Kuwait chiama Venezia. Tre artisti in Laguna
Scuola d’Arte dei Tiraoro e Battioro, Venezia – fino al 28 novembre 2019. Sei artisti del Kuwait sbarcano in Laguna nell’ambito di un dialogo tra Medio Oriente e Venezia, che si struttura in due momenti espositivi distinti.
Lo scambio culturale Kuwait-Venezia giunge inatteso in Laguna, a Biennale iniziata. L’Emiro, Sua Altezza l’Amir Sheikh Sabah Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah, che ha promosso il Piano di Sviluppo Nazionale del Kuwait, uno dei Paesi più ricchi del Middle East, ha guardato lontano ponendo il 2035 come obiettivo temporale di tale progetto, di cui l’arte è uno dei pilastri portanti. L’intento è trasformare il Kuwait in un importante centro finanziario dell’area medio-orientale, dal punto di vista commerciale e culturale.
In nome dell’interrelazione fra tradizioni culturali difformi, ma per certi versi anche affini, sono così approdati a Venezia, alla Scuola d’Arte dei Tiraoro e Battioro, a Campo San Stae, i primi tre giovani artisti kuwaitiani, dei sei selezionati, per partecipare alla mostra Heart of Culture: In My Dream I Was In Kuwait: Amani Al-Thuwaini, Zahra Marwan e Mahmoud Shaker. Esporranno le loro opere fino ad agosto, per passare poi, a settembre, il testimone ad Ahmed Muqeem, Khaled Al-Najdi e Naseer Behbehani (in mostra fino al 28 novembre). Congiuntamente, VeniceArtFactory (ovvero Francesca Giubilei e Luca Berta, che sono i curatori della mostra veneziana) ha fatto le sue scelte: a sei artisti e artigiani veneziani verrà offerta l’opportunità di tenere workshop ed esporre le loro opere a Kuwait City nel 2020, presso lo spettacolare Centro Culturale Sheikh Abdullah Al Salem, uno dei vanti del Paese medio-orientale.
Intanto, durante la permanenza veneziana, i kuwaitiani hanno visitato, e visiteranno, atelier locali, prendendo parte a workshop. Qualche nome: la vetreria Simone Cenedese, il laboratorio d’incisione Doppio Fondo, la Tessitura Bevilacqua (dove gli artigiani lavorano su telai del Settecento), i laboratori di Leonardo Cimolin (artista del vetro), Silvano Rubino (artista concettuale), e Veronica Green (pittrice neozelandese trapiantata a Venezia).
LA MOSTRA
Progettato dal designer e architetto di interni Meshary AlNassar, il percorso espositivo esordisce con lo scenografico accostamento di tessuti veneziani e kuwaitiani per sottolineare quanto le tradizioni tessili della Serenissima, seppur con esiti formali differenti, siano vicine per eccellenza a quelle arabe.
Ecco le due sale espositive, la prima delle quali è dedicata in toto alle carte di Zahra Marwan, artista di origini kuwaitiane, ma residente fin dall’adolescenza ad Albuquerque, in New Mexico. È dalla sua opera che prende spunto il titolo della mostra, In My Dream I Was In Kuwait. Le sue raffigurazioni ad acquarello e inchiostro, fra illustrazione e storytelling per immagini, sono poetiche e ricche di humour e fanno pensare a Raymond Peynet, il vignettista francese che dedicò il suo talento al tema dell’amore. Zahra, che ha studiato in Francia per alcuni anni, conferma: “Non ho mai conosciuto la sua opera, ma ora riconosco nel suo tratto qualcosa che mi appartiene”. Certo le immagini dell’artista araba, ambientate in Oriente – con moschee, palme e scene di vita islamica ‒ sottendono ben altri significati, fra nostalgia e sogno, consapevolezza delle proprie origini e senso di perdita d’identità. Nella seconda sala si confrontano invece le installazioni tessili di Amani Al-Thuwaini e le opere su tela e su carta di Mahmoud Shaker. Di provenienza ucraino-kuwaitiana e formazione londinese, Amani, utilizzando lana, cotone, seta, rielabora le simbologie femminili presenti nei pattern dei kilim turchi e pone al centro della sua ricerca il tema della dote nuziale. “Le spose del mio Paese ricevono doni costosi ‒ spesso accessori di luxury brand occidentali come Louis Vuitton, Chanel o Dior ‒ e non utilizzano più il dowry coffret, il contenitore in legno che era d’obbligo nel nostro Paese”, racconta. Così, tra disappunto e rimpianto, nelle sue installazioni trasfigura in chiave contemporanea il baule nuziale, rivelando forti legami con le tradizioni locali. La donna è al centro anche della visione di Mahmoud che, scrittore e artista visivo, minia le sue tele di una fitta trama calligrafica che adombra il tema dell’identità femminile. La sua formazione, avvenuta a Kuwait City, non gli preclude l’uso di alcun mezzo – né pittorico né fotografico né video – nel rappresentare le silhouette di donna, avvolte nel velo nero islamico, che popolano le sue opere. E che, nelle foto a Venezia, sembrano correre verso le acque del Golfo Persico in una sorta di rito catartico.
‒ Alessandra Quattordio
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