Pittura lingua viva. Parola ad Andrea Barzaghi
Viva, morta o X? 57esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.
Andrea Barzaghi è nato a Monza nel 1988. Vive e lavora a Milano. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Urbino e alla Akademie der Bildenden Künste di Norimberga. Tra le sue mostre personali e collettive recenti: Through Unfamiliar, Tbilisi History Museum, Tbilisi, 2019; Upandown, Potencja, Cracovia, 2019; Vie di Fuga, Société Interludio, Torino, 2019; Superstimulus, A&O Kunsthalle, Lipsia, 2019; Dozen, Rosenbaum Contemporary, Boca Raton, 2018; Raid_Manumisson Motel, San Lazzaro di Savena, 2018; Ausstellung, Casablanca Kino, Norimberga, 2017; Malerei! Malerei!, Raum für Zeitgenossische Kunst, Norimberga, 2017; No problem, Potencja, Cracovia, 2017; Mit dem Raum reden, Bistro21, Lipsia. Tra i programmi di residenza cui ha partecipato: Italia-Georgia Prize, Tbilisi, Georgia, 2019; Villa Fontaine, Cap d’Antibes, Francia, 2017.
Come ti sei avvicinato alla pittura?
Mi sono avvicinato alla pittura alla fine del liceo. È stato un passaggio abbastanza naturale; la curiosità mi ha spinto a provare altri linguaggi oltre a quello del disegno, il primo che mi ha indirizzato verso un interesse di tipo artistico. Il fascino quasi alchemico dei colori è stato ciò che più mi ha affascinato.
Quali sono i maestri e gli artisti cui guardi?
Vari artisti della storia dell’arte passata e contemporanea hanno accompagnato il mio sviluppo artistico; cambiano con la mia crescita e col mutare dei miei interessi. Per citare qualcuno, ultimamente sono interessato al lavoro di Jochum Nordström e a quello di Anne Imhof. Matthew Barney invece è forse quello che rimane più di tutti una costante.
Hai affermato che la pittura non è solo pennello, colore, tela… Cosa intendi?
La pittura, come la intendo io, non è un semplice medium, bensì un modo specifico di relazionarsi all’Arte, alla vita. È un’attività intellettuale che si cela dietro un’azione tecnica, materiale; è il collegamento tra il mondo intellegibile e il mondo imperscrutabile, quello esterno, pubblico, e quello intimo, soggettivo¸ mondi in continua evoluzione e movimento, a sé stanti ma anche dipendenti l’uno dall’altro, sempre e comunque in perpetuo dialogo. La pittura è un’attitudine, trovo limitante ingabbiarla in una mera definizione tecnica.
La tua pittura quindi è più un mezzo che un fine, quindi… In molte occasioni si espande, diventa scultura, installazione. Come avviene il passaggio dalla bi- alla tridimensionalità?
Il passaggio dalla bi- alla tridimensionalità avviene nel momento in cui la pittura lascia la sua funzione di fine e diviene mezzo, venendo così liberata dal suo scopo canonico e di conseguenza anche dalle regole cui è sottoposta. Con questo passaggio di scopo, riesco a instaurare un rapporto più libero, se si vuole anche più leggero e giocoso con essa. Questa è la forza della pittura intesa come mezzo: la posso combinare con elementi tridimensionali, può diventare semplice superficie, ne posso stravolgere la natura. A volte mi chiedo se sia proprio in questo momento di libertà dai suoi “doveri” che riesce a esprimere il suo vero potenziale.
Perché la scelta di un linguaggio figurativo? E, ancora, figurazione e astrazione: quando finisce una e inizia l’altra?
Non credo sia possibile definire i confini di questi due concetti. Secondo me inoltre, dal punto di vista di chi produce un’opera, non è così rilevante parlarne. Mi pare anzi un po’ un peccato definire un rapporto così complesso con dei confini netti. Questa distinzione serve più che altro ai teorici per incasellare un determinato lavoro in una griglia di parole che aiuterà qualcuno a farsi un’idea di che cosa si sta discutendo; cosa del tutto legittima. Quando però ci penso, mi viene in mente l’azione dello zoom in fotografia, che ci permette di avvicinare o allontanare il nostro punto di vista dal soggetto. Credo sia una questione di distanze e prospettive; e non parlo solo di quelle fisiche.
