Opening Night. Cyril Teste rilegge John Cassavetes al Romaeuropa Festival
Per la XXXIV edizione del Romaeuropa Festival, va in scena la rilettura di Cyril Teste del film cult di John Cassavetes “Opening Night”. Una performance filmica che vorrebbe riformare l’arte scenica e rendere il pubblico un partecipante attivo. Ma l’esito risulta incerto.
Uno spettacolo teatrale, in quanto forma d’arte ‘dal vivo’, non è mai uguale a sé stesso. Ogni replica, al contrario di un’opera cinematografica, non sarà mai la copia esatta della precedente, differenziandosi ulteriormente dall’arte filmica per il ruolo attivo esercitato dalla visione del pubblico. Ripetere tale ovvietà è quasi sconcertante, ma è questo il punto di partenza dello spettacolo presentato da Cyril Teste in occasione della XXXIV edizione di Romaeuropa Festival.
Nel 1977 John Cassavetes girò il film ‒ più tardi diventato cult ‒ Opening Night (La sera della prima). Il regista statunitense realizzò parte delle scene in un teatro, costruendo i piani cinematografici davanti a una reale platea di spettatori, divenuti così anche attori del film. Teste, che dal 2011 lavora con il Collectif MxM al concetto di performance cinematografica, nella sua rilettura di Opening Night vuole invertire l’operazione effettuata da Cassavetes, performando il processo filmico a teatro e rendendo così gli spettatori veramente partecipi.
La drammaturgia, che si propone come scrittura scenica in continuo divenire, si basa sulla sceneggiatura originale di Cassavetes, compresi tagli e appunti del regista. Lo spettacolo rimane dunque fedele alla trama del film, pur non intendendo replicarlo esattamente. L’intenzione è «esplorare l’indefinibile nozione di creazione artistica» e le possibilità che derivano dall’intreccio tra pratica teatrale e cinematografica. Va detto, tuttavia, che l’adattamento di Opening Night di Teste, riducendo personaggi e azioni, svilisce in parte la riflessione che Cassavetes mise magistralmente in scena. L’idea di compiere una performance cinematografica a teatro ha il potenziale di scandagliare ulteriormente il rapporto tra realtà e finzione, ma questa possibilità non viene sfruttata nella pièce, che resta invece piuttosto superficiale.
GLI ATTORI
In scena l’attrice icona Isabelle Adjani, nei panni di Myrtle Gordon, Morgan Lloyd Sicard, interprete di Maurice Aarons, e Frédéric Pierrot, nel ruolo sia del regista protagonista del film ‒ Manny Victor ‒ sia del regista dello spettacolo teatrale, sorta di alter ego di Cyril Teste o fantasma di Cassavetes. Pierrot esplicita fin dal principio la natura della messinscena, rendendo il pubblico consapevole dell’operazione cui sta per assistere, ovvero la realizzazione di un film girato in un unico piano sequenza, fatto che può comportare l’interruzione dello spettacolo. Quando ciò effettivamente avviene, l’attore scambia qualche battuta con il cameraman e i tecnici. Un dialogo improvvisato, fatto tradurre simultaneamente da una spettatrice, dai toni un po’ troppo approssimativi e frettolosi per risultare pienamente credibile.
Far dialogare cinema e teatro non è certo cosa facile e la difficoltà risiede soprattutto nel saper coadiuvare i diversi linguaggi, le cui specificità vanno comunque mantenute per poter creare qualcosa di nuovo. Negli ultimi anni sono comparse tante telecamere sui palcoscenici teatrali, le immagini vengono proiettate in diretta, il pubblico può assistere ai dietro le quinte e la visione si sdoppia tra performance dal vivo e proiezione sugli schermi. Non è dunque una novità ciò che Cyril Teste realizza con Opening Night, nonostante egli stesso dichiari di voler rivoluzionare l’arte scenica tramite i suoi mezzi di produzione, affermando che “la tecnologia da sé non è innovativa, lo è l’uso che ne facciamo”.
UN ESITO FORZATO
In questo caso, sfortunatamente, la potenza espressiva sia del teatro che del cinema appare annichilita e il risultato forzato. E anche la dichiarata volontà di coinvolgere lo spettatore non si realizza. Inquadrare un paio di volte la platea e rivolgervi direttamente qualche battuta non è sufficiente ad arricchire l’esperienza della visione. Il nobile tentativo di riformare le arti performative cade così in un limbo incapace di veicolare una comunicazione innovativa.
È necessario ammettere che una grossa fetta del pubblico decreta il successo dello spettacolo in un finale di applausi scroscianti. Rimane tuttavia discutibile l’attualità dell’operazione svolta da Cyril Teste. Sarebbe forse opportuno sfuggire dal bisogno apparentemente incessante di rivisitare i classici o mescolare i media per riuscire a creare nuovi linguaggi, e anche l’ormai non più tanto recente volontà di coinvolgere direttamente lo spettatore nello spettacolo andrebbe guardata da un’altra prospettiva. Tornando a ripetere una banalità, lo spettatore è già, sempre e comunque, protagonista attivo. Per renderlo partecipe non serve a molto rifletterne l’immagine sul palcoscenico tramite un video, quanto riuscire a farlo riflettere.
‒ Margherita Dellantonio
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