Simbolo per eccellenza di New York, icona dell’America stessa e dei suoi ideali fondanti, la Statua della libertà è uno dei monumenti più famosi al mondo. Per gli immigrati che a migliaia arrivavano in America dall’Atlantico, Lady Liberty, come è familiarmente nota, era la prima visione della terra promessa: negli anni è diventata simbolo di accoglienza e speranza, spesso strumentalizzata, tante volte tradita. Per i milioni di turisti che visitano New York, è tappa obbligata: 4.5 milioni di visitatori ogni anni arrivano sulla piccola isola che la ospita e per gli americani è parte di una sorta di rito iniziatico di appartenenza.
Per arricchire l’esperienza di visita, già nel 1986 fu aperto un museo all’interno del piedistallo della statua. Ma dal momento che, per motivi di sicurezza, il numero di persone che quotidianamente può accedere alla statua è limitato, la Statue of Liberty-Ellis Island Foundation ha stanziato 100 milioni di dollari per migliorare l’offerta sull’isola. Parte di questa iniziativa è un nuovo museo che occupa un’area di circa 2.400 metri quadrati ed è ospitato in un edificio progettato dallo studio FXCollaborative. Separato rispetto alla statua, posizionato sulla linea di costa dell’isola e affacciato sulla baia di New York, il museo è ben integrato nel contesto, con un esterno disegnato a scalinata che porta su un tetto giardino piantato a erbe native, da cui si può godere della vista sulla città.
All’ingresso, il visitatore viene guidato attraverso tre sale, in ognuna delle quali un video di tre minuti dai toni enfatici racconta un pezzo della storia di uno dei monumenti più famosi al mondo, dalla concezione ai simbolismi assunti nella contemporaneità. Il vero e proprio percorso espositivo, progettato da ESI Design, si sviluppa su tre gallerie, ognuna pensata per mettere in luce aspetti diversi della storia e dei significati di questa icona universale, attraverso un’esperienza interattiva e stimolante. Il museo, che offre audioguide in tredici lingue diverse, è chiaramente pensato per famiglie e per coinvolgere anche i più piccoli. Presston Brown, project manager ESI Design, ci ha spiegato: “La grossa parte dei materiali in mostra viene dal vecchio museo, ma abbiamo ripensato e ridisegnato il percorso e riorganizzato i contenuti per raccontare la storia della statua, dalla progettazione alla costruzione, dall’inaugurazione alla sua trasformazione in simbolo. Volevamo raccontare questa storia in modo nuovo e coinvolgendo il pubblico”.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
Il primo spazio è dedicato alla ideazione e realizzazione della statua. Inizialmente proposta da Édouard de Laboulaye, uno studioso francese esperto di Costituzione americana, grande sostenitore degli ideali del Nuovo mondo e abolizionista, la statua era stata concepita a suggello dell’amicizia tra l’America e la Francia, che aveva aiutato i nascenti Stati Uniti nella guerra di indipendenza contro la corona inglese, ma portava anche un profondo significato legato all’abolizione della schiavitù raggiunta, a seguito della guerra civile, un centinaio di anni dopo la proclamazione dell’indipendenza. Questa parte della storia di Lady liberty è una delle meno note al grande pubblico ma è fondamentale per capire perché, ancor prima che la statua fosse realizzata, questo simbolo di libertà sia stato e continui a essere controverso: non tutti, infatti, ritenevano che abolire la schiavitù senza far seguire una reale parità sociale fosse cosa da celebrare. Ma nella mente di chi concepì, così come di chi realizzò, quell’opera, il simbolo abolizionista era parte integrante del progetto. Attraverso video e targhe esplicative, il percorso espositivo ci racconta che il design della statua fu affidato a Frédéric Auguste Bartholdi, uno scultore che aveva già concepito (ma mai realizzato) una simile statua colossale per il Canale di Suez. Fu sua, racconta una targa nel museo, l’idea di posizionare la statua su quella che allora era nota come Bedloe’s Island, un piccolo pezzo di terra al centro del porto naturale di New York, usata come postazione militare: da lì sarebbe stata visibile a tutta la città e a chi approdava sulle sponde del Nuovo mondo. Nel disegnare la statua della libertà, Bartholdi non trascurò l’idea originale di de Laboulaye: ai piedi della statua ci sarebbero state delle catene rotte, simbolo di liberazione dalla schiavitù. Tuttavia, per via del modo in cui la statua fu poi installata, quelle catene non sono visibili se non dall’alto, rimanendo una sorta di segreto sotto le gonne di Lady Liberty.
Era il 1875 quando a Parigi iniziarono i lavori: la statua si sarebbe chiamata Liberty Enlightening the World. Nel quartiere di Levallois-Perret, sede del cantiere, quell’imponente figura di donna svettava sulle case. Proseguendo nel percorso, si entra in un ambiente in cui, attraverso riproduzioni di parti della statua, si raccontano i lavori di restauro dell’opera del 1986, dando allo stesso tempo una misura dell’impresa colossale rappresentata dall’iniziale realizzazione di un’opera di quella dimensioni.
