Ancora sul Palazzo dei Diamanti di Ferrara. La replica di Renato Barilli a Vittorio Sgarbi
La querelle fra Renato Barilli e Vittorio Sgarbi attorno alla proposta di ampliamento del Palazzo dei Diamanti di Ferrara non accenna a placarsi. Qui la replica del critico bolognese.
Naturalmente prevedevo che, riaprendo la questione del retro di cui dotare il ferrarese Palazzo dei Diamanti, avrei ricevuto una furiosa protesta di Vittorio Sgarbi, il principale sostenitore dell’indegnità di procedere a quel corpo aggiunto, considerato lesivo della nobiltà dell’edificio. È nella natura di Sgarbi, senza dubbio eccellente animale dello schermo, agire senza mezzi toni, praticando il bastone e la carota, pronto a elogiare quando gli conviene o invece a inveire. Mi guardo bene quindi dall’andare a fare il conto delle molte occasioni in cui gli è capitato di rivolgermi lodi, anche per un rapporto iniziato quando io ero “qualcuno”, nell’Università di Bologna, e lui solo un baldo giovane deciso a procedere in avanti con la baionetta. Mi limito a respingere solo l’accusa di averlo sfruttato, in una certa occasione. È vero che avevo approfittato di lui, ma per una causa nobile estranea a un mio interesse privato. Nella sua tumultuosa carriera, che lo vede transitare per incarichi prestigiosi, quasi subito abbandonati, come un trapezista che si slancia sempre su nuovi traguardi, senza dedicare un giusto tempo alle mete già raggiunte, Vittorio è stato per qualche tempo assessore alla cultura del Comune di Milano, quando era sindaco Letizia Moratti, ovviamente pur sempre sotto la scorta berlusconiana, che in definitiva è la carta del credito politico che non lo abbandona mai. Io partecipai a una conferenza stampa per difendere un mio prodotto, il videoart yearbook che veniva proiettato in una sede milanese. A quell’incontro Sgarbi era presente nel suo ruolo di assessore appena nominato, e mi colmò di lodi, per un mio articolo su Lucio Fontana appena uscito sull’Unità. Ringalluzzito da quel ricordo, gli chiesi di spendere la sua autorità del momento per una sacra causa, il dovere di Milano di ricordare adeguatamente Pierre Restany, attraverso la sua creazione principale, il Nouveau Réalisme, che forse nel capoluogo lombardo è stato di casa più che nella stessa Parigi. Devo ammettere che lui accettò quella mia richiesta e fece entrare la mostra nel cartellone del Padiglione di Arte Contemporanea (PAC). Ma poco dopo se ne andò, secondo il suo solito, da quella carica. Per fortuna l’impresa venne salvata da Letizia Moratti, e dunque, nel 2008, quell’omaggio si poté tenere, permettendo a Milano di pagare un grosso debito alla sua stessa storia, e a me di saldare il conto di una vecchia amicizia con Restany. Ma Sgarbi se ne era già andato, e non so neppure se abbia mai visitato quella mostra.
“È nella natura di Sgarbi, senza dubbio eccellente animale dello schermo, agire senza mezzi toni, praticando il bastone e la carota, pronto a elogiare quando gli conviene o invece a inveire”.
Venendo alla questione dei Diamanti, ero intervenuto proprio su queste pagine a favore del sindaco di Ferrara, che allora aveva il mio medesimo colore politico, ma al di là di questo dato contingente mi sembrava sbagliata la campagna di stampa che proprio in Sgarbi aveva il primo motore. Infatti egli si ritiene un po’ il feudatario principe del Comune estense e delle sue dimore, che gli spetterebbero per diritto di nascita. È vero che la sua fiera protesta contro quel corridoio ritenuto profanatorio ha avuto il consenso di tanti reputati colleghi, e anche di sinistra, dato che la cultura alberga più da quelle parti che nei territori della destra, più consueti a Sgarbi. Ora che almeno a livello di ministero il colore politico è tornato a mio favore, ho provato a mettere alla prova Franceschini, almeno per riaprire il dossier, forse inutilmente. Forse in tutt’altre faccende affaccendato, il neo-ministro non ha neppure letto la mia “lettera aperta”, o non ritiene possibile andare contro una decisione del suo predecessore, e poi è mutato il colore del sindaco della città. Ma almeno ho ritenuto utile riaprire il caso. Quanto poi alla presidenza del MART, è vero che i presidenti, di quello e di altri enti, sono nominati per le loro qualità manageriali, ma queste non esistono, nel caso di Sgarbi, che anzi, da questo punto di vista, sarebbe sconsigliabile come grande “casinista”, abile solo a fare e disfare. Ma a rendere accettabile la designazione è entrata senza dubbio la sua qualifica di critico d’arte, e non vorrei essere nei panni del direttore artistico che se lo troverà sulla testa, mentre con presidenti del ceppo solito avrebbe avuto solo problemi di conti e di budget da rispettare.
‒ Renato Barilli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati