Endre Tót – Very Special Gladnesses
Endre Tót abbraccia da circa cinquant’anni i concetti di Zero e Joy. Zero come nulla, Joy come metafora della situazione attuale e, in un senso più ampio, dell’esistenza stessa. Da una prospettiva logica si tratta, se vogliamo, dei due estremi dell’esistenza umana: asserzione e negazione.
Comunicato stampa
In characterising Endre Tót’s career as an artist, which spans nearly five decades, Zero and Joy are undoubtedly the first two concepts to be mentioned. Zero, as nothing, signifies absence or nonexistence, while Joy is a metaphor for the current situation, for the momentariness of the here and now – for presence, and, in a broader sense (as attested to by the Tót’s works) existence itself. From a logical perspective, at the two extremes of human existence, we find assertion and denial. Zero and Joy as ideas first appeared in Endre Tót’s art in 1971. Having abandoned painting at the beginning of the decade, the artist’s first Joy-piece was a cardboard sheet in postcard format bearing the sentence: “I am glad that I could have this sentence printed.” This seemingly insignificant piece – which could be regarded as representative neither in terms of its size, nor in terms of its medium – then became the prototype for all subsequent Joy-pieces, which always incorporate as their fundamental component a statement that starts with the words “I am glad if/when...” (appearing on the work itself, or in its title). This simple little print out, whose sole objective is to convey the artist’s joy in creating his artwork, is an ironic artistic gesture aimed at criticising the socialist dictatorship of the 1970s.
Decades later, the artist wrote the following: “My ‘Joys’ were the reflections of the totalitarian state of the seventies. I responded with the absurd euphoria of Joys to censorship, isolation, suppression sensed in every field of life, though this suppression worked with the subtlest means, hardly visible. Nonetheless I was not a so-called politically committed artist. I responded most indirectly to the age I had to live in. With humour and ease, and some philosophy. I consistently avoided dark colours and drama in the works. If I disregard the stifling effect of the ideology of the age, I would say these were the joys of loneliness, the delight of solitude. Something one can experience in suppression, but in the greatest freedom as well.
Tót’s Joy-idea, during the 1970s, was implemented through various media in countless works, in the form of typewritten works on paper, public actions, artist stamps, mail art works, artist’s books, photos, and films, among others. He made the image of his own laughing face the symbol of his Joys, which – thanks to its simple mailability and its appearance in numerous major international exhibitions – by the end of the decade, had become known worldwide as Endre Tót’s trademark, as had the adjective “Total”, formed playfully from his name.
The Joy-idea also served as a point of departure for Endre Tót’s actionism, which unfolded during the first half of the ‘70s. His first, solely textual conceptual works were soon followed by pieces that incorporated bits of visual information as well. He also began creating his series entitled Very Special Gladnesses, in which his photos were accompanied by text. Showcasing Endre Tót’s works at the 1971 Paris Biennale earned him international recognition and laudation, which, in turn, resulted in numerous invitations for appearances abroad. He performed actions before an audience on numerous occasions in Western Europe, as well as in Yugoslavia and Poland, taking advantage of the exhibition opportunities these Eastern Bloc countries had to offer.
Endre Tót’s first artist’s book entitled My Unpainted Canvases, published in 1971, can be regarded as a manifesto of his turning away from painting. Just as the empty rectangles took the place of painting reproductions, in the artist’s first Zero works, the characters of the featured text were replaced by zeros. These paper-based, typewritten or printed pieces, which were intended for postal delivery and then actually posted, belonged to the genre of mail art. Endre Tót was one of the pioneers of mail art; owing to his unique pieces and extraordinary activities, he was moving in the exclusive circles of the most prominent artists associated with fluxus and conceptual art. The sign “Zero”, as an embodiment of the mathematical concept of nothing – which, in earlier pieces, by covering up words and sentences, alluded to communication (or rather lack, insufficiency and impossibility thereof) – underwent a gradual process of emancipation and increasingly became a central motif as the symbol of nothing, or absence, now accompanied by real (often Joy-) sentences. For Endre Tót, the creation of his works is primarily an intellectual activity, he expects the same of those who will view them.*
Very Special Gladnesses is Endre Tót first solo show at Loom Gallery and takes its title from a series of double-page works published in July 1976 on Flash Art Issue n. 66-67. Those works are now exhibited in the gallery.
Text by Orsolya Hegedus.