L’esposizione non segue un percorso cronologico e sembra più interessata ai macro-temi legati alla simbologia che non alla cronologia. Ma se quel simbolo è una sorta di sineddoche (una parte per il tutto) della città di New York e dell’America, qui viene scomposto nelle sue singole parti per evocarne i significati.
IL PIEDISTALLO
La seconda galleria si concentra sulla parte che sostiene la statua e che, ironicamente, nella storia di questa opera, rappresentò il vero momento critico: il piedistallo, ovvero il punto debole di Lady Liberty. Il patto tra Francia e Stati Uniti prevedeva che i francesi avrebbero realizzato la statua ma che sarebbe poi toccato agli americani provvedere al piedistallo su cui doveva essere installata. Particolare non secondario è che, perché la statua dominasse, come immaginato da Bartholdi, il porto e la città di New York, il piedistallo doveva essere (ed è) più alto della statua stessa. La giovane metropoli stava appena uscendo da una delle sue prime crisi finanziare e i soldi per quel piedistallo non c’erano. Il museo non approfondisce questa parte della storia, ma articoli di giornale dell’epoca raccontano che l’opinione pubblica americana non era particolarmente entusiasta all’idea di dover contribuire a completare la mastodontica opera offerta in dono dai francesi. Allora, per suscitare interesse e attrarre i necessari finanziamenti, i promotori del progetto mandarono un assaggio della statua: in attesa che arrivasse il resto dell’opera, il braccio che impugna la torcia fu installato a Madison Square. Ma anche questa iniziativa non smosse gli animi, il braccio restò nel parco per sei anni, fino a quando, dietro la minaccia che la statua venisse donata a qualche altra città americana, i soldi si trovarono. Il percorso espositivo sorvola su questa pagina e passa direttamente a mettere in mostra i modelli dei diversi progetti di piedistallo che furono presi in considerazione prima di arrivare a quello definitivo. Nello stesso ambiente, una riproduzione a dimensione umana della statua ne mostra la complessa struttura interna, opera dello stesso ingegnere da cui prende il nome la Tour Eiffel.
Nel 1885, dopo una perigliosa traversata dell’Atlantico, la statua arrivò finalmente a New York, dove fu inaugurata con una solenne celebrazione nel 1886. Il percorso espositivo racconta il momento dell’inaugurazione con documenti ufficiali e reperti dell’epoca. Da quel momento cominciò la trasformazione di Lady Liberty in icona.
Nel frattempo l’America era diventata destinazione delle grandi ondate migratorie provenienti da un’Europa in subbuglio e la statua divenne simbolo di accoglienza. Come parte dello sforzo per raccogliere soldi per il piedistallo, nel 1883 la poetessa Emma Lazarus aveva scritto il poema The New Colossus, in cui definiva la statua “madre degli esiliati” e le attribuiva le famose parole “date a me le vostre stanche, povere masse, assetate di libertà”. Nel 1903 il sonetto fu inscritto su una targa apposta sul piedistallo: la trasformazione in simbolo era completata.
UN SIMBOLO INTERNAZIONALE
Una vetrina ricca di oggetti documenta la proliferazione culturale del simbolo, dalla politica internazionale all’immaginario pop. Qui lo spazio del museo si apre su un ambiente in cui colonnine interattive permettono ai visitatori di creare una propria definizione visuale del concetto di libertà che poi andrà a unirsi a centinaia di altre su uno schermo su cui si compone un collage collettivo dell’umano ideale di libertà che va a disegnare la forma della Statua della Libertà. “Si chiama Becoming Liberty” ‒ ci ha spiegato ancora Presston Brown ‒ “ed è un modo per coinvolgere i visitatori nell’idea che questo monumento rappresenta, per dire che la libertà è ciò che ognuno di noi crede, la libertà è qualcosa di diverso per ognuno di noi. Dopo aver appreso la storia di questo simbolo, qui il visitatore ha la possibilità di lasciare un segno e diventare parte di un’idea universale”.
Superato questo ambiente, arriva il pezzo forte: installata al centro di una stanza vetrata da cui si vede il retro della vera Lady Liberty sullo skyline della città, c’è la torcia originale che la statua ha innalzato su New York per cento anni, fino a quando, nel 1986, fu rimpiazzata da una replica per evitarne il deterioramento. Nello stesso spazio si trova anche una riproduzione a grandezza naturale del viso della statua che il museo incoraggia a toccare per avere un’esperienza ravvicinata con Lady liberty, fruibile anche dai non vedenti.
L’accesso al museo è gratuito ed è incluso, insieme all’accesso al piedistallo della statua, nel biglietto del traghetto che porta sull’isola. È necessario un biglietto separato da prenotare con anticipo, invece, per salire sulla corona della statua. Compresa nel biglietto del traghetto è anche una seconda tappa, quella a Ellis Island, dove un altro museo, anche questo ad accesso libero, racconta la ricca storia dell’immigrazione nel Paese.
‒ Maurita Cardone
https://libertyellisfoundation.org/
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