Dopo i raggelanti eventi di Ferrara circa il nuovo padiglione di Palazzo dei Diamanti di cui abbiamo parlato lungamente qualche mese fa, speravamo davvero di non dovere affrontare più faccende di questo tipo. E invece eccoci qui a raccontare le nuove amenità di Alberto Bonisoli e del suo Direttore Generale alle Belle Arti Gino Famiglietti. Ora come allora all’insegna della più surreale commedia italica che danneggia tutti e che ridicolizza il paese mortificandone il domani. Se prima la scimitarra oscurantista, pavida e medievale, s’era abbattuta sulle ambizioni di un edificio pubblico, Palazzo dei Diamanti appunto, colpevole solo di volersi dotare di un moderno padiglioncino da adibire a spazio espositivo, questa volta la vittima è un progetto privato, nel cuore della Capitale. E la cosa è altrettanto grave perché ha moltissimo a che fare con le condizioni di Roma, con la sua incapacità di attrarre investimenti (anzi con la sua capacità impeccabile di respingerli) e con la sua evidente aspirazione al declino e alla rovina irrimediabili. Questa storia, però, ci potrà almeno far capire che la rovina non viene da sola, ma è indotta per precisa scelta e per deliberata congiunzione astrale tra il peggio della politica, il peggio della cittadinanza attiva e il peggio della dirigenza pubblica dei funzionari dello stato. Se l’Italia è nelle condizioni in cui è, tanto per chiudere l’introduzione, non è per colpa della malasorte, della sfortuna, del malocchio o di qualche complotto internazionale dei poteri forti. Ma piuttosto perché il paese decide ogni giorno di suicidarsi un po’ e qui andremo a raccontare un esempio.
VILLA PAOLINA. IL BLOCCO DELLA DEMOLIZIONE
Anche questa vicenda dunque parla del blocco da parte degli organi centrali del Ministero della Cultura di un intervento già approvato dalla Soprintendenza, esattamente come avvenne a Ferrara. Si ripete dunque quello che in un puntuale
articolo Il Foglio definì “metodo intimidatorio” da parte di una “banda” di sodali che oltre a Famiglietti vede schierati assieme anche i soliti Settis e Montanari oltre che l’immancabile
Italia Nostra. All’insegna, naturalmente, del conservatorismo più reazionario e oscurantista: tutto va tutelato e conservato, nulla deve cambiare. Anche se è brutto, anche se è abusivo, anche se – addirittura – è frutto di mera speculazione edilizia. E veniamo ai fatti. Una società immobiliare acquista un’anonima palazzina in un quartiere semi centrale e residenziale di Roma. Si tratta di
Villa Paolina di Mallinckrodt (un tempo scuola di suore) situata in Viale XXI Aprile: obbiettivo dei costruttori? Demolirla per ricostruire un edificio nuovo, sfruttando la Legge regionale sulla rigenerazione urbana che consente o addirittura incoraggia questo genere di operazioni. Prima di acquistare la villa gli investitori si accertano dell’assenza di vincoli e ne vengono confortati: i pareri della Soprintendenza dicono e sottolineano che la villa non ha alcun valore e dunque può essere rimaneggiata e fatta oggetto di progetti nuovi. Villa Paolina, infatti, risalente al 1922, non è più quella dell’epoca. Negli anni è stata aggiunta una porzione a lato, è stata rialzata di due piani, è stata perfino bombardata nel 1943 durante la Seconda Guerra Mondiale. Oggi è un’altra cosa dall’originale sia dentro che fuori e proprio per questo non vale granché da nessun punto di vista. E la Soprintendenza lo certifica: “
l’immobile non risulta sottoposto a vincoli e non riveste interesse tale da motivare la proposta di un provvedimento di tutela” controfirma la Soprintendente
Renata Codello nel 2015; “
l’immobile non riveste interesse artistico e storico richiesto dalla norma di tutela” fa eco nello stesso anno
Daniela Porro dalla Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio.
