Pistoletto e suo padre. A Biella

Una rassegna in tre sedi in provincia di Biella mette a confronto le opere del maestro dell'Arte Povera con quelle di… suo padre! Un viaggio tra complicità ed emancipazione dall’eredità familiare.

Una selezione significativa di opere di Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) accostate a quelle di suo padre Ettore Pistoletto Olivero (Arnodera, 1898 ‒ Sanremo, 1981), pittore realista: la mostra Padre e figlio propone un percorso fatto di riferimenti alla storia familiare e alla volontà di emancipazione. Dal ciclo sulla lavorazione della lana alle nature morte, per Ettore; dai quadri con fondo nero all’installazione Metamorfosi fino alla stanza con le parole “padre” e “figlio” intrecciate in un gioco di specchi, per Michelangelo. E poi gli incontri paradossali tra le due poetiche e i ritratti vicendevoli, più o meno convenzionali, che si scambiano i membri della famiglia. Abbiamo incontrato Michelangelo Pistoletto per parlare della mostra e della sua opera.

Lasciare un’eredità ai padri“: è con questa frase che lei presenta la mostra.
Oggi c’è un distacco generazionale fortissimo: sento il bisogno di ricucire. L’idea della famiglia è importante: abbiamo i cromosomi e il Dna dei nostri vecchi e lo portiamo verso i giovani. Non ci può essere interruzione; trasformiamo il Dna ma lo riceviamo, non lo creiamo noi da zero.

C’è qualcosa in comune tra le sue opere e quelle di suo padre?
Non credo che mi sarei occupato delle sue opere se non fosse stato mio padre… Mi interessa perché è mio padre. Ciò mi porta a considerare una forma di espressione che esiste e mi lega a un passato, che io lo voglia o no. Non è una mia scelta, è una scelta della vita e del caso che continua a germinare.

Padre e figlio. Installation view at Palazzo Gromo Losa, Biella 2019. Photo Damiano Andreotti

Padre e figlio. Installation view at Palazzo Gromo Losa, Biella 2019. Photo Damiano Andreotti

Molte delle opere di suo padre sono legate alla famiglia Zegna.
Ermenegildo Zegna aveva incaricato mio padre di narrare la storia dell’arte della lana attraverso dieci grandi graffiti, che poi mio padre ha ripreso e trasformato in tele. Più tardi, quando Ermenegildo ha realizzato la “panoramica Zegna”, ha chiesto a mio padre di seguire i lavori: voleva che ci fosse la testimonianza di un artista. Questi dipinti sono sempre rimasti a Trivero e adesso per la prima volta vengono esposti al pubblico.

L’apertura dell’opera alla comunità è per lei una costante.
Una costante che nasce con gli autoritratti specchianti: lo spettatore entra nell’autoritratto e l’opera diventa autoritratto del mondo. Da allora cerco di muovermi verso l’attivazione degli altri davanti all’opera. Entro nella società come attivatore di creazione.

Pensa che i Quadri specchianti vengano percepiti nello stesso modo, ora che vige l’esibizione permanente della propria immagine?
Nel Quadro specchiante vedi te stesso come poi accadrà col selfie. I Quadri specchianti sono dei pre-selfie.

Ma nel selfie non c’è l’idea di autodeterminazione.
No, però col selfie ti impadronisci della tua immagine e diventi tu stesso autore. Il Quadro specchiante invece prevede la partecipazione, un’autorialità diffusa.

Padre e figlio. Installation view at Palazzo Gromo Losa, Biella 2019. Photo Damiano Andreotti

Padre e figlio. Installation view at Palazzo Gromo Losa, Biella 2019. Photo Damiano Andreotti

La definizione di “guerriglia” nel manifesto dell’Arte Povera è ancora valida?
Il manifesto è stato scritto da Celant. Io la parola ‘guerriglia’ non l’ho mai adoperata e non sono favorevole alla protesta. Sono per la proposta: in essa la critica è implicita ma non è la finalità. La critica deve fare proposte che risolvono il problema, non che lo accentuano.

Esiste una percezione diffusa secondo la quale le sue opere recenti (quelle del Terzo paradiso, della Mela reintegrata) sono in netta discontinuità con le precedenti.
La continuità non è solo stilistica, è quella di pensiero che evolve in materie diverse e in tecniche diverse. La Venere degli stracci non conteneva né la fotografia né lo specchio. Però c’erano gli stracci, che come lo specchio rappresentano il continuo cambiamento della società che arriva a un consumismo consumato. E c’era la Venere che è la memoria, che nel Quadro specchiante è invece rappresentata dalla foto.

Parafrasando gli Oggetti in meno: appare oggi più che mai necessario “sottrarre” oggetti al mondo.
Oggi c’è una discrepanza molto forte tra molteplicità e unificazione totale. Bisogna procedere al recupero dei vari organismi che compongono la società, far sì che possano dialogare e creare situazioni nuove che non siano quelle di una dittatura dell’uniformità.

Stefano Castelli

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #16

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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