Metti l’uomo al centro della tua ricerca, ma le figure che animano i tuoi quadri sono indefinite, non riconoscibili. Sono solo quasi ombre, fantasmi… Perché?
Più che ombre, o fantasmi ‒ che potrebbero essere interpretati in maniera torbida, buia, triste o addirittura spaventevole ‒ preferisco definire i miei personaggi come un grottesco alter ego dell’Uomo. Rappresentano quello che accade quando l’Uomo tenta di trascendere se stesso e i propri limiti, quando cerca di mettere da parte il suo ego, il suo bisogno di essere unità unica e irripetibile e si rende conto della propria ridicola e limitata perfezione. È questa dimensione grottesca dell’Uomo che m’interessa ultimamente. Per questo probabilmente le figure dei miei lavori perdono le proprie sembianze naturali e si tramutano in “mostri”. Si confrontano con la propria parte bestiale, imbarazzante, sconosciuta. I miei personaggi sono così il risultato di un processo di raffinazione.
E come scegli i soggetti delle tue opere?
Non scelgo i soggetti delle mie opere in maniera diretta. Quello che realizzo nei miei lavori è il risultato di un processo. Mi spiego meglio: l’esperienza di vita confluisce in un primo momento nei miei quaderni di schizzi; pochi segni che delineano figure, ambienti, parole, brevi pensieri. Nulla di strutturato o definitivo. Dopo un certo periodo di sedimentazione, alcune idee diventano mature abbastanza per tentare di realizzarle. Qui ha inizio la terza fase. Man mano che l’opera prende forma, mi trovo a prendere una serie di scelte che sì, portano al compimento del lavoro, ma che molto spesso conducono lontano rispetto a quella che era l’idea di partenza.
Accennavi all’inizio al disegno. Che funzione ha nella tua pratica e in relazione alle tue opere?
Il disegno è una pratica con dignità propria. Non ha una funzione propedeutica rispetto a qualsiasi altro aspetto del mio lavoro. Non ho, infatti, l’abitudine di disegnare bozzetti. Molto probabilmente, anche se ci provassi, diventerebbero lavori compiuti. Nonostante non prenda molto spesso in mano carta e matite, ho notato che circa ogni due anni arriva un momento in cui mi dedico solo alla pratica del disegno. Sono poche settimane in cui diventa un vero e proprio bisogno.
Nella costruzione delle tue composizioni, nella definizione dei tuoi immaginari e delle tue fonti iconografiche, che posto ha la storia dell’arte?
Penso abbia un ruolo molto importante. Il passato è una continua fonte d’ispirazione e sorpresa. Ha un fascino speciale il momento in cui scopri che un lavoro vecchio di secoli presenta soluzioni formali così contemporanee. Non ripropongo mai, però, una determinata composizione o un determinato soggetto.
Come si è trasformato il tuo lavoro nel tempo?
Più che il lavoro in sé, si è trasformata la pratica pittorica. Un tempo lavoravo in una maniera che definirei ossessivo-compulsiva, ero letteralmente sempre in studio a dipingere e ridipingere tele. Poi, a un certo punto, ho scoperto che non tutto quello che cercavo potevo trovarlo in studio. Grazie a questa rivelazione ho imparato l’importanza della calma, della lentezza, della riflessione. L’osservazione ha assunto un ruolo importantissimo nella mia pratica pittorica. Ora dipingo meno in termini di tempo, ma sono molto più concentrato.
Quando dipingi prevale la componente razionale o emotiva?
Mi definirei un pittore razionale, non sono mai stato un artista “di pancia”. Mi piace però prendere decisioni drastiche e dunque rischiare all’interno del processo pittorico, con la consapevolezza di poter perdere tutto il lavoro svolto sino a quel momento.
Quanto conta la tecnica?
La tecnica è importantissima. Non però in senso accademico, non vorrei qui parlare di abilità o virtuosismi. Per me è fondamentale in quanto è lo strumento con cui realizzi il tuo lavoro. Non tutte le problematiche si possono risolvere con una sola tecnica, come non si può costruire un mobile solo con un cacciavite o solo con una sega. Penso che un artista, un pittore, giacché stiamo parlando di pittura, debba darsi la libertà di non precludersi alcuna opzione. Come dicevo prima, la pittura è un’attività intellettuale che si cela dietro un’azione tecnica; quale essa sia, a mio avviso, non è così importante. Il concetto di pittura deve essere adattato alle problematiche dell’oggi. Con questo non sto dicendo che non si debba più dipingere in maniera “classica”, pennello-colore-tela, come trovo sia insensata la sentenza: “La pittura è morta”. La pittura sta benone, sta ridefinendo il suo ruolo, le proprie priorità; e questo avviene anche attraverso una ridefinizione delle possibilità tecniche.
