reperti antichi inseriti negli arredamenti acquistano una inaspettata contemporaneità, diventando parte di un gioco spaziale raffinato e non certo nostalgico o passatista. Sembra quasi che l’obiettivo di Mollino sia muoversi lungo entrambe le dimensioni del tempo: dal passato più remoto al futuro sognato. Una impresa spericolata che certo non riesce egualmente in tutte le opere, ma che si percepisce come costante intenzionalità. Ecco forse uno dei motivi per i quali personaggi così diversi come Portoghesi, Gabetti e Zevi ne sono egualmente attratti. Mollino stesso aveva parlato, per descrivere la propria opera, di eclettismo non nostalgico e di costante rimescolamento dei punti di vista; “L’architetto, oltreché un poeta e matematico, dev’essere anche un meccanico, ragioniere, avvocato, becero, maestro di belle maniere, ingoiatore di rospi e charmeur, danzatore con vecchia signora, incantatore di serpenti; pena la morte se rifiuta”.
UNA ABITAZIONE MISTERIOSA
Tra le abitazioni di Mollino forse è la sua casa in via Napione 2 che suscita la maggiore meraviglia. Adoperata come set fotografico, è stata pazientemente disegnata e arredata nel corso di un lungo periodo: dal 1960 al 1968. Diversamente da altre dimore, non è stata mai abitata, neanche per una notte. E non è stata mai resa pubblica attraverso fotografie. Quelle che venivano scattate all’interno erano infatti destinate a rimanere private. Una abitazione segreta, popolata da manufatti costosi e raffinati, dove esercitare i propri vizi, se vogliamo utilizzare una interpretazione moralista. Fulvio Ferrari, che ha trasformato questa abitazione in museo, ha lanciato una interpretazione più raffinata. Ipotizzando che Mollino fosse dedito a pratiche esoteriche ‒ cosa non difficile nel clima torinese ‒ ha provato a leggerla come la tomba di un faraone egizio: dove vengono riposti oggetti e immagini di pratiche che lo hanno caratterizzato in vita. È una ipotesi che francamente lascia tiepidi: Umberto Eco, nel Pendolo di Foucault, ci ha mostrato quanto facile sia attribuire agli oggetti significati esoterici. E il trasformare la casa di Mollino in uno spazio dell’occulto può essere una buona idea per attrarre pubblico. Forse la spiegazione feticista e surrealista è più semplice. Comunque stiano le cose, certo è che Mollino concepì questa casa come un telescopio interiore, come la spazializzazione della propria psiche. Utilizzando una strategia nei confronti dello spazio che pochi altri, e spesso non architetti, hanno praticato con il suo stesso ossessivo rigore. Penso per esempio alla casa per la sorella disegnata da Ludwig Wittgenstein a Vienna e alla residenza di Carl Gustav Jung a Bollingen.
Per completare il profilo di Mollino, occorrerebbe parlare delle sue opere alpine: era un provetto sciatore che scrisse una introduzione al discesismo che gli addetti ai lavori trovano insuperata. Segno anche questo di quanto spazio, corpo e velocità fossero per lui ossessioni totalizzanti. E, infine, di due opere torinesi: il Centro Ippico, inaugurato nel 1940 e oramai distrutto, e il Teatro Regio, inaugurato nel 1973 poco prima della sua morte, avvenuta lo stesso anno. Il primo racconta di un architetto estraneo al mainstream di quegli anni: lontano dalla retorica fascista ma anche dal funzionalismo ingenuo. Il secondo è un capolavoro spaziale. Mollino lo spiegò ai giornalisti mostrando un uovo. Chi lo visita, si accorge di quante meraviglie può la fantasia quando guarda un uovo con quell’atteggiamento dionisiaco che mette in questione proprio la differenza tra un’urna e un vaso da notte.
‒ Luigi Prestinenza Puglisi
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