Pittura lingua viva. Parola a Michele Bubacco
Viva, morta o X? 46esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.
Michele Bubacco (Venezia, 1983) vive e lavora tra Vienna e Venezia. Tra le sue recenti mostre personali e collettive: Essere Corpo, Kunsthalle West, Lana-Bolzano, 2019; Brain-Tooling, Forte di Monte Ricco, Pieve di Cadore, 2018; L’intreccio arabo-normanno, Manifesta 12, evento collaterale, Palermo, 2018; Angry Boys, Museum Det Ny Kastet, Thisted, 2018; Mad Cow, Scag Gallery, Vienna, 2017; Manhood, Litvak Contemporary, Tel Aviv, 2017; Fuck-Simile, Galleria Alessandro Casciaro, Bolzano, 2017; Horizon, Litvak Contemporary, Tel Aviv, 2016; Up-Becoming, Fridman Gallery, New York, 2016; Premio Fondazione VAF, Posizioni attuali dell’arte italiana, Chemnitz Museum of Art, Chemnitz, Stadgalerie Kiel, Museum of Art, Kiel, MACRO, Roma, 2016.
Come ti sei avvicinato alla pittura?
È stata una conseguenza del disegno, ma anche dell’immaginazione. Intorno ai vent’anni disegnavo sempre, in giro, spesso in battello senza meta o in osteria, anche lì senza meta. Fu in quel periodo che mi fu avanzata la proposta di essere assunto come esecutore, “ghost painter”, da un pittore che nei fatti non dipingeva. Pur sentendola imminente e inevitabile, all’epoca contavo poca esperienza pittorica, avrò dipinto sì e no sei quadri, quindi bleffai con il datore di lavoro ma, del resto, anche lui bleffava con tutti gli altri. Lui si svegliava sul tardi e arrivava in atelier nel primo pomeriggio, io prima del suo arrivo mi permettevo delle sperimentazioni, che poi dirottavo verso la comanda. Assaporavo così già la possibilità della modifica in corso d’opera, caratteristica ancora molto presente nella mia pittura. Questa faccenda, che fissò il mio rapporto con la pittura quotidianamente, durò non più di un paio d’anni nei quali potei fare molta esperienza senza spese, anzi percepivo un compenso di 1.000 euro al mese. Nel frattempo trovai per me anche un terribile studio in affitto.
Quali sono i maestri e gli artisti cui guardi?
A Venezia i primi inseguimenti sono stati rivolti prevalentemente ad artisti che lavorarono lì, dove potevo ancora trovare le loro opere e trovarle spesso. Ricordo Tintoretto, forse il primo che incontrai, il tardo Tiziano e anche pittori del Novecento come Luigi Tito, Vedova e Mušič.
A proposito del tardo Tiziano mi sento attratto da quella pittura stesa con le dita, con questo approccio maccheronico e viscerale, come Soutine, Twombly, Baselitz, Oehlen, Meese, Jungwirth e da qui già si legge la traccia da Venezia a Vienna, dove abito da qualche anno.
Dicevi che la tua pittura è una conseguenza del disegno. Che ruolo ha quindi il disegno nella tua pratica e in relazione alle tue opere?
Ha il ruolo di biglietto di solo andata o di andata e ritorno verso il territorio pittorico.
E il colore?
Uso poche tinte mescolate tra loro, amministrando i contrasti tra caldi e freddi.
Cosa significa e cosa comporta rappresentare un corpo?
Il corpo è il cardine che genera atteggiamenti contraddittori. In corso d’opera cambio spesso quasi tutto, preservando però di volta in volta un frammento dal passaggio precedente, è questo a suggerirmi il successivo sviluppo. Il frammento è riconoscibile come corpo o parte di questo o eventualmente per un corpo è un punto d’appoggio. Se lo sviluppo del dipinto si svolge come una metamorfosi, il corpo marca le fasi di questa.
Perché mettere in scena l’angoscia e la disperazione?
L’arte può funzionare come lo scudo che fa da specchio a Perseo il quale guarda, localizza e affronta la Medusa: se l’avesse guardata direttamente sarebbe rimasto pietrificato. Detto questo, non sono interessato a uno stato d’animo in particolare, ma tramite un botta e risposta tra opposti mi fermo sul punto di poter osservare un’ambivalenza.
C’è posto per l’ironia?
Sì, capita che tramite l’ironia possa far fare una capriola all’immagine, per un finale inaspettato, una sorpresa.
Quanto conta la tecnica? Sembra quasi che tu la voglia negare attraverso una certa violenza gestuale.
Quando stendo il colore, solo inizialmente con il pennello, poi cerco un contrappunto tattile per riscuotere la superficie, con le mani, con uno straccio, una scarpa o con qualcos’altro. Per me è importante questo fatto del digitale, nel senso che viene fatto con le dita. Al di là di quel che faccio, ragiono sul modo di pormi scegliendo tra essere morbido o secco, tra aggiungere o mimetizzare, tra essere pesante o primaverile ed eventualmente nel momento di finire un quadro riaprirlo e trattarlo come un nuovo inizio.
Nei tuoi soggetti è sempre sottesa una certa ambiguità, i volti sono negati, i corpi ridotti a frammenti, gli interni misteriosi, le azioni indecifrabili. Cosa vuoi, o non vuoi, raccontare?
Metto, cavo e metto, gli ingredienti necessari a un rapporto resistono, il resto lo copro ma anche quelle cancellature ritrovano possibili forme e ruoli. L’animale rappresentato è preda o cacciatore?
Quali sono le tue paure?
Le divisioni.
Come nasce un’opera quale Sonata per 12 gambe da camera del 2014?