La Villa Paolina originale nel 1922
VILLA PAOLINA: ALL’INIZIO I VINCOLI NON C’ERANO
Gli investitori fanno il loro mestiere e, dunque, a questo punto investono. Preparano un progetto di sostituzione con demolizione e ricostruzione, chiedono i dovuti permessi al Comune, la notizia trapela e a quel punto apriti cielo. Iniziano a sorgere comitati per “salvare” Villa Paolina, si aggiunge ovviamente Italia Nostra e la politica – di destra e di sinistra – banchetta sui piccolo-borghesi del quartiere impauriti da un cambiamento di skyline. Non importa se quello che verrà dopo sarà meglio o peggio dell’edificio che c’è oggi, l’unica cosa importante è che non cambi alcunché. Mai. Questa la logica dei comitati di quartiere. Come se non bastasse, la stampa locale dà il peggio di se. Per anni il quotidiano Repubblica porta avanti una campagna a suon di mezze verità, titoli urlati e suggestioni perfette per impressionare lettori impreparati e dall’indignazione facile dando voce – a senso unico – al peggior cittadinismo romano, lo stesso che ha contributo a ridurre la città nelle condizioni in cui possiamo oggi “apprezzarla”. Nel frattempo, tra proteste e sit in, il Soprintendente Francesco Prosperetti tirato per la giacchetta non può di certo inventarsi un valore artistico da tutelare che non esiste e quando Italia Nostra arriva al punto di diffidarlo (succede lo scorso 22 ottobre 2018), chiede alla Direzione Generale di Famiglietti che le carte vengano inviate addirittura ai Comitati Tecnico Scientifici per ulteriori approfondimenti terzi.
GINO FAMIGLIETTI APPONE IL VINCOLO
L’invio ai Comitati non avverrà mai, ma in compenso si paleserà il colpo di scena finale con teatrale svolta il giorno 7 giugno 2019. Durante quella singola giornata, smentendo la proverbiale flemma degli uffici pubblici, con pochi fogli e poche righe di motivazioni, Gino Famiglietti avoca a se i poteri che in realtà sono del locale Soprintendente Prosperetti e, scavalcandolo senza un vero perché, dà avvio ad una dichiarazione di interesse culturale dell’immobile, all’applicazione di un vincolo insomma. Firma, sottoscrive e fa partire l’iter che dallo scorso 7 giugno durerà 90 giorni. Le carte vengono poi ovviamente passate al giornalista di Repubblica che aveva seguito accanitamente tutta la vicenda il quale le pubblica scenograficamente il giorno prima dell’ennesima riunione dei comitati di quartiere. I titoli della stampa locale sono trionfanti e inequivocabili: “Villa Paolina è salva”. Insomma un direttore generale scavalca (un’altra volta) i soprintendenti del Ministero. E lo fa in nome di normative che gli permettono di farlo esclusivamente in presenza di somma urgenza e di negligenza da parte dei soprintendenti stessi. Peccato che nessuna delle due casistiche fosse presente. Ma al di là dell’ipotetico abuso di potere tutto da verificare, quello che fa specie è vedere un altissimo funzionario pubblico che si muove sconfessando altri pezzi dello stato pur di dar credito a comitati, personalità, celebrities, associazioni, cronisti. Un giorno Vittorio Sgarbi, il giorno dopo Italia Nostra e così via.
