Viaggio nella street art yemenita. Parola a Luca Scarcella

La nostra serie di interviste sulla Street Art passa la parola a Luca Scarcella, autore di un web documentary sull’arte yemenita.

Luca Scarcella, classe 1989, è giornalista freelance ed esperto di social media, e collabora con il quotidiano La Stampa dal 2016. Prossimo al trasferimento a Los Angeles, ha pubblicato due web documentary che hanno registrato un ottimo riscontro in Italia e all’estero, venendo definito come “uno dei più influenti under 30 in campo editoriale, in grado di unire efficacemente nuove tecnologie, social media e giornalismo”.

Ti sei occupato di questo viaggio nella street art che parte dall’Italia e arriva in Medio Oriente in un web documentary chiamato Sui Muri della Libertà, con protagonisti Murad Subay e Andrea Villa, due artisti a confronto. Ci racconti questa esperienza? Perché hai scelto di occupartene? Che cosa ti ha portato? Cosa e dove ti sta portando ora?
Era ormai un po’ di tempo che seguivo i fatti di cronaca provenienti dallo Yemen: ho studiato e letto parecchio, e mi sono soffermato sul sistema educativo del Paese, poiché ritengo che l’educazione sia una delle colonne portanti della civiltà, ovunque nel mondo, e sono appassionato di pedagogia. Ho creato quindi un web documentary incentrato sul tema e per analizzarlo ho messo a confronto il sistema yemenita con quello italiano, attraverso due interviste a due street artist: Murad Subay di Sana’a e Andrea Villa di Torino.
Oggi sono due giovani adulti che, nonostante le enormi differenze di percorso educativo ed esperienziale, esprimono le loro idee allo stesso modo, attraverso la street art, come reazione intellettuale e creativa alle difficoltà sociali, anche queste dissimili, dei due Paesi. Il web doc ha avuto un’ottima risposta da parte dei lettori, in particolare in Yemen. In futuro l’intenzione è di approfondire la mia conoscenza del mondo arabo, andando fisicamente in Medio Oriente, per offrire notizie e storie riprese da una prospettiva nuova, attraverso le mie “lenti”.

Come hai conosciuto Murad Subay?
Nel 2017 ho organizzato un TEDx Salon al Museo d’Arte Orientale di Torino proprio sullo Yemen e sul suo patrimonio artistico, in pericolo a causa della guerra civile. Dopo alcune ricerche col mio team, sono venuto a conoscenza dell’arte di Murad, e così l’ho contattato attraverso il suo sito web. Portarlo a Torino era però logisticamente complesso in quel momento, ma abbiamo mantenuto i contatti e nel corso dei mesi ci siamo scambiati opinioni e idee. Non l’ho mai incontrato di persona, purtroppo, ma lo considero un amico.

Perché viene definito “il Banksy yemenita”?
Perché nella comunicazione si tende a semplificare i messaggi portandoli su un piano comprensibile ai più: oggi Banksy è parecchio conosciuto e in questo modo, dicendo “il Banksy yemenita”, fa subito capire di che si sta parlando. Ci sono molte differenze tra i due, in realtà, a partire dall’identità di Murad, che non è affatto segreta. Si espone, senza paura, in un ambiente drammatico e pericoloso, con un enorme coraggio che trasmette forza e speranza a tutti i suoi concittadini.

Mortar Rose, Yemen, 2017. Photo Murad Subay

Mortar Rose, Yemen, 2017. Photo Murad Subay

Come viene vissuta l’arte in strada di Murad Subay, in un Paese dilaniato come lo Yemen?
In Sui Muri della Libertà è possibile trovare sei tavole illustrate dall’artista Libero Ruglio, che ha collaborato con me e Sergio Sofia (web designer) alla realizzazione del web documentary. Le illustrazioni offrono alcuni momenti di vita dello street artist intervistato. Murad si esprime attraverso i graffiti, cerca di coinvolgere la popolazione in progetti di street art. Offre messaggi sociali forti. Vorrei citare qui una frase che mi disse Murad in una intervista: “Essere ottimisti o pessimisti non cambia niente. Ciò che fa la differenza è agire, fare qualcosa. L’arte mi dà forza, e dà forza alle persone”.

Un messaggio che senti di dover far emergere da questo progetto.
Non perdere mai la voglia di combattere per le proprie idee e per il futuro.

Che valore ha oggi parlare di street art?
Ha un grandissimo valore. La street art è cultura e c’è bisogno di parlare di cultura, di vedere cultura, di assaporare cultura. La street art ci offre nuovi punti di vista da cui scrutare il reale.

La diffusione sul web e sui social oggi, come sappiamo, ha fatto esplodere questa forma d’arte: cosa porterà questo in termini di eredità nel futuro? Che cosa ci aspetta?
I social media sono sia uno strumento di diffusione, sia un luogo virtuale d’incontro. C’è ancora moltissimo da fare per una “educazione civica” all’uso di queste piattaforme, e l’arte può aiutare. Il digitale ha permesso agli artisti di esprimersi in modo innovativo, ha portato l’arte contemporanea su un nuovo livello rispetto al passato. Viviamo in un tempo meraviglioso e unico, né più né meno di tutti quelli precedenti e di quelli che verranno. Dobbiamo capirlo, e abbracciarlo.

Children of Graves, 2017, Camp Amran. Photo Murad Subay

Children of Graves, 2017, Camp Amran. Photo Murad Subay

Si è scritto che “l’arte potrà salvarci”: da attento giornalista, studioso, conoscitore dei linguaggi, viaggiatore quale sei, pensi potrà essere così? In che misura?
L’arte l’ha sempre fatto. Il nostro tempo è complesso tanto quanto il passato. Ma ora lo guardiamo e analizziamo con strumenti tecnologici e cognitivi diversi. Credo sia importante lasciarsi contaminare, lasciarsi ispirare dal diverso, sperimentare con coraggio e ritornare ad amare il linguaggio privo d’odio. L’arte è un linguaggio privo d’odio.

Hai in programma altri lavori di questo tipo?
Sì, a breve uscirà un mio nuovo web documentary su processi di democratizzazione e migrazioni, ed esso stesso diverrà street art attraverso un mix di online e offline, ma non posso dire altro per ora.

Nella parte finale del tuo progetto, scrivi: “Questo è un tempo in cui bisogna prendere una posizione, non si può restare in attesa che gli avvenimenti facciano il proprio corso. Nel mondo dell’arte, però, occuparsi di attualità non è qualcosa di ben visto”. Perché?
Sì, è una frase dello street artist torinese Andrea Villa, con cui concordo. Credo che non sia ben vista poiché l’arte contemporanea è “divisiva”, prende posizione e cozza con le esigenze commerciali. Ma l’arte contemporanea ha sempre offerto nuovi modi di comprendere il sociale, anche facendo satira, esagerando senza paura. E forse l’esagerazione spaventa i più: ma esagerare, secondo me, smuove i corpi e le menti dalle loro zone di comfort, e ciò fa progredire la società e la cultura.

‒ Alessia Tommasini

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Alessia Tommasini

Alessia Tommasini

Sono veneta di nascita, ho abitato per anni a Roma e ora a Firenze. Mi sono laureata in Filosofia a Padova e subito ho cominciato a muovere le mie prime esperienze nel campo della creatività e dell'arte, formandomi come editor,…

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