Muore a 73 anni il fotografo Sergio Scabar. Il ricordo di Angela Madesani
Tra i principali interpreti della fotografia italiana contemporanea, Scabar si è spento l’8 agosto a Ronchi dei Legionari (GO). La curatrice Angela Madesani lo ricorda in questo articolo
Ricordo ancora quando ho visto per la prima volta le opere di Sergio Scabar, ero nella galleria romana di Cristina Lipanje e Marco Puntin. Ne sono rimasta folgorata e ho così deciso di mettermi in contatto con questo artista che viveva nel profondo nord est d’Italia, a Ronchi dei Legionari. L’ho chiamato al telefono, mi ha spedito un suo catalogo e non molto tempo dopo sono andata a trovarlo, non avevo mostre da proporgli, ma volevo conoscerlo. Mi sono subito resa conto di trovarmi di fronte a un grande artista.
LA FOTOGRAFIA DI SERGIO SCABAR
Il suo studio era un luogo straordinario, su un grande pannello c’era la storia del suo cammino, inviti, ritagli, immagini di artisti, che anche io amavo. Da Josef Sudek a Vimercati da Giuseppe Cavalli alla fotografia di ricerca degli anni Settanta. E tanti libri, Scabar era un uomo informato, colto, con il quale si poteva parlare di molte cose. Guardava alle ricerche che lo interessavano senza invidia, con il desiderio di conoscere, di capire. Ha, quindi, iniziato a mostrarmi i suoi lavori, i più recenti. Ognuno era avvolto in un panno nero morbidissimo. Sergio li trattava come dei bambini che non dovevano prendere né luce, né freddo. Tra noi, da quel momento, è iniziato un rapporto fatto di affinità elettive, se mi è concesso scriverlo, senza essere fraintesa. L’ho coinvolto in alcune mostre da me curate, ho proposto una sua personale a Milano e ogni volta trovavo in lui una grande disponibilità, l’umiltà di chi non ha bisogno di strafare, perché conosce il valore della sua ricerca.
LA MOSTRA DI SERGIO SCABAR A PALAZZO ATTEMS PETZENSTEIN A GORIZIA
Qualche mese fa ho scoperto della sua malattia, che subito si è manifestata nella sua gravità. Ho chiamato a casa, ho parlato con sua moglie Lucia, compagna intelligente e partecipe della sua vita, Sergio stava male. Poco tempo dopo la municipalità di Gorizia ha deciso di organizzare a Palazzo Attems Petzenstein la prima grande mostra antologica di Scabar, appoggiata dallo Studio Faganel, galleria di riferimento dell’artista. Una mattina di marzo Lucia mi chiama e mi passa Sergio che mi chiede, sempre schivo e poco propenso alla chiacchiera telefonica, di scrivere un testo per il libro che sarebbe uscito in occasione di quella mostra antologica, a cura di Guido Cecere e Alessandro Quinzi. Ho avuto così modo di riguardare, ristudiare i suoi lavori, di poterne riparlare, di potere sottolineare quanto gli oggetti di Scabar siano portatori di un’aura, che ne determina l’unicità, la non banalità per quello che rappresentano all’interno della sua storia. Scabar non ha raccontato delle storie. Ha bloccato quegli oggetti in un tempo. Li ha sospesi. A fine giugno la mostra Oscura camera ha inaugurato, con un grande catalogo, bellissimo, edito dai suoi galleristi. Una mostra che consiglio di visitare per la sua forza e l’intelligenza propositiva. Sergio ne ha seguito l’allestimento, affaticato, ma felice di quella occasione che gli ha dato modo di riguardare, di ripensare. Lo ricordo, la sera dell’inaugurazione, seduto in fondo alla sala, magro, serio, di pochissime parole, attorniato da chi gli chiedeva un autografo, da chi lo salutava. Tristemente sospettavo che sarebbe stato il nostro ultimo incontro, così è stato.
– Angela Madesani
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