Il nuovo progetto della Villa Paolina di It’s visto da una facciata laterale
IL PRIMO CASO DI EDIFICIO VINCOLATO PERCHÉ SIMBOLO DI MALA URBANISTICA
Ma come ha fatto Famiglietti a motivare una richiesta di vincolo su un palazzo che secondo tutti non aveva alcun valore artistico? A leggere le carte si rimane esterrefatti. Il DG scrive che Villa Paolina non ha un valore in se, ma un valore “storico relazionale“, semplicemente per il fatto che è stata parte di un determinato momento storico. Per il fatto di avere un “valore testimoniale” (sta scritto proprio così) della vicenda urbanistica romana del Novecento. “Nella sua configurazione” è costretto ad ammettere, in Villa Paolina “sono riconoscibili tutti passaggi che, anche per motivi speculativi, hanno portato alle modifiche“. In poche parole l’edificio in questione secondo Famiglietti merita di trasformarsi in intoccabile monumento (i vincoli richiesti sono stringentissimi) per il fatto di essere pieno di abusi, sopralzi e superfetazioni realizzate da palazzinari e speculatori. Palazzinari, sì, perché l’edificio in questione (come spiega la relazione che proprio Famiglietti allega alla richiesta di vincolo) ad un certo punto si trasforma dalla tipologia “villino” alla tipologia “palazzina”, format urbanistico che diede il nome ai pessimi immobiliaristi romani che oggi invece a quanto pare vengono sdoganati dal Ministro Bonisoli. Chissà, magari il Ministero proporrà l’esproprio per l’edificio e la sua trasformazione in monumento celebrativo degli speculatori edilizi di tutt’Italia: dopo la battaglia del M5S a favore del condono a Ischia è lecito aspettarselo. Ma la relazione dice ancora di più, commentando che il palazzotto testimonia “l’evoluzione non sempre positiva dell’urbanistica romana“. Non solo il Direttore Generale, dunque, ma anche gli architetti funzionari che hanno compilato la Relazione Storico Artistica allegata ammettono che la Villa è un esempio negativo di come si è costruito negli anni passati, solo che proprio per questo decidono di tutelarla trasformando strumentalmente la negatività in qualcosa da vincolare, da rendere “documento in pietra” per usare sempre le parole della relazione. Praticamente Famiglietti propone di tutelare oggi un edificio di cui lo stesso Famiglietti avrebbe strenuamente combattuto la realizzazione a danno di uno storico villino. Con questa logica andrebbe trasformata in pezzo di storia anche la discarica di Malagrotta, perché testimonia la storia della città. Un bel santuario alla gestione banditesca dei rifiuti in una città occidentale! Ci sarebbe da ridere se non ci fosse invece da piangere.
SUICIDIO URBANISTICO E SUICIDIO ECONOMICO
E da piangere viene per tanti motivi. Il primo è l’ennesimo danno d’immagine che subisce il paese e in particolare Roma. Chi mai, infatti, verrà ad investire in una città dove puoi comprare un immobile certificato come non rilevante in termini di tutela artistica e poi vedertelo vincolato “per dispetto” ex post dopo qualche anno solo perché al ministero siedono funzionari sensibili alle sirene di certi comitati o solo perché in zona vivono influenti giornalisti, politici o professionisti? Cose simili non esistono al mondo e spiegano perfettamente i motivi del declino della capitale d’Italia.
Villa Paolina è nel II Municipio di Roma, ebbene solo il dipartimento urbanistica del II Municipio ha nei cassetti richieste di inizio lavori pari a oltre un miliardo di euro di investimenti privati, bloccati da questioni assurde come queste: funzionari conservatori, comitati di quartiere imbottiti di persone influenti, esposti utilizzati come clave, stampa locale inqualificabile, normative fallaci, lentezze strumentali. Un miliardo di lavori che potrebbero partire e non partono. Significa migliaia di posti di lavoro, significa riqualificazione e rigenerazione urbana mancata, significa nuove architetture che non si realizzeranno. E significano decine, anzi centinaia di milioni di euro che entrerebbero nelle casse comunali come oneri di concessione. I problemi finanziari di Roma potrebbero cessare semplicemente smettendola di mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole investire in città. Moltiplicate tutto questo per 15 municipi e avete la misura di cosa significhi tenere ingabbiata un’intera area urbana; tanto poi si fanno i decreti salva-Roma e invece di far pagare i miglioramenti della città ai privati che vogliono investirci, si mettono le mani nelle tasche di tutti i contribuenti.
