Tra fotografia e performance. Intervista a Fabrizio Vatieri
Dopo “Lo scherzo” alla Nowhere Gallery, terzo e ultimo capitolo della trilogia iniziata con le performance “Dominare spiritualmente il progresso” e “Buchi nell’acqua”, presentate a Torino in occasione di Artissima 2018, l’artista classe 1982 si racconta in questa intervista a tutto campo. Tra progetti realizzati e avvenire.
Fabrizio Vatieri (Napoli, 1982) si avvicina alla fotografia durante i suoi studi in architettura, “per un po’ sono stato associato a una certa fotografia di paesaggio italiana, anche se per me all’epoca la fotografia era come una scultura: quando la pensavo, era come immaginare di costruire qualcosa, non di documentare e basta”, racconta ad Artribune. Da lì, il trasferimento a Milano nel 2011 e la collaborazione, in qualità di artista e curatore, con il collettivo Exposed Project, una piattaforma di ricerca sulle trasformazioni urbane e sociali del capoluogo lombardo in vista di Expo 2015. Poi fonda Pelagica insieme a Laura Lecce, un progetto curatoriale e di ricerca sullo scenario mediterraneo, di cui è stato curatore fino al 2017 con la mostra The Intimate Enemy. Negli ultimi anni si dedica ai suoi lavori come artista e con Nicola Nunziata fonda lo studio Opfot, nato con l’intento di documentare e fotografare a 360 gradi tutto quello che riguarda la progettazione: arte, architettura, design, food. Tra le loro collaborazioni artisti, designer, fondazioni, aziende e riviste come Robinson e R-Food de La Repubblica, Icon Design, Studio etc. Oggi Fabrizio Vatieri opera principalmente come fotografo e artista; parte importante della sua opera sono le performance.
L’INTERVISTA
Come nasce la tua riflessione tra la dimensione lavorativa commerciale e quella artistica?
Nel 2015, parallelamente al resto, ho iniziato con la fotografia immobiliare. Mi sembrava un modo più leggero di affrontare la fotografia di interni più classica e un modo per conoscere la città, dalla scala più ampia a quella più ristretta, entrando nelle vite di sconosciuti anche solo attraverso gli oggetti, gli arredi rimasti o abbandonati delle case in vendita.
Al Fabrizio Vatieri artista cosa credi abbia portato quell’esperienza professionale?
Ho iniziato a riflettere sulla prestazione professionale che offrivo io attraverso la macchina fotografica. L’agente immobiliare disegna con le mani nell’aria questi grandangoli impossibili perché le case devono sembrare più grandi: sembra volersi sostituire al treppiede e alla macchina fotografica perché l’immagine diventi un potente strumento di vendita. Questo modo di approcciarsi a me era diventato una sorta di coreografia. Tra queste esperienze nel mercato immobiliare, una in particolare è stata molto importante. Un giorno con un agente immobiliare siamo entrati nel deposito di una vecchia fabbrica di lampadari nella periferia est di Milano. In quel luogo ho sentito l’odore dell’ufficio di mio nonno, che lavorava per l’azienda di stato dei servizi telefonici. Mi è sembrato di muovermi nelle rovine del boom economico. Mi ha ricordato l’idea di lavoro dei suoi tempi, che si sta sgretolando progressivamente.
E da qui è nato uno dei tuoi lavori più importanti, Dominare spiritualmente il progresso.
Il titolo è preso da un libro edito dall’Associazione Italiana Cavalieri del Lavoro del 1964, nel quale si alternano una serie di saggi sul rapporto tra spiritualità e lavoro, con interventi di grandi imprenditori dell’epoca come Zoppas, Olivetti e altri. Ho unito le fotografie scattate in questi luoghi nella periferia milanese, alcuni testi presi dal libro e alcune foto di un pranzo di lavoro di mio nonno: così è nato questo lavoro. Insieme allo studio M-L-XL, con cui collaboro da anni, abbiamo realizzato il libro, che è stato presentato alla Nowhere Gallery in occasione della omonima performance. La coreografia di questa performance è ispirata ai gesti e ai movimenti degli agenti immobiliari, la musica è una reinterpretazione de Il Monolocale di Lucio Battisti in una versione da banda di marcia funebre, composta insieme al maestro Alfredo Maddaluno e la Real Estate Orchestra.
Dominare spiritualmente il progresso fa parte di una trilogia.
La trilogia riflette sulla dialettica tra la ricerca artistica e la dimensione lavorativa della figura dell’artista, indagando il significato del lavoro come prestazione umana e il suo rapporto con la dimensione poetica e spirituale dell’individuo.
Cosa puoi raccontarci del secondo episodio, Buchi nell’acqua, che hai presentato durante Artissima 2018 allo Spazio Buonasera?
Dopo qualche mese, ho iniziato a fotografare buchi nell’acqua formando un archivio di fotografie del quotidiano: fiumi, laghi, laguna, mare. L’idea era quella di spettacolarizzare un buco nell’acqua ‒ un fallimento, nell’immaginario comune ‒ attraverso la fotografia. Finché su invito di CAMPO, il corso per curatori della Fondazione Sandretto, ho realizzato questo lavoro durante Artissima 2018 presso lo Spazio Buonasera di Torino, ancora una volta nella forma di performance. Ho messo in scena una giornata lavorativa di uno studio fotografico dedito solo a still life e a buchi nell’acqua per 8 ore lavorative consecutive. Un fotografo e il suo assistente: uno fotografa, l’altro lancia delle sfere di gomma in una vasca di plexiglass nero.
Com’è andata con Lo scherzo, ultimo capitolo della trilogia?
Lo scherzo è la conclusione della trilogia realizzata insieme a Orio Vergani di Nowhere Gallery. La galleria diventa l’ufficio vendite delle fotografie realizzate durante la performance tenutasi a Torino. Nello spazio c’erano una scrivania, con una sedia da ufficio, gli oggetti usati durante Buchi nell’acqua; al muro un poster del trecentoundicesimo buco e un monitor che manda in loop i gesti salienti. On air, le note di I started a Joke dei Bee Gees riadattata dal maestro Maddaluno in chiave Library. Sulla scrivania, tre faldoni neri contenenti i 310 buchi nell’acqua stampati. Durante l’opening il gallerista e il suo assistente hanno venduto le mie opere giocando con due formule: potevi acquistarla e farla diventare tua, o acquistarla e poi rimetterla in vendita al doppio, triplo, quadruplo etc.
Cosa puoi anticiparci dei tuoi progetti futuri?
Per quanto riguarda la trilogia, inizierò a lavorare a una pubblicazione che raccoglie una serie di materiali tratti dai tre capitoli e a un riadattamento teatrale della trilogia stessa. Per cui, ogni aspetto, coreografia, scenografia e musica, sarà ampliato; questo è un progetto molto ambizioso per cui, credo, ci vorrà del tempo per vederlo letteralmente in scena. A proposito della musica, un aspetto cruciale della mia formazione e della mia vita, sto lavorando a un nuovo progetto musicale partendo proprio dalle colonne sonore delle mie performance. E poi, riprendendo alcune ricerche iniziate negli anni di Pelagica, sto ultimando una serie di disegni iniziata diversi anni fa su alcune tipologie architettoniche del Mediterraneo e sul rapporto tra queste architetture e alcune forme del modernismo in architettura. I disegni sono inoltre pensati come schizzi di possibili scenografie di una serie di messe in scena.
‒ Bianca Felicori
http://www.fabriziovatieri.com/
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