Hubert Scheibl
La pittura astratta è un’invenzione del secolo scorso ma sappiamo che l’astrazione è un processo che attraversa tutta la storia dell’arte.
Comunicato stampa
La pittura astratta è un’invenzione del secolo scorso ma sappiamo che l’astrazione è un processo che attraversa tutta la storia dell’arte. Si potrebbe sostenere che non esiste forma espressiva di carattere artistico se non come tecnica di allontanamento progressivo dal reale in quanto entità immediatamente raffigurabile. D’altronde è altrettanto noto che gli artisti, come scriveva Winnicott, sono persone mosse dalla tensione tra il desiderio di comunicare e quello di nascondere. Insomma, questioni di linguaggio e di soggettività determinano da sempre la natura “abscondita” dell’arte, che è un saper vedere ciò che c’è perché si mostra celandosi con artificio. L’astrattismo, di cui Hubert Scheibl è da decenni un interprete rigoroso e tenace, ha dunque a che fare con i problemi originari dell’arte, costituendone in qualche modo l’aspetto oscuro, quasi clandestino e perciò spesso poco decifrabile, ermetico. E oggi, nell’epoca digitale dell’altissima definizione delle immagini, di un regime del visibile che sconfina nella realtà aumentabile a dismisura, sembra ancor più necessario esercitare l’antico dubbio ontologico, tornando a sperimentare il piacere perverso delle superfici fluttuanti, indecise, mentre segni e colori fanno il loro mestiere antico di alludere senza dire, di suggerire senza raccontare e infine di smarrirsi senza mai perdersi nel nulla. Allora si potrà immaginare che la tessitura misteriosa delle tele e delle carte di Scheibl, spazio antiplatonico dove le cose sono idee sensibili, forze che si rincorrono e si scontrano, incontrerà qui o altrove spettatori nuovi e più avvertiti, refrattari all’imperativo tecnologico della nuova trascendenza. In fondo di questo si tratta, della definizione o ritaglio di uno spazio d’azione che sia percorribile in lungo e in largo, da destra a sinistra, da sopra a sotto e viceversa per formare, anzi scatenare, una visione policentrica, rizomatica, in cui i gesti del pittore, il suo modo di tracciare, colorare, macchiare, cancellare e riscrivere disegnino una traiettoria fluida, come una danza vitale, che sia anche il tutto dell’immagine. Questo spazio così concepito si percepisce per intensità, al di là di qualsiasi concetto di rappresentazione, essendo già in se stesso il fuori, l’aperto del mondo che si percorre da un punto all’altro, in velocità o con lentezza. Qui infatti si dipinge come si vive, perlustrando un campo di energia in cui si possono manifestare liberamente tutte le pulsioni del corpo creativo, le posture e le imposture del desiderio umano che graffiano, rasentano e fuggono le superfici di tele e carte, volteggiando con leggerezza come i danzatori della performance “Ones”. In altri termini anche la pittura di Hubert Scheibl, seguendo la tradizione di ogni autentica espressione dell’avanguardia contemporanea, afferma che l’arte è una forma di vita senza resto, indiscernibile dalla sua messa in scena, giacché proprio nel suo movimento incessante, incoerente e casuale si definisce nel doppio regime del reale impossibile e della sua rappresentazione infinita. Qualcosa che si presenta come un fatto naturale, quasi per germinazione spontanea. Ed è perciò che la pittura e la scultura di Scheibl sembrano avvenire in una zona di fluttuazione del senso, dove capita che l’astrazione tenda a una specie di figurazione organica, come se le pulsioni interne dell’immagine sgorgassero in forme iniziatiche, microcellulari, ipotetici organismi destinati a una vita minore del tutto incidentale e provvisoria. Forse solo una suggestione. Intanto dal groviglio di segni e figurazioni imprevedibili, intermittenti e fortuite può riemergere quasi per gioco la scena dell’arte in miniatura con due tubetti di colore, uno spremuto e adagiato su una piccola sedia, l’altro accartocciato e nascosto in una nicchia e protetto tra legni malfermi. Due piccole sculture della serie Bad Texas Bob qui esposte per raccontare con una certa ironia il destino incerto e mai troppo glorioso di un’arte avventurosa, quella iniziata nel secondo novecento, così immersa nelle pastoie della vita comune che non avrà né mai reclamerà nulla di eroico e di definitivo.