Street Art e amministrazioni locali. La cancellazione delle opere è la strada giusta?
Giovanni Maria Riccio, professore di Legislazione dei beni culturali e di Diritto d’autore all’Università di Salerno, affronta un problema delicato, quello della cancellazione degli interventi di Street Art da parte delle amministrazioni locali.
Ostia. Un murale che ritrae personaggi locali del presente e del passato, noti per ragioni diverse, ma tutte positive, è stato ‘ritoccato’ dall’amministrazione comunale, perché alcuni dei volti ritratti sarebbero ‘divisivi’. Si è quindi intervenuto con la cancellazione di parti del murale, opera di Lucamaleonte, artista noto a livello internazionale, con una delibera comunale, non considerando in alcun modo né i diritti dell’autore all’integrità dell’opera, né il pregiudizio al suo valore artistico.
Qualche giorno fa a Baronissi, piccolo comune del salernitano, confinante con il campus universitario, è comparso un altro murale, ritraente due scimmie e il ministro dell’interno, condito da una frase evocativa, “49 milioni di anni fa”. Un richiamo darwiniano all’evoluzione della specie, dal primitivo a Salvini. Con un post sulla sua pagina Facebook, è intervenuto il rettore dell’Università di Salerno, candidato alle elezioni europee per la Lega, che ha lamentato l’offesa a un ministro della Repubblica e ha accusato di lassismo il sindaco ‘piddino’ della cittadina campana. Quest’ultimo, sempre con un post sul social network, ha immediatamente disposto la rimozione dell’opera. Colpiscono le parole utilizzate dal primo cittadino di Baronissi: “Ne ho disposto l’immediata rimozione. Pur rispettando il diritto alla satira e alla creatività, tale atteggiamento non rientra nello stile del sottoscritto né in quello dell’Amministrazione che mi onoro di guidare”.
Le questioni sono quindi due. Da un lato, fin dove può spingersi il diritto di satira; dall’altro, se le amministrazioni locali siano legittimate o meno a cancellare o modificare opere d’arte.
RICORDATE CHARLIE HEBDO?
Quando avvennero i fatti tragici di Parigi, i profili dei social network si affollarono di bandiere francesi, per manifestare sì il dolore, ma anche il rispetto dei valori occidentali, tra cui il diritto di satira, anche se l’ironia non fosse apprezzata da tutti e avesse toni violenti. In tanti si dichiararono paladini della libertà: dov’è finito questo afflato adesso che si cancella un murale il cui significato è critico, ma che – almeno a parere di chi scrive – non travalica i confini dettati dalla legge?
La Cassazione, in molte sentenze, ha ribadito la differenza tra diritto di cronaca, di critica e di satira, affermando che quest’ultima – rientrando nello spettro di tutela dell’art. 21 della Costituzione sulla libertà di manifestazione del pensiero – “consiste nella riproduzione ironica, paradossale e surreale di una situazione anche inverosimile e dipinta con iperboli, espressione di un giudizio sul fatto che necessariamente assume connotazioni soggettive ed opinabili e che, per definizione, non si presta ad una dimostrazione di veridicità, ben potendo essere svolta con modalità polemiche, corrosive ed impietose”.
Insomma, Salvini non è l’evoluzione della scimmia e dell’uomo di Neanderthal, ma la sua rappresentazione, seppur paradossale e polemica, rientra pienamente nei canoni del diritto di satira.
RICORDATE SIRONI?
Risolta la questione sulla satira, resta da valutare la legittimità degli interventi, di cancellazione o di modifica, sulle opere.
Non tutto ciò che è scritto sui muri deve essere protetto, ci mancherebbe. Le dichiarazioni tra fidanzati, la cui eternità è affidata al muro di qualche incolpevole immobile, dovrebbero durare come gli amori affrettati, che si dissolvono il primo giorno di vacanza in qualche isola del Mediterraneo. Questo è un caso di vandalismo, non v’è dubbio, che va cancellato e merita l’oblio. In tali ipotesi, quindi, si ricade nella previsione di cui all’art. 639 del codice penale, che punisce il deturpamento e l’imbrattamento delle cose altrui. Questa disposizione normativa è applicabile al caso della Street Art? In altre parole, è possibile distruggere un’opera d’arte perché realizzata su un bene altrui?