Endre Tót | Very Special Gladnesses
Inaugurazione Mercoledì 25 Settembre, 19 - 21
Mostra 26 Settembre - 03 Novembre 2019
Orari Martedì / Sabato, 12 - 19 o su appuntamento
Endre Tót abbraccia da circa cinquant’anni i concetti di Zero e Joy. Zero come nulla, Joy come metafora della situazione attuale e, in un senso più ampio, dell’esistenza stessa. Da una prospettiva logica si tratta, se vogliamo, dei due estremi dell’esistenza umana: asserzione e negazione. Zero e Joy appaiono per la prima volta nel lavoro di Endre Tót nel 1971 quando, avendo abbandonato la pittura all’inizio del decennio, realizza un foglio di cartone in formato cartolina con la frase: “I am glad that I could have this sentence printed.” Questo intervento apparentemente insignificante diviene il prototipo di tutti i successivi Joy- pieces, che presentano come componente fondamentale, una dichiarazione che inizia con le parole “I am glad if/when...” sull’opera stessa o nel titolo. La semplice piccola stampa, il cui obiettivo è quello di trasmettere la gioia dell’artista nel creare le sue opere, si pone come gesto artistico ironico volto a criticare la dittatura socialista degli anni ’70.
Decenni dopo l’artista scrive: “Le mie Joys erano i riflessi dello stato totalitario degli anni Settanta. Ho risposto con l’assurda euforia di Joys alla censura, all’isolamento, alla soppressione percepita in ogni campo della vita, sebbene questa soppressione abbia funzionato con i mezzi più sottili, difficilmente visibili. Nondimeno non ero un cosiddetto artista politicamente impegnato. Ho risposto più indirettamente all’età in cui dovevo vivere. Con umorismo, facilità e una certa filosofia. Ho costantemente evitato i colori scuri e il dramma nei lavori. Se trascurassi l’effetto soffocante dell’ideologia dell’epoca, direi che queste erano le gioie dell’isolamento, il piacere della solitudine. Qualcosa che si può sperimentare nella soppressione, ma anche nella più grande libertà.” Negli anni ’70 l’idea di Joy si sviluppa e si amplia attraverso l’impiego di vari media tra cui dattiloscritti su carta, azioni pubbliche, francobolli per artisti, opere di mail art, libri d’artista, fotografie e film. L’immagine del suo volto che ride diviene ben presto il simbolo delle sue Joys, che, grazie alla sua semplice corrispondenza e alla sua apparizione in numerose mostre internazionali, entro la fine del decennio, raggiungono la fama in tutto il mondo andando ad identificare il suo lavoro, così come l’aggettivo “Total”, formato scherzosamente dal suo nome.
Durante la prima metà degli anni ’70 dall’idea di Joy prende inizio l’actionism di Endre Tót: alle sue prime opere concettuali, esclusivamente testuali, seguono pezzi che incorporano anche frammenti di informazioni visive ed inizia a creare la sua serie intitolata Very Special Gladnesses, in cui le sue fotografie vengono accompagnate da un testo. A determinare il riconoscimento internazionale del lavoro di Endre Tót è la presentazione delle sue opere alla Biennale di Parigi del 1971 a cui seguiranno numerosi inviti per apparizioni all’estero. Sfruttando le opportunità espositive offerte, eseguirà in numerose occasioni azioni in pubblico in Europa occidentale, ma anche nel blocco orientale come in Jugoslavia e in Polonia.
My Unpainted Canvases (1971), primo libro di artista di Endre Tót, può essere considerato il manifesto del suo allontanamento dalla pittura. Le illustrazioni sono dei rettangoli bianchi di proporzioni variabili, mentre il testo consiste in dati che ne indicano le dimensioni. Questo libro d’artista segna la prima apparizione dell’assenza nell’arte di Endre Tót. Proprio come i rettangoli vuoti prendono il posto delle riproduzioni pittoriche, nelle prime opere di Zero, i caratteri del testo in primo piano vengono sostituiti da zeri. I pezzi di carta, dattiloscritti o stampati, destinati alla consegna postale e quindi effettivamente pubblicati, appartengono al genere della mail art, campo in cui Endre Tót risulta come figura pionieristica. Grazie all’unicità di questi suoi lavori e alle sue straordinarie attività si muove nei circuiti degli artisti più importanti associati a fluxus e all’arte concettuale. Il segno “Zero”, come incarnazione del concetto matematico del nulla, che, coprendo le parole e le frasi, allude alla mancanza, insufficienza e impossibilità di comunicazione, subisce un graduale processo di emancipazione divenendo motivo centrale del suo lavoro come simbolo del nulla. Per Endre Tót, la creazione delle sue opere è principalmente un’attività intellettuale, la stessa che lui si aspetta da chi le guarderà.*
Very Special Gladnesses è la prima personale di Endre Tót alla Loom Gallery e prende il titolo da una serie di opere pubblicate a doppia pagina nel Luglio 1976 sul numero 66-67 di Flash Art. Quei lavori sono oggi esposti in galleria.
Testo di Orsolya Hegedus.