La Stagione, allo Spaziosiena una rassegna di videoarte. Intervista al curatore Vincenzo Estremo
Lo spazio d’arte contemporanea vicino a Piazza del Campo, inaugurato nel 2017, presenta un programma di quattro appuntamenti a cadenza mensile che traccia la storia della videoarte dagli anni Novanta a oggi
Il centro d’arte contemporanea Spaziosiena (di cui vi abbiamo già parlato qui) propone La Stagione, una nuova rassegna curata da Vincenzo Estremo con l’ambiziosa finalità di educare alla storia e all’evoluzione delle immagini in movimento dagli anni Novanta a oggi. “La mia prima idea era quella di portare a Siena una mostra sulla videoarte ma, per presentare una proposta di qualità e filologicamente impeccabile, era necessario aprire un dialogo con un curatore che fosse esperto in materia”, spiega Stefania Margiacchi, che gestisce lo spazio senese insieme ad Alessia Posani. “Avevo conosciuto Vincenzo Estremo per la collettiva Vie di fuga, allestita all’interno di Société Interludio, la galleria torinese di mia proprietà, co-gestita con l’artista Paul de Flers. Con Estremo lo scambio sulla video arte è stato naturale e continuo. In poche settimane mi ha proposto quella che poi è diventata La Stagione: una serie di incontri preparatori sul tema che vanno a sostituire il formato classico di mostra. Ogni screening video ha infatti una valenza didattica fondamentale”. Il risultato è dunque una programmazione in quattro appuntamenti a cadenza mensile (si parte giovedì 8 agosto alle 19.00 con l’opera video Cités Antérieures: Siena di Christian Boustani): un progetto interamente sponsorizzato da una realtà privata, la boutique Dolci Trame di Siena, e con la courtesy di Vidéographe, Montréal. Abbiamo intervistato il curatore Vincenzo Estremo.
Tre parole per descrivere la necessità di una rassegna di videoarte a Siena.
La necessità di fare una rassegna sull’immagine in movimento oggi è qualcosa che va oltre le questioni geografiche e sicuramente va oltre la descrizione per tag. Siena è una città che per me rappresenta una sfida: qui vi è una sottile ma costante tensione tra la storia e la contemporaneità (Siena è stata una delle prime città italiane a essere cablata con la fibra ottica); una città dove ha lavorato e vissuto Omar Calabrese, che ha formato tante persone con una particolare attenzione alla ricerca sui linguaggi dell’arte e della comunicazione televisiva, e quindi video. Per questi e per tanti altri motivi, credo che Siena sia il luogo ideale dove portare una rassegna sul video e sull’immagine in movimento, e sono molto contento che Spaziosiena abbia pensato a me per avviare questa progettualità.
Immagini in movimento e scelte curatoriali. Difficile condensare quasi sessant’anni di video arte in quattro appuntamenti. Tu ti sei concentrato sull’ultimo trentennio: perché questo periodo e come hai selezionato la rosa di artisti in programmazione a Spaziosiena?
Quando mi occupo di curatela dell’immagine in movimento penso sempre alle possibilità stesse che possono esserci in questa pratica. Non esistono figure specifiche o tassonomie curatoriali ma credo che, così come è accaduto in altre branche della conoscenza, anche nella curatela la tendenza a specializzarsi su alcuni ambiti sia un dato di fatto. Il curatore cinematografico, quello dell’immagine in movimento, è di per sé una figura ibrida che deve saper adattare i propri discorsi ai contesti e provare a portare avanti le scelte che vengono fatte. In questo caso sono partito con un omaggio alla città di Siena, attraverso il lavoro Cités Antérieures: Siena, realizzato nel 1992 da Christian Boustani, per poi concentrarmi su questioni tematiche. Ecco quindi che si parlerà di analisi introspettive e sul genere con Sadie Benning, di storia e memoria con Maya Schweizer e della relazione tra politico e immagine in Italia con Alterazioni Video.
