Tra virtuale e performance. PerAspera Festival a Bologna

Reportage dal PerAspera Festival di Bologna, che ha dato vita a un dialogo serrato tra il linguaggio performativo, la realtà virtuale e la città.

PerAspera non è un festival di cui è facile delimitare l’ambito linguistico. Il cartellone disegnato da Ennio Ruffolo è un’osmosi di discipline e piste di ricerca, una metamorfosi di forme che appartengono al performativo, al virtuale, al teatro e alla urban art. Se volessimo, come il protagonista brechtiano de L’acquisto dell’ottone, cercare la materia, la lega e i legni degli strumenti che fanno l’orchestra di questo festival, troveremmo dialoghi, attraversamenti e intersecazioni tra dispositivi e la città: Bologna. Raramente un festival condivide e intreccia il suo orizzonte con quello della realtà concreta, quotidiana. PerAspera ha linguaggi a ridosso dell’esperienza, chiama alla necessità del “fare”, della partecipazione, si pone a ridosso di azioni quotidiane, si mescola con i tempi della città e dei suoi abitanti, rivendicando il ruolo dell’arte come domanda sulle esperienze e sul loro senso. Cosa significa incontrare l’altro, cosa significa prendere a prestito il linguaggio dei videogiochi, della realtà aumentata per tracciare linee di utopie, di un’etica, di una cura?

AI GIARDINI MARGHERITA

BriGHTBLACK, opera di Simon Wilkinson e Myra Appannah che sta a metà tra Silvia Mercuriali e Mary Flanagan, ci chiede di recitare un copione eterodiretti da una coscienza critica. Come molte esperienze che hanno segnato la storia di Fluxus, questa performance chiede agli spettatori che camminano per le Serre dei Giardini Margherita di misurare il tempo sottratto al lavoro meditando sull’imprevisto che alberga in un incontro con uno sconosciuto. Un tempo che, ad esempio, ha la qualità di un complimento fatto a un passante seguendo quella “deriva” cara ai situazionisti e alle loro celebri mappe soggettive.
Il testo che gli spettatori tengono in mano è una griglia che risente dello sguardo, delle intenzioni fin troppo ottimiste di chi l’ha scritto. Ci piacerebbe abbandonarci alla fede che le relazioni umane possano essere migliori abbordando semplicemente un passante e complimentandoci per il suo cane.
Più che i grandi cambiamenti nella vita di ognuno di noi, crediamo che quel che conti sia sempre una verità, anche piccolina, minima, quella verità che Artaud “misurava con la durezza delle cose”, la “sovranità della concentrazione” che lo allontanò dai surrealisti per cercare nelle cose, appunto, la necessità, l’urgenza del vero. Vera è Bologna con i suoi riti degli aperitivi, tremendamente vera è la persona che accanto a noi sovrappone la sua vita al copione da recitare. Fenditure nella griglia e nel sistema del linguaggio.

Simon Wilkinson e Myra Appannah, BriGHTBLACK. PerAspera Festival, Bologna 2019. Photo Grazia Perilli

Simon Wilkinson e Myra Appannah, BriGHTBLACK. PerAspera Festival, Bologna 2019. Photo Grazia Perilli

ALLA GALLERIA ADIACENZE

Come nell’altra opera installativa e performativa vista alla galleria Adiacenze, dietro la cattedrale. Simon Wilkinson ha creato questa volta CIRCA69 The Third Day. Qui la transmedialità costruisce un non-luogo interessante. Si entra in galleria, si legge un romanzo diffuso per capitoli appesi alle pareti, si penetra nella realtà virtuale, si lascia una testimonianza dell’emozione provata e questa diventerà a sua volta un altro capitolo del romanzo per episodi. L’ambiente virtuale è una disabitata città ideale rinascimentale, i punti di vista sono però prospettive dislocate. Il tempo una stratificazione, una sovrapposizione: un paesaggio impossibile, direbbe Luigi Ghirri, quello che inanella in una catena ricordi, immagini reali, luoghi familiari e spazi vissuti. Si entra pochi alla volta, l’artista londinese, che nella capitale del Regno Unito realizza installazioni visitate da oltre ventimila utenti, sogna che la virtualità sia l’anticamera dell’etica.
La virtualità è una infrastruttura attorno a una domanda sul mondo. L’artista verifica solamente che funzioni il sistema”, ci ha detto. Le vere intelligenze artificiali sono quelle degli animali che vagano nello spazio del visore VR, delfini e rondini che fluttuano nel nero. Le gabbie ai Giardini Margherita sono vuote, non più leoni, non più scimmie che un tempo le abitavano. A maggior ragione, meglio ritornare alla ricerca dell’uomo come ci ha suggerito questo piccolo-grande festival.

Simone Azzoni

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Simone Azzoni

Simone Azzoni

Simone Azzoni (Asola 1972) è critico d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo IUSVE. Insegna inoltre Lettura critica dell’immagine e Storia dell’Arte presso l’Istituto di Design Palladio di Verona. Si interessa di Net Art e New Media Art…

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