Per mesi, forse un anno, ho lavorato a quel dipinto, che rappresentava qualcos’altro. Ma un paio di gambe per aria erano già presenti. Modificandolo, le cancellature mi hanno suggerito la forma che è diventata. Questo ultimo passaggio, dove più gambe appaiono sedute una sull’altra, è stato eseguito in maniera particolarmente rapida. In un ultimo momento ho aggiunto una bottiglia vuota sul pavimento, per suggerire una calma alterazione e un microfono che amplificherebbe il volume se si trattasse di suono, di improvvisazione, di orchestra comportamentale.
L’erotismo e la sessualità cosa rappresentano per te? Come e perché metterli su tela?
Sono l’origine e l’eventuale destinazione. In mezzo ci sta tutto il resto. Nella mia pittura sono piuttosto una metafora, delle prove di relazione in cui un certo gergo volgare viene ricontestualizzato in un rapporto tra società, politica, cannibalismo e giochi da spiaggia. Il verbo scopare è inteso in quasi tutta Italia solo nel significato sessuale. Per l’altro significato gli si preferisce spazzare (Treccani). Essendo il dipinto un possibile cavallo di Troia da salotto, sono interessato ai doppi sensi che figurativamente possono divaricare il significato, proponendo un argomento, commento qualcos’altro.
In un’epoca caratterizzata dal proliferare incontrollato delle immagini, la tua pittura come si relaziona con il digitale? E con video e fotografia? La tua prima mostra Fuck-Simile alla Galleria Alessandro Casciaro rappresentava una riflessione proprio su questo…
In quel caso il dipinto mi forniva l’archetipo che stava in attesa di un’addizione con l’immagine digitale, facendo il verso al green-screen, ma anche un parallelo al fondo oro dell’icona bizantina. Dipinsi gran parte della superficie con quel tipico color verde acceso, usualmente estraneo alla mia tavolozza, almeno se usato puro, coprendo ciò che ritenevo non necessario. Poi, fotografato il dipinto cosi finito e selezionando con Photoshop il colore verde, lo sostituivo con un’immagine proveniente dal mio archivio del telefono, trovando agganci sincronici tra immagini apparentemente distanti tra loro. Questo risultato l’ho stampato in formato di poster e, di fronte al dipinto su muro, funziona da cartolina per un’ipotesi di meta dell’immagine. Il dipinto rimaneva immobile come una sorta di matrice incompleta e il poster, di fronte, la proiezione di una sua possibilità.
Più che un commento alla società e la sua valanga di immagini, è una parodia del momento in cui si ha un’idea sviluppata da uno scontro di immagini. Ho cercato di capire quella ritmica e di trovare degli spazi perché questa succedesse. Lavoro anche sopra foto, sempre foto digitali scattate da me in giro, che stampo in grande formato e le rimetabolizzo usandole come principio per improvvisazioni narrative.
Figurazione e astrazione: dove finisce una e inizia l’altra?
La figurazione è negli occhi di chi guarda.
Come nascono i titoli delle tue opere?
I titoli potrebbero essere suggeriti da un amico immaginario o da un amico di un amico immaginario, ma anche da un passante. Li fisso nel momento di archiviare il lavoro o prima di spedirlo per una mostra. Capita che dopo anni dia un titolo già usato in passato per un nuovo lavoro. A volte ritornano.
Ci sono formati o tecniche che prediligi?
Lavoro contemporaneamente su supporti differenti, tela, pannelli di alluminio o legno, di varie dimensioni, cosi riesco a traghettare un’intuizione in diverse direzioni. Uso prevalentemente pittura a olio o almeno ci ritorno sempre. Lavoro volentieri anche sopra immagini già esistenti come foto, libri, i quadri incompleti del mio vicino di studio e se non trovo niente di qualcun altro provo a lavorare su un mio quadro, come se fossi un altro. Inoltre faccio foto in studio di possibili alfabeti visivi come pezzi di creta, carta accartocciata, e così via. Questi, una volta stampati, li incollo su dipinti da iniziare o già in corso. In studio uno scarto di qualcosa può diventare l’ingrediente seminale per qualcos’altro.
La tua è una pittura lenta o veloce?
È veloce il gesto, anche se impiego molto tempo poi per terminare un dipinto. Facendo varie pause, lo riprendo sempre come fosse la prima.
Cosa rappresenta per te il lavoro in studio?
Mischio le carte, ascolto buona musica ma anche buon silenzio.
Il cinema, la musica, la letteratura influiscono sui tuoi immaginari e sulla tua poetica?
Sì, ma soprattutto mi aiutano a dormire e poi a svegliarmi. Sicuramente poi qualcosa mi rimane e mi cambia un po’ la visione. Non credo di aver mai provato a tradurre una storia proveniente da un’altra disciplina, ma mi torna in mente volentieri lo stile di qualcosa che ho incontrato e quindi un bilanciamento tra caratteristiche speciali, che si presenta come una soluzione facile da assimilare.
Cosa significa fare pittura oggi?
Registrare, avendo a che fare con l’elettricità, la propria.
Vivi tra Vienna e Venezia. Da questi due diversi punti di osservazione, che idea ti sei fatto della scena della pittura italiana contemporanea e della sua percezione a livello internazionale?
Non trovo molta pittura italiana contemporanea all’estero, pochi esempi slegati, ma mi sembra che in Italia se ne parli e ci sia attenzione oggi. Personalmente ho avuto piacere negli ultimi anni di condividere giornate, pensieri e lavoro insieme a talentuose pittrici e talentuosi pittori, decifrando anche un sapore che può avere la pittura italiana oggi, ma rimane un segreto.
‒ Damiano Gullì
LE PUNTATE PRECEDENTI
Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
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Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
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