Il nuovo edificio dello studio It’s che avrebbe sostituito Villa Paolina
SOLO DANNI PER I CITTADINI DEL QUARTIERE
Solo il singolo progetto di Villa Paolina – che andrà a ramengo se la procedura di vincolo arriverà a termine tra 90 giorni – avrebbe generato investimenti per circa 4 milioni, una 30ina di posti di lavoro nel cantiere e oneri a favore del Comune di Roma pari a 700mila euro. In più al posto di un edificio senza grande valore sarebbe nato un progetto architettonico di qualità, firmato dal giovane studio d’architettura
It’s di cui spesso
abbiamo parlato. Un progetto figlio di una analisi storica e morfologica del territorio approfondita e assai minuziosa. Un progetto di residenzialità contemporanea unico nel suo genere in una città immobile come Roma, capace di rivalutare i prezzi di tutti gli edifici circostanti oltretutto. Il nuovo stabile avrebbe avuto circa 30 appartamenti e 38 posti auto. A seguito del vincolo invece gli appartamenti si faranno lo stesso, magari un po’ di meno, i posti auto saranno zero perché non si scaverà sotto terra (così i nuovi residenti impatteranno direttamente sulle strade nei dintorni) e il Comune non riceverà i 700mila euro di oneri da reinvestire nella riqualificazione delle strade attorno al quartiere. I cittadini della zona, insomma, avranno tutto da perderci e il progetto – adesso sì, paradossalmente – si trasformerà in operazione speculativa. Ci rimetteranno ben più loro che la CAM srl, la società proponente l’operazione, una ditta peraltro piuttosto seria (cosa decisamente rara a Roma purtroppo) che sta in questi mesi tirando su il nuovo rettorato di Roma Tre firmato da
Mario Cucinella di cui in anteprima su tutti parlammo
qui tre anni fa. Ma i cittadini ci rimetteranno due volte: è molto facile prevedere che lo stato sarà condannato a risarcire la società in virtù di ostacoli strumentali che non stanno in piedi di fronte alle norme e così a pagare saranno indirettamente ancora una volta i contribuenti. Gli stessi che esultano per il “salvataggio”. Una storiaccia, insomma, in cui tutti perdono e in cui vince soltanto l’ideologia più gretta, sciocca, autolesionista e miope.
IL (NON) RUOLO DEL COMUNE DI ROMA
Beh, penserà qualcuno, ma i cittadini non dovrebbe tutelarli il Comune? Già, ma parliamo di Roma signori. A Roma al Comune c’è una nullità politica chiamata Virginia Raggi e nei ruoli di assessori ci sono dei personaggi ancor più evanescenti. Anche a Milano Bonisoli (impegnatissimo a frenare lo sviluppo di una città aperta e coraggiosa che crea difficoltà alla narrazione grilliota) ha cercato di mettere assurdi vincoli a casaccio per stoppare progetti urbanistici di qualità, ma il locale assessore all’urbanistica Pierfrancesco Maran ha fatto fuoco e fiamme per difendere il suo territorio. A Roma il nulla, l’assessore all’urbanistica della capitale, Luca Montuori, è uomo che ha paura della sua stessa ombra. Su questa faccenda da lui solo il silenzio e nessuna difesa di un procedimento che lui stesso aveva seguito.
IL RUOLO DEL MINISTRO BONISOLI
In tutto questo cosa c’entra il Ministro Alberto Bonisoli chiederete voi? C’entra eccome. All’epoca di
Dario Franceschini, infatti, Gino Famiglietti era stato spostato dove non poteva esprimersi in azioni eclatanti come questa, alla direzione generale Archivi (dove in realtà sulla faccenda del Vasari le azioni eclatanti da parte del nostro ci furono eccome). All’arrivo di Bonisoli questa sorta di ministro-ombra è stato invece posizionato in una direzione generale strategica, cruciale, capace appunto di bloccare progetti già approvati da fior di Soprintendenze, Amministrazioni Comunali, Musei autonomi. E di decidere sul futuro di interi pezzi di città. Decide lui, anche quando tutti gli altri dicono il contrario, anche quando pur di decidere bisogna prodursi in forzature al limite e oltre al limite del ridicolo. C’è solo una cosa che Famiglietti non può decidere: la data del suo pensionamento, che per fortuna scocca durante questa estate. Così chiudiamo il lungo racconto con una prospettiva meno negativa…
– Massimiliano Tonelli
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