Tutte le regole della musica trap
Fenomeno del momento, la musica trap segue regole stilistiche piuttosto precise. Qui ve ne spieghiamo alcune.
La supremazia della trap sul panorama musicale commerciale italiano è stata ufficialmente sancita dalla partecipazione a Sanremo di Achille Lauro e dalla vittoria del festival da parte di Mahmood. Nonostante le origini del termine e del genere siano dibattute, la trap deriva dal rap, di cui accentua la vena più sfacciata e trasgressiva. Trap è autotune, basi elettroniche, bpm aumentati, borse Gucci e denti d’oro. I testi abbondano di interiezioni, onomatopee, segnali discorsivi o frammenti fonici privi di significato, ossia tutta una serie di fenomeni che piegano la parola alla melodia.
Partendo da tali premesse, si potrebbe immaginare, e di fatto rientra tra le critiche più diffuse, che i testi trap siano stilisticamente poco curati e che, al di là di un manipolo di stereotipi della cultura hip hop (la droga, il rapporto con il denaro e la merce, la celebrazione della donna oggetto ecc.), siano disorganici nelle forme, data la natura estemporanea e ancillare del testo.
I testi trap, invece, possono essere accomunati, al di là delle specificità dei singoli artisti, da alcune costanti stilistiche. Tra di esse, peraltro, ci sono delle forme e delle figure sostanzialmente tradizionali, riscontrabili cioè anche nella nostra letteratura in prosa e in poesia (indipendentemente dal fatto che si tratti di un’operazione consapevole o meno).
LE REGOLE
In particolare i testi trap: 1) presentano un io frammentato e una narrazione pluriprospettica; 2) mischiano riferimenti culturali alti e bassi; 3) si servono di una lingua duttile e meticcia (tre fenomeni con i quali potremmo descrivere pacificamente lo stile di un romanzo postmoderno o una raccolta di poesie contemporanea). Proseguendo per esempi tratti da testi di canzoni recenti o recentissime (tra il 2017 e oggi):
i testi trap sono costruiti secondo una logica narrativa che procede per quadri e descrizioni sconnesse che concorrono tuttavia a restituire una data impressione o clima. Tipici di questa strategia sono fenomeni sintattici come l’enumerazione e la giustapposizione asindetica (“Beve champagne / sotto Ramadan; / alla TV / danno Jackie Chan; / fuma narghilè / mi chiede come va”, da Soldi, Mahmood), e in generale la scarsa coerenza testuale (“Lei si specchia con la selfie dell’iPhone / beve Sauvignon / un urlo tra i palazzi, la Roma avrà fatto un gol” da Enjoy, di Carl Brave x Franco126).
All’interno dei singoli versi il procedere per suggestioni si ripercuote nell’uso frequente di figure retoriche come l’antonomasia (“Non la passo mai, Cristiano Ronaldo”, da Pesi sul collo, di Dark Polo Gang; “Fuori classe sì, Leo Messi”, da Giovane Fuoriclasse di Capo Plaza; “Io sono fuori, Brexit”, da Ninna Nanna di Ghali; “Genio della lampada, Aladdin”, da Stazione centrale di Vaz Tè) in luogo di similitudini con l’omissione del nesso come.
Sono intrisi di citazioni dal mondo dell’arte, del cinema e della letteratura, ma anche della moda o del calcio. I due mondi possono essere evocati anche in stretta prossimità (“Come vi rapisce il mio Trattato del Sublime / come l’estetismo, qua ti cambia come cambio sneakers”, da Goya di Goya; “Se pur la scena non riesca ancora a capirmi/ penso che guardi i grandi quadri astratti di Kandinskij”, da Giovane giovane di Laïoung).
NEOLOGISMI E ACCENTI
Fanno largo uso di neologismi (tra i più celebri bufu della DPG), forestierismi e prestiti da diverse lingue (“Flexo e faccio move/ trappo ninja fluss/ occhi sempre rouge”, da Flexo E Faccio Move di Kerim).
Spesso le parole straniere, per lo più accentate sull’ultima vocale, servono ad assecondare l’esigenza musicale di collocare una tronca alla fine del verso (in un sistema, come l’italiano, dove le parole sono per la maggior parte piane). Interessante in questo senso la costruzione di Thoiry di Quantin40 & Puritano, dove in rima troviamo solo parole apocopate motivate da un’operazione mimetica del parlato francese (“Bimba attacca, lascia pe’ / “Roma è bella” dice il re / culo sopra un Alita’” ‒ peraltro in perfetti ottonari trocaici). A proposito della rima: questo istituto tradizionale, nei testi rap ancora molto solido (tanto che “fare le rime” è frequente come metonimico per ‘scrivere’), nella trap viene indebolito (molti versi possono essere irrelati) ma non del tutto abbandonato. Molto frequente è ad esempio l’uso di rime identiche ed equivoche (“Siamo casi popolari / Fuori da case popolari”, da Bimbi, prod. Charlie Charles; “Tutti che vogliono un pezzo di me/ poi sono pezzi di me’”, da Bitch 2.0 di Chadia Rodriguez). Alla rima può essere sostituita o accompagnata la ricerca di uniformità fonica che può toccare anche punte manieristiche (come nella strofa di Vertigini di Tedua, tutta costruita sulla stessa vocale tonica, “Cica càlma che pàssa / càmbia stivàli e bàda / al bàrman se ti pàrla” ecc.). Spesso una lettura sincopata valorizza tale ricercatezza fonica ma può servire anche, al contrario, per nascondere delle forzature accentuative necessarie a far tornare il verso (“con le altre faccio lo stù-pi-do» in rima sdrucciola con «ti ho colpita, sono Cù-pi-do” anziché Cupìdo).
Morale della favola: un prodotto che funziona bene sul mercato deve essere riconoscibile e riproducibile e, nonostante la sua natura apparentemente svogliata e “maleducata”, la trap non sfugge a questa logica.
‒ Sara Moccia
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati