Una e sei mostre. A Roma
Palazzo delle Esposizioni, Roma ‒ fino al 28 luglio 2019. Il Palazzo delle Esposizioni ospita il riallestimento di sei mostre chiave per la Capitale. Dagli Anni Cinquanta ai Duemila.
Sei capitoli di una storia espositiva di sessant’anni, illustrata per exempla in maniera filologica ma soprattutto evocativa di atmosfere, incontri, pratiche, pensieri e ambienti intellettuali e artistici della Capitale, dagli Anni Cinquanta ai Duemila. Un’operazione apparentemente semplice, che nasconde però un lavoro consapevole e rigoroso, condotto in maniera da raggiungere un ottimo risultato. Parliamo di Mostra di mostre, l’esposizione in corso al Palazzo delle Esposizioni, curata da Daniela Lancioni in collaborazione con Paola Bonani, che presenta la ricostruzione di sei mostre realizzate da altrettanti spazi privati, per punteggiare l’evoluzione della contemporaneità a Roma.
“La mostra si propone come una passeggiata attraverso i paesaggi espositivi di una città che ha saputo costantemente rinnovare, attraverso la presenza di figure eccezionali, la propria vocazione contemporanea”, spiega la curatrice. Dopo una lunga riflessione, ha scelto di concentrare le energie su mostre personali che potevano essere ricostruite per approssimazione, ma con un margine di errore relativo, dedicando a ognuna una sala al primo piano del palazzo, in modo da ottenere una scansione regolare ed equilibrata, con l’aggiunta di un omaggio al fotografo Sergio Pucci, testimone eccellente della scena artistica romana a partire dagli Anni Cinquanta.
MASELLI, PAOLINI, FABRO
Il racconto comincia con la mostra personale di Titina Maselli alla galleria La Tartaruga nel 1955, quando l’artista lavorava a New York: quattordici dipinti dai colori scuri e corruschi, in bilico tra astrazione e figurazione con accenti quasi espressionisti, mostrano il volto di una metropoli notturna e metallica, che sembra uscita dalle scene di Metropolis di Fritz Lang. Se la ricostruzione appare corretta ma poco appassionante, risultano interessanti i materiali d’epoca raccolti nelle vetrine di sala, dove si può leggere il bel testo scritto da Renzo Vespignani sul dépliant introduttivo della mostra.
Più coinvolgente il capitolo sugli Anni Sessanta, rappresentato dalla personale di Giulio Paolini alla galleria La Salita nel 1964. Qui l’artista espone gli strumenti del fare arte, caratterizzati dal rigore formale e concettuale che lo ha accompagnato per tutta la sua carriera. Riallestita dallo stesso Paolini, esprime la complessità del suo pensiero che arriva, a soli 24 anni, a concepire un modello di esposizione coerente in ogni passaggio, dal biglietto di invito al dialogo tra le opere. Lo stesso rigore, utile per reinterpretare la storia dell’arte attraverso il linguaggio della contemporaneità, si ritrova nella sala dedicata all’intervento di Luciano Fabro presso gli Incontri Internazionali d’Arte nella serata del 29 novembre 1971.In questo allestimento, che ripropone con alcune piccole varianti la presenza di Fabro alla Biennale di Parigi dello stesso anno, ritroviamo in nuce i temi principali della ricerca dell’artista, dagli Ambienti (Concetto spaziale d’après Watteau, 1967-71) alle Italie fino ai Piedi (Alluminio e seta naturale, 1971), che Fabro descrive con queste parole: ”Li ho fatti come meglio non si potevano fare. Fidia e Prassitele, Donatello e Buonarroti, Bernini e Canova mi sono testimoni”. A indicare quindi un rapporto di continuità con l’arte del passato, che costituisce per Fabro, così come per Paolini, un punto di partenza di un pensiero nuovo ma fortemente radicato in un’idea identitaria dell’opera.
MARIANI, VERCRUYSSE, LAPLANTE
Gli Anni Ottanta si aprono all’insegna del recupero della pittura, e il loro pioniere è Carlo Maria Mariani, protagonista de La costellazione del Leone, inaugurata presso la galleria Sperone il 5 giugno 1981, in piena temperie “transavanguardista”. Si tratta di un grande dipinto ispirato al Parnaso di Mengs, che cita a sua volta l’affresco di Raffaello in Vaticano: una sorta di “gruppo di famiglia” con personaggi come Achille Bonito Oliva, Gian Enzo Sperone, Gino De Dominicis, Sandro Chia e Francesco Clemente nei panni di divinità e figure mitologiche. Se il dipinto appare ormai datato, nel cartone dello stesso Mariani dà prova di un eccellente talento da disegnatore, dal tratto fermo e deciso.
Per il decennio successivo il testimone passa alla mostra Tombeaux dell’artista belga Jan Vercruysse, inaugurata presso la galleria Pieroni il 24 febbraio 1990. Qui l’opera dell’artista, figlia del Surrealismo di Magritte nella sua componente più asettica e luttuosa, viene presentata in maniera ineccepibile, con un’attenzione ai dettagli progettuali di una delle ricerche concettualmente più raffinate di quegli anni.
Forse la conclusione della “passeggiata”, affidata a Elisir, la mostra della canadese Myriam Laplante inaugurata alla fondazione Volume! il 29 novembre 2004, appare meno strutturata delle precedenti, nella riproposizione del laboratorio di un artista-scienziato-alchimista alle prese con storte e alambicchi, che appare poco significativo in assenza dell’intervento performativo dell’artista. Infine, l’accurata selezione degli scatti di Pucci racconta lo stesso arco temporale colto dallo sguardo di un fotografo appassionato e rispettoso delle esigenze degli artisti: degno finale per una mostra da non perdere.
‒ Ludovico Pratesi
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