Emancipazione e dissonanza. La mostra all’Instituto Cervantes di Roma
Instituto Cervantes, Roma – fino al 17 ottobre 2019. Musica e video si incontrano nella mostra allestita presso la sede romana. Dando voce ad artisti perlopiù di lingua spagnola, chiamati a misurarsi con i temi del presente.
Riprende l’attività il Centro Cervantes, il bello spazio dell’IILA, con Ambasciata spagnola e Accademia di Spagna, dedicato alle nazioni di lingua spagnola e non solo, nel centro di Roma, in Piazza Navona. Il titolo – La emancipacion de la disonancia – è il contenuto della mostra, cioè un’investigazione sull’uso della musica rispetto all’immagine attraverso il video. Il progetto di Adonay Bermúdez verte sulla struttura del rapporto musica-immagine, tematica inesauribile nell’uso del video in arte fin dagli inizi (ricordiamo fra i tanti Charlemagne Palestine o più tardi Robert Cahen). La “dissonanza” è la rottura dei canoni e la sua liberazione dalle forme tradizionali della musica. Nel video la musica incontra naturalmente il suo mutamento attraverso il dialogo con l’immagine elettronica, usata in modo non narrativo e non consequenziale nel ricorrere di linguaggi aperti e di ricerca. Ma sono le tematiche dei video a far saltare i canoni prima di tutto. Dittature, guerre, tutto il materiale bruciante del periodo che viviamo si allinea nei lavori legati a diversi Paesi e diverse culture. Disegni animati (di Federico Solmi) da graphic story underground raccontano la sfilata vittoriosa di soldati in una metropoli, guidata da un dittatore che ricorda molte persone di nostra conoscenza in A song of Tiranny. Una bandiera nera che sventola/striscia tristemente nel deserto di Atacama, il più desolato deserto del pianeta, mentre una voce (quella di Francis Naranjo) ripete “concha de tu madre”, rabbioso commento sulle condizioni del pianeta.
GLI ARTISTI
Una donna (l’artista Saskia Calderón) dipinta come gli indios dell’Amazzonia (macchie rosso/nero sul viso, comunità Huaorani)) racconta la distruzione di quel popolo, Requiem Huao, immagine fedele della nuova ondata di distruzione che si abbatte su natura e popoli indios in America Latina. Il peruviano Diego Lama in The Act fa piovere polvere bianca nella Camera del Congresso fino a formare una montagna, quella montagna di droga che sta deformando le strutture economiche, politiche e morali dello Stato. Il messicano Joaquin Segura fabbrica un carillon dove un ex leader dell’ETA balla una malinconica danza che rinvia alla dissoluzione del gruppo politico, ma soprattutto indica il fallimento delle politiche radicali nel mondo. Ironica la spagnola María Cañas nel bizzarro video dove un suonatore stonato suona in un prato davanti a una marea di tori richiamati dal suono, suggerendo polemiche antimaschiliste e critiche al falso “richiamo all’azione” a cui continuano a rispondere le masse. La guatemalteca Regina José Galindo (già nota in Italia) organizza un concerto in piazza con gli “Ensamble Coral” contro l’ex dittatore Efraín Ríos Montt, accusato di genocidio dopo la sua caduta, condannato all’ergastolo e libero per sentenza annullata dopo pochi giorni. Il gruppo corale intona in tutte le modalità dissonanti possibili la parola “CULPABLE!” come in una cantata di Bach riprodotta al contrario, in una traduzione scomposta e vibrante delle tragedie e dei massacri ormai divenuti “tollerabile quotidiano”.
‒ Lorenzo Taiuti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati