PIA Studio. Arte e formazione a Lecce
Dalla scultura alla performance, l’artista newyorchese Baseera Khan insieme agli studenti di PIA Studio per un’azione di confronto collettiva. Abbiamo incontrato Jonatah Manno e Valeria Raho per parlare del loro progetto.
PIA Studio ha ospitato l’ultimo incontro del programma di formazione sulle arti visive e la cultura contemporanea dedicato ad artisti e curatori. In questa occasione i fondatori del corso Jonatah Manno, artista, e Valeria Raho, curatrice indipendente, hanno invitato Baseera Khan (Denton, 1980). “Nel suo lavoro”, si legge nel testo di presentazione, “condivide esperienze di esilio e parentela plasmate da situazioni economiche, pop culturali e politiche. Mescola il consumismo con la spiritualità e tratta storie, pratiche e archivi coloniali come geografie del futuro”.
Nel solco delle attuali dinamiche globali che agitano la politica e la cultura socio- contemporanea, l’artista americana indaga le fragilità e le condizioni di instabilità relazionali in contesti di sovraffollamento umano e urbano. Dopo un primo momento vissuto insieme agli studenti e focalizzato sul body casting, “tecnica scultorea che permette di riprodurre alcune parti del proprio corpo attraverso l’utilizzo di materiali eterogenei”, è arrivato l’intervento performativo di Khan. Con Belay, titolo della performance, l’artista mette in pratica una personale attitudine di formalizzazione del suo lavoro, attraverso l’esercizio del climbing e del bondage.
L’INTERVISTA
Come nasce PIA Studio e quali sono i vostri obiettivi e finalità vissuti in un quartiere periferico come quello di San Pio a Lecce?
PIA nasce due anni fa. Si dedica principalmente alla formazione per l’arte contemporanea. È uno spazio di lavoro, studio e produzione culturale che accoglie artisti visivi e curatori in formazione. Il nostro lavoro consiste principalmente nel creare un contatto tra i nostri studenti con art worker e professionisti provenienti da tutto il mondo. La nostra sede è nel quartiere San Pio, ma non ci piace definirlo un luogo periferico. Lecce è cosi contenuta che è tutto un centro. Una città alla periferia dei grandi centri urbani europei ‒ per come è cambiata la percezione delle distanze negli ultimi anni ‒, si potrebbe dire che si trovi appena fuori Berlino, distante circa due ore da Londra e poco meno da Istanbul. PIA nasce con l’obiettivo di colmare questi gap, fisici e culturali.
Quest’anno, in occasione della chiusura della prima edizione del corso di formazione in arti visive e cultura contemporanea, avete ospitato Baseera Khan. Quali sono state le scelte curatoriali che hanno portato l’artista a Lecce e in che modo avete ragionato sull’operazione condotta da Khan nel vostro spazio?
Il lavoro di Baseera Khan è di stringente attualità, riflette le dinamiche politiche dell’era trumpiana, i cui venti soffiano anche sull’Europa. Ci sembrava importante un suo contributo in Italia, in questo clima denso di indifferenza e di esclusione sociale.
Il titolo dell’intervento di Baseera Khan è Belay. Come avete affrontato la formalizzazione del processo e qual è stata la narrazione del lavoro performativo?
Belay è stato il frutto della collaborazione di Khan con i nostri studenti. Le prese da climbing, su cui Baseera ha realizzato la performance sono calchi in resina di alcune parti del corpo dei partecipanti di un laboratorio scultoreo che ha anticipato la restituzione pubblica. Ogni calco contiene un oggetto personale: l’invito che ha rivolto l’artista è stato quello di includere nelle prese un simbolo di rottura col passato. Una linea che è stato anche il fil rouge di Burn the bridge, lo studio visit condotto dal collettivo Cripta 747 nel nostro studio. L’opera di Khan, infine, tesseva un equilibrio precario fatto di spinte e slanci tra lei e i partecipanti che erano al tempo stesso spettatori e coreografi di questa danza.
Quali sono le proposte per il prossimo corso di formazione?
Il prossimo anno sarà ricco di sorprese e ospiti, con un programma didattico che affronterà la scena contemporanea più stringente. Abbiamo da pochi giorni concluso il percorso della prima edizione, ma siamo già a lavoro sul nuovo corso. Le nostre scelte curatoriali sono dettate sempre dalla ricerca: difficile in questo momento dare delle anticipazioni, stiamo vagliando delle possibilità.
In riferimento alle pratiche contemporanee, alle dinamiche istituzionali pubbliche e a quelle relative agli spazi indipendenti, qual è attualmente lo stato dell’arte a Lecce?
Crediamo ci siano delle realtà valide sebbene il contesto soffra di autoreferenzialità. In questi due anni abbiamo macinato relazioni importanti: siamo stati accolti da fondazioni e scuole pubbliche che ci hanno supportato anche grazie all’intermediazione di professionisti e docenti particolarmente sensibili e attenti al nostro lavoro. Per quanto riguarda le nostre relazioni con spazi indipendenti, siamo in stretto contatto con Manifatture Knos, Like A Little Disaster e Progetto di Jamie Sneider, realtà con cui condividiamo lo stesso linguaggio e lo sguardo aperto verso il panorama internazionale. Per quel che ci riguarda, al momento preferiamo restare indipendenti, conservare un approccio esplorativo per ragioni di libertà e ricerca. La rete locale è importante, ma ci piacerebbe lavorare al di là delle latitudini. Siamo aperti a ogni eventualità e geolocalizzazione.
‒ Giuseppe Amedeo Arnesano
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