L’esercizio di stile della verità. Una mostra a Venezia
A plus A, Venezia – fino al 7 agosto 2019. Durante i giorni di inaugurazione della 58esima Biennale di Venezia, negli spazi di A plus A ha inaugurato una collettiva organizzata da NOVEL, una piattaforma curatoriale itinerante fondata da Alun Rowlands e Matt Williams. Una mostra dedicata alla finzione, alla narrazione e agli esercizi di stile nei confronti della pretesa di verità.
L’ingresso degli spazi di A plus A segna la scala umanistica, la voce del pensiero che attraversa l’attuale mostra collettiva, allestita su due livelli. Con il titolo Exercises in Style, il progetto installativo accentua l’aspetto razionale e astratto dei processi conoscitivi, sottraendo ogni stupore al misterioso potere dell’immagine interiore, provocato dalle pratiche della narrazione. Il duo curatoriale NOVEL (Alun Rowlands e Matt Williams) indaga, incorpora quel flusso di dati e di storie che animano i nostri sogni e che dominano la nostra veglia forse più di quanto si sia disposti ad ammettere, attraverso disegni, sculture, proiezioni, tavole, video e dipinti. Non risulta facile comprendere immediatamente l’ossessiva e quasi reverenziale attenzione per un processo esegetico di anatomia della trama, ma le variazioni sul tema di Helen Cammock, Keren Cytter, Loretta Fahrenholz, Anthony D Green, RB. Kitaj, Ghislaine Leung, Josef Strau e Bob van der Wal rischiarano una voce interiore. E, stemperando una narrazione dell’urgenza, gli artisti lavorano su un filone che contribuisce, attraverso piccole digressioni, a tracciare la trasformazione del materiale analitico dal quale il percorso prende le mosse.
FAHRENHOLZ E VAN DER WAL
In entrata una serie di proiettori per diapositive, sospesi attraverso catene metalliche, riproduce su angoli e pareti il medesimo racconto, un esperimento linguistico suggerito da Loretta Fahrenholz. Un racconto di Ilse Aichinger, dal titolo Mirror Story (1949), interpretato, immaginato da diversi autori di fumetti. Story in Reverse (2018), questo il titolo complessivo dell’installazione, riprodotta solo in tre e non in cinque sezioni, nel risalire gli inizi e la fine della storia di una donna si ricompone e si ri-racconta attraverso alcuni episodi della sua vita, riproducendo disegni che raffigurano le impredicibili vicende di un essere umano, immerso nella pienezza di una casualità designata. Le diapositive, proiettate sull’intonaco, ritagliano riquadri che illustrano spaccati atemporali, sospensioni stilistiche e intersezioni esperienziali di una generazione che utilizza la frammentazione narrativa come ritmo lineare e le sequenze logiche come devitalizzazioni di un tempo sintonico.
Accanto a Story in Reverse, Bob van der Wal ripropone, in parte ‒ rispetto all’installazione del 2018 alla Neue Alte Brücke (Francoforte) ‒ Study Notes (2016-19). Questo lavoro, installato e raggruppato su tre pareti, seguendo una sorta di dispaccio, suddiviso in tre sezioni, si presenta ulteriormente attraverso un richiamo scultoreo al centro e ai lati della seconda sala d’ingresso, estendendosi su tavole contenutistiche che si diramano come una sorta di diario diagrammatico. Una selezione di studi, in formato A3, su fondo grigio, che schematizzano, seguendo densità differenti, strutture narrative del potere, tracce sulla formazione dell’identità del soggetto, visioni sulle economie d’accumulazione, così come ipotesi sullo sfruttamento capitalistico e mappature di un ritorno in patria di un possibile eroe.
PAROLA AL CURATORE
“Eravamo interessati alla “svolta immaginaria” utilizzata da numerosi artisti” rimarca Alun Rowlands, “nella loro scrittura, nei contributi alla nostra pubblicazione e attraverso le rispettive opere. […] Abbiamo discusso della mostra come una serie di atti. Una scenografia di scrittura / narrazione di atti fisici ma anche come forma di pubblicazione, distribuzione e comunità. Con i testi descrittivi di Gil, si tratta di registrazioni fattuali e descrittive dei libri che stava esaminando. Per noi era importante che questa fosse la prima opera, che fungeva da prologo o prefazione per la mostra”.
“Lo storytelling”, riprende il curatore, “qui è diverso dal cronista secolarizzato di Benjamin, liberato dalla spiegazione o dall’analisi, ma condivide i canali attraverso i quali gli artisti sono liberi di proliferare ragnatele e connessioni ‒ come si vede in Fahrenholz con la connettività letterale del multi-autore della rivisitazione di una storia specifica. In queste storie tutto è collegato. Come le origini storiche della scrittura, temuta per un potenziale utilizzo nella diffusione di informazioni false con la capacità della parola scritta di ridurre la conoscenza sociale. Questo fa eco nella citazione di Nietzsche di R.B Kitaj e nell’avvertimento sul potere del falso. La politica e l’arte, come le forme di conoscenza, costruiscono “finzioni”, vale a dire ri-arrangiamenti materiali di segni e immagini, relazioni tra ciò che viene visto e ciò che viene detto, tra ciò che viene fatto e ciò che può essere fatto”.
‒ Ginevra Bria
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