#FacebookCapra: Sgarbi porta Zuckerberg in Tribunale per la censura dell’arte sui social
Il critico d'arte, anche Presidente della Fondazione dedicata ad Antonio Canova, ha deciso di ricorrere alla legge per chiedere giustizia contro il noto social network.
Era nell’aria da mesi e ora è arrivata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: Vittorio Sgarbi ha annunciato che farà causa a Facebook e Instagram per aver ancora una volta censurato immagini di opere d’arte.
IL CASO
Ad essere stati oscurati sono stavolta i nudi del Canova, esposti nella Gypsotheca di Possagno. Vittorio Sgarbi, in qualità di presidente della Fondazione Canova, insieme al Sindaco, Valerio Favero, hanno così deciso di adire per vie legali contro il colosso di Mark Zuckerberg. L’impossibilità di utilizzare figure di opere come Le tre Grazie, arreca infatti un grave danno al museo, che è così limitato nella comunicazione di eventi, mostre e attività, con perdite anche economiche. Per tale motivo, i due hanno deciso di andare in Tribunale e chiedere un congruo risarcimento danni.
LA PROPOSTA
La querelle non è una novità: già in passato il critico d’arte ha preso di mira la mannaia della censura di Facebook e Instragram, tanto da lanciare la proposta di assumere storici d’arte tra le file dello staff dei social. In effetti la questione ha “toccato” molte istituzioni culturali: ricordiamo il recente caso di censura del video promozionale lanciato da Palazzo Strozzi su Instagram per la mostra dedicata a Natalia Goncharova, persino l’“Angelo Incarnato” di Leonardo Da Vinci è stato vittima dell’algoritmo di Facebook, per non parlare di “Morte e Tradimento” dell’artista pop Sergio Cavallerin in mostra a Gualdo Tadino.
LE CONSEGUENZE
La faccenda sembra dunque farsi seria, in un momento storico in cui la comunicazione sembra non possa fare a meno di viaggiare sui social. Non si tratta più di un semplice fastidio, ma di un vero e proprio ostacolo alla divulgazione di arte e cultura. Al grido di #FacebookCapra, ci uniamo allora alla battaglia del critico d’arte, che stavolta, scomodando gli artt. 21 e 33 della Costituzione, a tutela della libertà di espressione e della libertà delle arti e delle scienze, sembra battersi per una giusta causa. Anche per la sua immagine.
–Roberta Pisa
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