Ci sono formati o tecniche che prediligi?
Non ci sono tecniche che prediligo, sebbene lavori per la maggior parte con olio e tela. Tutto dipende, come dicevo, da quello che è il mio obiettivo. Per quanto riguarda i formati, mi piacciono i lavori che non riesco ad abbracciare completamente con lo sguardo mentre li realizzo. Mi piace quando il mio angolo visuale termina all’interno dei confini dell’opera, quando “entri” in essa, o meglio quando lei ti ingloba.
La tua è una pittura lenta o veloce?
È veloce. Come una lumaca.
Lavori in studio?
Sì, ho bisogno di uno spazio in cui mi possa isolare il più possibile dalla realtà. Almeno durante la parte pratica del mio lavoro. Non è tanto una questione di intimità, è più che altro il bisogno estremo di concentrazione che mi porta a ricercare un luogo delimitato da muri. Ogni volta che inizio a lavorare ho bisogno di ricostruire un preciso stato di raccoglimento. È un rituale. Il chiudere la porta del mio studio è il primo passo. Poi mi cambio i vestiti. Poi sistemo lo studio e così via, finché ho ristabilito la giusta tensione creativa, il giusto grado di concentrazione. Il lavoro di ricerca invece avviene al di fuori delle pareti del mio studio. Da quando mi sveglio a quando vado a dormire.
Quanto la musica, il cinema, la letteratura influiscono sui tuoi lavori e sulla tua poetica?
Per fortuna tutte le discipline artistiche con cui entro in contatto influenzano il mio lavoro; come anche vengo influenzato dalla panettiera sotto casa, dalle fronde degli alberi o dalle strade. Tutto influenza. Le discipline artistiche sono forse più efficaci perché già filtrate da qualcuno.
Cosa significa fare pittura oggi?
Quello che secondo me ha sempre significato: cercare qualcosa.
Hai vissuto in Germania. Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea, anche alla luce della diversa prospettiva da cui hai potuto osservarla e analizzarla?
Sono appena tornato in Italia. Negli ultimi dieci anni, sebbene abbia vissuto in Germania, ho comunque avuto modo di seguire la scena pittorica italiana partecipando a mostre, fiere o anche semplicemente leggendo articoli di settore. Penso che in questo Paese ci siano molte posizioni interessanti. Mi vengono in mente ad esempio, tra le esperienze recenti, gli artisti che ho avuto il piacere di incontrare questo luglio al workshop Q-RATED di Nuoro, organizzato dalla Quadriennale di Roma. Spero di incontrarne sempre di nuovi.
‒ Damiano Gullì
LE PUNTATE PRECEDENTI
Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini
Pittura lingua viva #34 ‒ Nazzarena Poli Maramotti
Pittura lingua viva #35 – Vincenzo Ferrara
Pittura lingua viva #36 – Luca Bertolo
Pittura lingua viva #37 – Alice Visentin
Pittura lingua viva #38 – Thomas Braida
Pittura lingua viva #39 – Andrea Carpita
Pittura lingua viva #40 – Valerio Nicolai
Pittura lingua viva #41 – Maurizio Bongiovanni
Pittura lingua viva #42 – Elisa Filomena
Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
Pittura lingua viva #44 – Lorenzo Di Lucido
Pittura lingua viva #45 – Davide Serpetti
Pittura lingua viva #46 – Michele Bubacco
Pittura lingua viva #47 – Alessandro Fogo
Pittura lingua viva #48 – Enrico Tealdi
Pittura lingua viva #49 – Speciale OPENWORK
Pittura lingua viva #50 – Bea Bonafini
Pittura lingua viva #51 – Giuseppe Adamo
Pittura lingua viva #52 – Speciale OPENWORK (II)
Pittura lingua viva #53 ‒ Chrysanthos Christodoulou
Pittura lingua viva #54 – Amedeo Polazzo
Pittura lingua viva #55 – Ettore Pinelli
Pittura lingua viva #56 – Stanislao Di Giugno
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