La questione è complessa e si imbatte nel nodo complesso delle regole proprietarie che regolano tali opere. Chi è il proprietario di un murale? L’artista? Il proprietario, pubblico o privato, del muro? La collettività, nel caso in cui le opere siano site specific, ossia pensate per un luogo specifico?
Sul punto, le Corti manifestano una posizione oscillante. Da un lato, si è sostenuto che la distruzione dell’opera sia legittima anche nel caso in cui l’autore sia noto: è quanto ha affermato, ad esempio, il Tribunale di Bologna, per un’opera di AliCè. In altri casi, si è sostenuto l’esatto contrario, ossia che la qualità artistica dell’opera dovrebbe essere protetta, anziché distrutta.
“Chi è il proprietario di un murale? L’artista? Il proprietario, pubblico o privato, del muro? La collettività, nel caso in cui le opere siano site specific, ossia pensate per un luogo specifico?“
Tornando ai due casi di Ostia e Baronissi, va detto però che, da un punto di vista giuridico, siamo al cospetto di fattispecie differenti. Leggendo le disavventure dell’opera di Lucamaleonte non può non tornare alla mente la storia dell’affresco di Sironi, presente nell’Aula magna della Sapienza, da cui furono cancellati i richiami al regime fascista. Una brutalità – giustificabile in parte solo in chiave storica, riflettendo sul particolare momento in cui avvenne tale scempio – che riporta alla mente la sorte dei Buddha di Bamiyan da parte dei talebani, non il decoro.
L’opera di Lucamaleonte, autorizzata e commissionata dalla municipalità locale, non può rientrare nella fattispecie di cui all’art. 639 del codice penale. La messa a disposizione del bene su cui è stata realizzata l’opera, infatti, è stata concessa dall’amministrazione, nessun illecito è stato commesso. Quindi, non può che concludersi che l’opera è stata vandalizzata, in spregio all’art. 20 della legge sul diritto d’autore, che assegna all’autore “il diritto di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione”.
Il murale di Baronissi, invece, è stato eseguito in assenza di autorizzazione. Quindi, in questo caso, il codice penale sembrerebbe legittimare l’intervento dell’amministrazione comunale.
La domanda che, tuttavia, dovremmo porci – sganciandoci da una lettura formalistica delle norme giuridiche – è la seguente: siamo certi che imbiancare una scritta che inneggia alla propria squadra del cuore sia lo stesso che cancellare un’opera d’arte? E, ancora prima, si dovrebbe affrontare un ulteriore interrogativo: siamo convinti che questa decisione possa essere affidata a un sindaco?
Lucamaleonte, tra cinquant’anni, sarà forse ricordato come Sironi. Oggi cancelliamo dai muri tutto ciò che ci è sgradito, come ha fatto una sindaca che avrebbe rimosso tutti i murales di TVBoy che la rappresentavano, eccezion fatta per quello in cui è raffigurata con il vestito di Wonder Woman. Un decoro selettivo, verrebbe da dire, dove le ragioni che soggiacciono alle regole sul vandalismo si colorano di connotati censori.
Esistono le Soprintendenze, come gli amministratori locali sanno bene. Sindaci che raramente si chiamano Argan e che, verosimilmente, non hanno gli strumenti culturali per giudicare il pregio e il valore artistico di un’opera. Non sarebbe il caso di ragionare – prima di arrecare danni irreparabili al patrimonio culturale – su un intervento legislativo che imponga ai sindaci di consultare tali enti prima di procedere alla rimozione, distruzione o modificazione delle opere di arte urbana?
‒ Giovanni Maria Riccio
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