Avere a che fare con la videoarte significa anche interrogarsi sul tempo. Il tempo della storia (raccontata), il tempo del racconto (dell’opera video) e il nostro tempo (di fruizione). Come è cambiato dagli anni Sessanta a oggi, in una società che ha sempre meno tempo a disposizione, il nostro modo di fruire video?
Ho lavorato tanto alle temporalità dell’immagine in movimento; insieme ad Alessandro Bordina e a Francesco Federici ho curato un volume che rifletteva proprio sul tempo: Extended temporalities. Transient visions in the museum and in art (2016). La pluralità dei “tempi” dell’immagine in movimento è qualcosa che mi affascina e che spesso è al centro delle analisi sull’immagine (anche quella statica). Credo che, se è vero che viviamo in una sorta di sincope indotta dallo stile di vita, sia anche necessario provare a capire in che modo le strategie curatoriali possano essere utilizzate per contestualizzare e narrare gli eventi che si svolgono su scale temporali di gran lunga superiori a quelle della durata della vita umana individuale. L’arte contemporanea ha pensato, ha riflettuto sulle questioni storiche tra l’inizio degli anni Zero sino a qualche tempo fa. Un tentativo, soprattutto attraverso il video e il film, di riportare la storia al centro di una discussione che ridefinisse privilegi ed egemonie. Negli anni Sessanta, la temporalità infinita del video, che non veniva registrato ma che spesso era utilizzato come flusso, è sopravvissuta in esempi di temporalità espanse dell’arte di oggi, che sono spesso dei tentativi di resistenza e di critica all’asfissia del tempo.
Nell’epoca dei social network e delle dirette web, ogni giorno i nostri occhi sono sempre più abituati e sempre meno educati alla vista di immagini in movimento, tanto che diventa ardua la concentrazione sui messaggi e la stessa cernita di informazioni. La videoarte può ancora essere definita oggi come “nuovo media”?
Ho parzialmente risposto a questa domanda quando ho menzionato i tentativi resistenti di una certa tipologia di lavori video e di film d’artista che richiedono e pretendono attenzione. La storia e il ciclo vitale dei media sono qualcosa che tanti studiosi hanno provato a rendere chiari; quando parlo ai miei studenti di media life cycle dico sempre che, se è difficile trovare o individuare precisamente la nascita di un medium, è pressoché impossibile capirne la data di morte e/o di scadenza. I media confluiscono gli uni negli altri, come in un sistema di vasi comunicanti. La necessità di definirli nuovi è strettamente legata a questioni di codifica dello studio. La media archeologia ci sta mostrando che tanta della tecnologia contemporanea ha avuto radici in devices pre-tecnologici che hanno avuto effetti simili a quelli dei media contemporanei.
La videoarte riesce ancora a “catturare l’attenzione” dell’osservatore nella bulimia di immagini che quotidianamente scorrono davanti a noi?
Con Erkki Huhtamo abbiamo parlato delle tremende conseguenze sulla capacità di concentrazione dei londinesi del XIX secolo dopo la diffusione del Caleidoscopio: le persone non riuscivano a fare altro che guardare in quei tubi, i quali generavano immagini randomiche. Forse questo potrà ricordarti qualcosa: un atteggiamento a cui siamo abituati con la gente che in metro, a casa o in qualsiasi altro posto, non riesce a staccare gli occhi dallo smartphone. Io sono dell’idea che “catturare l’attenzione” sia una sorta di forzatura, un mostrare i muscoli. A questa tipologia di relazione mediatica ne preferisco una di tipo critico. Preferisco che il video, il film, la fotografia, le app, lascino il tempo per pensare e per scegliere, invece di invadere e fare prigionieri.
– Martina Marolda
Siena // 8 agosto 2019 – ore 19
La Stagione – a cura di Vincenzo Estremo
Spaziosiena
Via di Fontebranda 5
www.spaziosiena.com
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati