Laboratorio illustratori. Giulia Masia
La nostra panoramica sugli illustratori nostrani si arricchisce di una nuova protagonista, Giulia Masia, che ha realizzato le illustrazioni presenti nell’ultimo numero di Artribune Magazine.
Genovese classe 1999, Giulia Masia è la quarta protagonista di questa rubrica-laboratorio. Mettere ordine al caos quotidiano mediante un processo che muove dall’horror vacui è la costante del suo percorso artistico, che si sviluppa fondamentalmente su due registri: quello basato sul bianco e nero, più diretto ed espressionista, e quello fondato su cromatismi accesi che all’improvviso deflagrano impetuosi e folgoranti. Plasticità, dinamismo e una buona dose di ironia sono i capisaldi delle sue visioni, la cui attenzione alla resa del minimo dettaglio conferma l’abilità tecnica, oltre che espressiva, della giovane autrice.
Chi è Giulia Masia?
Mi sento una persona solare ed entusiasta, ma anche molto seria. Cerco di avere sempre il controllo su tutto, ma ho imparato che il disegno bisogna lasciarlo andare, seguire come si sviluppa e avere pazienza, accettare gli errori e trovare il modo di renderli interessanti. Mi appassionano le storie, reali o fantastiche. Amo le persone e adoro essere costantemente circondata di vita.
Qual è la tua formazione?
Direi che è iniziata prima ancora che potessi rendermene conto. Amo il disegno fin da piccola e, quando mi sono trovata a dover scegliere il mio percorso, non ho avuto dubbi. Ho imboccato una strada “creativa”, prima frequentando il Liceo Artistico e poi decidendo di iscrivermi al corso di Illustrazione e Animazione allo IED di Milano. Attualmente frequento il primo anno.
Ma il mio percorso non si ferma solo all’aspetto scolastico: è un allenamento continuo, una costante ricerca di stimoli, ispirazioni e soluzioni tecniche per arricchire il mio immaginario. Questi sono i migliori compiti a casa mai assegnati!
E i tuoi modelli di riferimento?
Sono moltissimi e completamente differenti tra loro. Seguo il lavoro di tanti illustratori, ma anche designer, stilisti, grafici, fotografi, spesso di epoche diverse. Tutto ciò che ha a che vedere con il mondo del visivo è il benvenuto! Sono convinta che da ogni immagine si possano cogliere insegnamenti e stimoli. Volendo fare qualche nome, direi la plasticità di Lorenzo Mattotti, la raffinatezza di Rebecca Dautremer, la genialità di Cyril Pedrosa, l’ironia di Vivienne Mayer, il grottesco di Egon Schiele e il dinamismo gioioso di Toulouse-Lautrec. I loro lavori sono sempre una guida sicura.
Quando hai capito che la tua strada sarebbe stata quella dell’illustrazione?
Quando ho realizzato che l’unica cosa che volevo fare realmente nella vita era disegnare, trasformare le parole e i pensieri che vivono nella mente in immagini concrete, fisiche e capaci di emozionare. Creare mondi dove tutto è possibile, e l’unico limite è l’immaginazione!
Cosa t’interessa maggiormente del mondo che ti circonda?
I particolari. Mi entusiasma sempre cercare i dettagli, i guizzi ironici e geniali che all’improvviso il mondo ci propone, come se volesse continuamente sorprenderci. Quei piccoli e apparentemente insignificanti attimi quotidiani che rendono la vita di tutti i giorni unica e irripetibile.
Caos e horror vacui sono una costante nelle tue illustrazioni. Da cosa origina questa tua esigenza?
Credo che il termine ‘caos’ venga spesso male interpretato. In genere si pensa al caos come a qualcosa di negativo, ostile, distruttivo; per me ha un’altra accezione. Penso al caos come alla realtà, alla presenza fisica della vita. È la messa in scena di tutti quei dettagli a cui non diamo importanza e che in fondo compongono il nostro immaginario, l’idea che ci facciamo del mondo. Certo, il caos va controllato. Il rischio di rendere un’illustrazione con troppi particolari un “pasticcio” è molto alto, ma l’abilità di un illustratore sta anche in questo. La sfida quotidiana è dare ordine al caos.
E il tuo interesse per gli abiti antichi, che rendi nei minimi particolari?
Da piccola il mio sogno era diventare scenografa e costumista. Ho sempre adorato il teatro, soprattutto l’opera lirica e i balletti classici. L’idea di riuscire a rendere reali – a modo mio, naturalmente – quelle meravigliose storie musicali era entusiasmante. L’opera del repertorio classico fa sempre riferimento a epoche passate, dove la cura di ogni minuzioso aspetto estetico era fondamentale; così il mio interesse per gli abiti e gli ornamenti si è sempre più arricchito, come la trama di un merletto.
Puoi descrivere le fasi in cui si articola il processo creativo di una illustrazione?
Quando mi approccio a un nuovo progetto la dinamica è quasi sempre la stessa: leggo il testo e quasi di getto mi avvento sui fogli e disegno a matita ciò che mi ha colpito (spesso i volti); poi lo rileggo, sottolineo le parole chiave, quelle che secondo me racchiudono il senso e la dinamica della scena. Dopo questa prima fase, prendo il blocco da schizzi, le matite ed esco a camminare. Mentre mi muovo, penso alla composizione e alla tecnica da utilizzare, mi sforzo di trovare i modi migliori per rendere l’immagine leggibile e interessante. Mi ci devo affezionare, io per prima, altrimenti come potranno farlo gli altri? Ritornata a casa, concludo la fase di ricerca e poi passo alla realizzazione del definitivo. La base del lavoro è sempre materica (non potrei mai rinunciare alle matite e alla grafite), poi se il progetto lo richiede procedo con la colorazione ad acrilico o in digitale.
A cosa lavori attualmente e quali progetti hai in cantiere?
Sto sviluppando un paio di storie illustrate che aspettano solo di vedere la luce! Poi avrei in cantiere un bel libro sulla vita in una nave e diverse illustrazioni singole. Frequentando lo IED (tutti i giorni, come una bottega), ho modo di confrontarmi con docenti che sono professionisti del settore e l’opportunità di sviluppare collaborazioni professionali con realtà esterne (recentemente, ad esempio, ho concluso un progetto molto interessante con AMREF).
‒ Roberta Vanali
www.behance.net/giulia0mas1434
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #49
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