Elogio della provincia. L’editoriale di Antonio Natali
Antonio Natali fa un ritratto delle provincia italiana. Mettendone in luce le qualità e sottolineando l’urgenza di portarle alla ribalta.
Da anni coltivo la convinzione che la provincia sia la parte più sana dell’Italia (generalizzo, ma la sostanza è questa). Anzi, per dirla tutta, nella provincia ripongo le poche speranze d’uscire dalla palude di conformismo e cattiveria in cui ci siamo impantanati. Me ne sono viepiù persuaso battendola nella circostanza della campagna elettorale per le ultime politiche, quando proprio nei territori fuori delle città ho potuto quasi quotidianamente sperimentare la sopravvivenza di quelle doti che nel secondo Novecento hanno garantito, fra la nostra gente, relazioni umane degne di questo nome. La provincia con le sue Case del popolo e le sue parrocchie: istituti che ideologicamente si fronteggiavano, ma che erano animati – entrambi – da sentimenti affini di disponibilità e solidarietà. Due sono le virtù che nella provincia italiana dimostrano, nonostante i venti contrari, capacità di resistenza, e che fanno confidare in un futuro meno fosco e crudo per l’intero Paese: la generosità e l’umiltà. Ovvio che generalizzo; col rischio d’astrazione che ne consegue. Ognuno comunque può verificare di persona l’infondatezza o per converso la veridicità di quest’opinione. Per parte mia, ho sempre operato per restituire alla provincia il valore che le compete, cercando di risarcirla del disinteresse d’uno Stato che, a dispetto delle promesse e dei proclami sul “museo diffuso”, privilegia invece quei luoghi che gli portano più danaro. A principiare dai musei; non quelli “diffusi” (s’intende), ma quelli celebratissimi. E intanto le terre dei contorni, pure ricche di nobiltà e di storia, digradano e si guastano; e, insieme all’economia (cui fin troppo si tiene), rischia di declinare l’orgoglio civico di chi ci vive, specie quello delle generazioni giovani.
“Due sono le virtù della provincia italiana: la generosità e l’umiltà”.
Nella certezza del pregio delle terre della provincia e consapevole della necessità d’una loro valorizzazione (interpretata, però, segnatamente come rivalutazione culturale) m’impegnai da direttore degli Uffizi nell’impresa di farvi temporaneamente tornare quelle opere della Galleria (specie della riserva) che da lì erano nei secoli venute al museo fiorentino. Ne sortì nei nativi una maggiore coscienza di sé e nei forestieri una più diffusa nozione di luoghi belli e ignorati dal turismo. La provincia è trascurata dai governi centrali, ma non è inerte. Può essere, anzi, più vigile e memore delle città. Ne dà prova Pontassieve, che da Firenze dista pochi chilometri e che giusto di questi tempi allestisce nelle stesse stanze del suo Municipio un’esposizione di dipinti e sculture che furono della raccolta di Carlo Ludovico Ragghianti. Sono opere d’alto tenore poetico e di paternità illustri: da Giorgio Morandi a Carlo Levi, da Alberto Viani a Emilio Greco, da Filippo De Pisis a Carlo Mattioli. Opere esibite con l’intento d’attestare le relazioni di stima e d’affetto che legarono artefici di spicco a un uomo tutto vòlto a coniugare etica, estetica e politica. Sempre. Con coraggio e senza risparmio: prima, opponendosi al regime fascista (di cui, ancora adolescente, patì la violenza e dopo, da adulto, il carcere), poi partecipando con un ruolo di preminenza alla Resistenza armata, infine prodigandosi per un’istruzione democratica della cultura figurativa. Un uomo – Ragghianti – che tanto s’adoperò per arricchire Firenze di creazioni contemporanee e per educare all’arte del Novecento una città riluttante al nuovo, com’è appunto Firenze. Che infatti ha di lui serbata poca o punta memoria. A rinverdirla prova ora un luogo che di Firenze è alle porte, una terra della provincia. Lo fa senza presunzione; con quella generosità e quell’umiltà che della provincia sono sovente qualità peculiari.
‒ Antonio Natali
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #16
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