Street Art chiama Giappone. Intervista alla pittrice Hikari Shimoda
Con una doppia personale, la Dorothy Circus Gallery di Roma presenta il dialogo figurativo tra lo street artist Millo e la pittrice giapponese Hikari Shimoda. Dopo l’opening nella nuova sede londinese, situata a Marble Arch, nel quartiere di Connaught Village, il duo inedito espone nella galleria romana un racconto dedicato all’adolescenza. Abbiamo intervistato Hikari Shimoda.
“Dentro di noi esiste un fanciullino che non solo ha brividi” scriveva Pascoli, ma oggi parte di quella poetica, raccontata dall’autore decadentista, si evolve nella contemporaneità dei linguaggi figurativi di Millo e Hikari Shimoda, che con le loro identità raccontano le storie, le aspettative e le fragilità delle giovani generazioni.
Il mondo immaginario di Hikari Shimoda (Nagano, 1984), legato al genere dei manga, è una narrazione sociale della cultura orientale dell’artista che tende ad avvicinare i due estremi della natura umana: il senso affettivo e quello della virulenza quotidiana nei confronti dei più piccoli. I volti e le ambientazioni bidimensionali realizzati della pittrice racchiudono delle tinte coloratissime, che ben si accordano con l’illustrazione, il lettering e i collage. Le espressioni tristi e gli occhi a stella dei bambini di Shimoda sono il sintomo di un dualismo contrapposto dominato da incertezze e solitudine, ma con la speranza di riuscire sempre a raggiungere la felicità.
L’INTERVISTA
Hai studiato illustrazione alla Kyoto Saga University of Art e oggi sei un’artista riconosciuta e apprezzata non solo in Giappone, ma anche negli Stati Uniti, in Canada e in Italia. Come è cambiato il tuo metodo di lavorare in termini di tecnica figurativa ed espressione artistica dagli anni universitari ai successi in tutto il mondo?
Ho imparato a produrre un’opera partendo da un concetto, studiando per due anni alla Tatsumi Art University, e ho poi studiato illustrazione altrove dopo la laurea. Non ho mai appreso come dipingere durante i miei anni scolastici, ma ho capito che necessito di un concetto per produrre un lavoro e che la tecnologia possa aiutare la sua espressione. Nonostante sia stata per un po’ di tempo limitata dalla pittura accademica, ho sempre creduto che fossi in grado di esprimere i miei pensieri anche al di fuori di essa. Quando ero una studentessa, non avevo ancora pienamente sviluppato un mio personale linguaggio artistico, ma mi piacevano le immagini capaci di suscitarmi forti emozioni e mi ispiravano lavori legati all’enfasi prodotta da quegli stessi sentimenti. Il mio stile vive un continuo cambiamento, ma tali emozioni per me rimangono sempre le stesse.
Perché nelle tue opere le rappresentazioni dei bambini sono così importanti?
Il tema generale delle mie opere può risultare leggermente ambiguo, così come la tensione sociale che le persone vivono nel mondo, e il concetto del bambini risulta essere un simbolo appropriato nell’espressione di questo sentire comune. L’esistenza infantile, di per se stessa, non prevede alcuna identità specifica né un carattere determinato né un genere preciso e io la considero idonea nell’espressione del lato umano della popolazione come individui. I miei lavori comunicano su un piano visuale e sono come uno specchio per l’osservatore. Per tale ragione, è importante che i miei personaggi siano “nessuno” e quindi rappresentino un soggetto con il quale chiunque possa empatizzare. Ritengo così che i bambini siano un importante tema per me.
Negli occhi dei tuoi personaggi si legge tristezza, paura e inquietudine, ma da chi o da che cosa sono terrorizzati?
Molti di loro rappresentano la solitudine e il futuro della nostra società, l’ansia riguardo il contesto che viviamo e un’emarginazione e sofferenza intime. Solo poche persone non sperimentano mai questi sentimenti oggigiorno. I miei personaggi rappresentano un bagaglio emotivo comune a tutti.
In questa doppia esposizione insieme a Millo, con quale criterio hai affrontato la scelta delle opere in mostra?
Tutti i lavori sono stati creati specificatamente per l’occasione. Sto attualmente sperimentando nuovi stili, temi e tecniche basati su quella che è stata la mia ricerca fino a ora. Dal momento che lo stile di Millo, al contrario del mio, è caratterizzato da una palette tendente al monocromo, sono dell’opinione che si sia venuto a creare un interessante dialogo tra i nostri lavori.
Cosa ti affascina della cultura contemporanea occidentale e quali sono secondo te gli artisti più rappresentativi dell’ultimo decennio?
Penso che la cultura occidentale guardi allo sviluppo di nuovi valori e idee con maggiore apertura, e sembra che molte persone stiano attivamente cercando di riflettere in merito all’essenza del loro lavoro, il che è molto interessante per me. È molto difficile circoscrivere la carriera di un artista in un periodo di dieci anni, ma si può notare un grande incremento di opportunità per gli street artist e anche in Giappone si è incominciato a parlare maggiormente di Banksy. Nonostante in Giappone vi sia un costante flusso di informazioni riguardanti il mondo dell’arte oltreoceano, Banksy è diventato un argomento di discussione molto comune in generale. Percepisco un maggiore interesse per gli artisti e l’arte straniera.
Ultimamente a cosa stai lavorando?
I lavori esposti presso la Dorothy Circus Gallery sono le mie produzioni più recenti. Attualmente sto lavorando alla pianificazione della prossima mostra, ma mi piacerebbe approfondire di più il lato giocoso e l’attrattiva della pittura, così come pure il concetto di Pop Art. Annunciato all’inizio di quest’anno con la mostra Can Pop Art Show the Way to Nirvana? a Hong Kong, è un tema in via di sviluppo all’interno della mia ricerca. Ciò che sto dicendo è: “Sì, sono in una situazione difficile ma ancora viva per poter cantare” e mi auguro di poter approfondire queste idee ancora di più.
‒ Giuseppe Amedeo Arnesano
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati