Raffaello e gli amici di Urbino. Intervista a Peter Aufreiter

Con la mostra su Raffaello alla Galleria Nazionale delle Marche, Peter Aufreiter conclude il suo incarico direttivo. E qui traccia il bilancio di una esperienza quadriennale.

In vista della celebrazione dell’anniversario della morte di Raffaello, Palazzo Ducale a Urbino omaggia uno dei più importanti pittori della storia dell’arte italiana e internazionale con la mostra Raffaello e gli amici di Urbino – a cura di Silvia Ginzburg e Barbara Agosti –, che illustra il rapporto intrattenuto dall’artista con l’ambiente culturale della città. In particolare, la mostra descrive il legame di Raffaello con altri due artisti urbinati a lui contemporanei, Timoteo Viti e Girolamo Genga, seguendo una trama di destini incrociati tra Bologna, Roma, Firenze e Siena. Oltre a una ventina di capolavori di Raffaello e ai dipinti dei due coprotagonisti Viti e Genga, sono esposte opere di Luca Signorelli, Francesco Francia, Pietro Perugino, Domenico Alfani e altri. Abbiamo avuto l’occasione non solo di assistere ai lavori di “backstage” e alla preview della mostra, ma anche di parlare con il direttore di Palazzo Ducale, Peter Aufreiter, dando vita a una discussione che, partendo dalla mostra, allarga il proprio orizzonte verso considerazioni personali del direttore, presto assorbito da un nuovo impegno alla direzione del Technisches Museum (Museo della Tecnica) di Vienna.

L’INTERVISTA

La mostra è una delle più interessanti per la selezione delle opere, per i prestiti concessi e per l’allestimento – che è un vero gioiello e riesce a enfatizzare la bellezza dei capolavori esposti. Come ti fa sentire essere arrivato al culmine del tuo incarico con una mostra così ambiziosa?
Dal momento in cui ho iniziato il mio incarico a Urbino, tutti mi hanno chiesto: “Cosa si farà per celebrare l’anno di Raffaello in maniera adeguata nella sua città?”. Questa domanda è diventata una spada di Damocle; la coincidenza del 500esimo anniversario della morte di Raffaello con il mio incarico da direttore dell’autonoma Galleria Nazionale delle Marche mi ha fatto sentire il peso ingente della responsabilità. La responsabilità di organizzare un importantissimo e imperdibile evento dedicato a uno degli artisti più noti di tutti i tempi: infatti, credo sinceramente che chi non verrà a visitare questa mostra non capirà mai nulla di Raffaello! Forse sembrerà strano, ma, se si vive a Urbino (e nel mio caso in un appartamento proprio dentro Palazzo Ducale), si sente perennemente la presenza di due figure: Federico di Montefeltro e Raffaello. Ancora più strana sembrerà la commozione che ho provato quando sono arrivati i primi dipinti in prestito per la mostra: avevo la sensazione che da tutto il mondo le opere di Raffaello tornassero a casa; o meglio, che lui venisse a visitare la sua città natale, viaggiando e guardando l’Urbino di oggi attraverso i suoi capolavori.

Raffaello e gli amici di Urbino. Galleria Nazionale delle Marche, 2019. Photo Camilla Ferrero

Raffaello e gli amici di Urbino. Galleria Nazionale delle Marche, 2019. Photo Camilla Ferrero

Quanto è stato complesso curare un progetto del genere, in occasione di un anniversario così importante?
Abbiamo cominciato a programmare la mostra più di due anni fa. Dovevamo essere noi a Urbino a inaugurare le celebrazioni raffaellesche di tutto il mondo. Abbiamo deciso di realizzare, come Galleria Nazionale delle Marche, tre eventi espositivi durante l’anno di Raffaello: Raffaello e gli amici di Urbino, che è strettamente legata al territorio; la più grande e bella mostra sulla maiolica del Cinquecento che le Marche abbiano mai visto, I colori del Rinascimento (Pasqua 2020), che sottolinea il rapporto tra l’artista e i modelli impiegati per i soggetti delle celeberrime maioliche marchigiane, e infine una mostra dedicata al mito di Raffaello nel Settecento e nell’Ottocento, basata sugli arrazzi: Sul filo di Raffaello (estate 2020).

E per quanto riguarda le fasi di realizzazione? Com’è andata con i prestiti?
La preparazione di una mostra ad alti livelli è sempre un processo che dura tanto tempo. Il primo concetto scientifico e la “lista dei desideri” si scontrano con la realtà: diverse opere non possono essere prestate a causa della loro fragilità, oppure necessitano di un restauro. Lo sviluppo di una mostra è sempre un processo dinamico e vivace: serve molta diplomazia nelle trattative con i prestatori! “Sì, prestiamo, ma vogliamo in cambio…”, “Sì, prestiamo, ma dovete pagare…”; il lavoro dell’exhibition manager è un po’ come quello di un negoziatore. Pensando a situazioni del genere, a maggior ragione racconto cosa mi è successo al British Museum di Londra quando mi sono presentato per chiedere il cartone della Madonna Mackintosh. Naturalmente, abbiamo prima inviato una lettera ufficiale con il progetto (come da prassi). Ammetto di esser partito con poche speranze, perché le opere su carta difficilmente vengono prestate a causa della loro fragilità, che consente un tempo limitato di esposizione – dopo ogni mostra, normalmente, tornano nel buio per diversi anni.

Raffaello e gli amici di Urbino. Galleria Nazionale delle Marche, 2019. Photo Camilla Ferrero

Raffaello e gli amici di Urbino. Galleria Nazionale delle Marche, 2019. Photo Camilla Ferrero

E poi?
I responsabili del British Museum mi hanno convocato per discuterne e hanno subito compreso quanto fosse importante la mostra per Palazzo Ducale e per la città di Urbino. Dopo il mio discorso, hanno scoperto un cavalletto che era rimasto tutto il tempo foderato in un angolo della sala: sotto vi era appoggiato il favoloso cartone di Raffaello con la sua cornice! Hanno concluso dicendo: “Noi come British Museum siamo contenti e onorati che Raffaello torni nella sua città. Non vogliamo niente in cambio; nessuna fee, niente! È un regalo che facciamo a Raffaello”.

Deduciamo che la Madonna Mackintosh sia un vero e proprio dono per i visitatori! Cosa si può aggiungere riguardo alla tua idea di Raffaello?
La Madonna Mackintosh è personalmente la mia opera preferita tra quelle in mostra. Si può vedere a ogni tratto la competente maestosità di Raffaello. È così tridimensionale e curata nei suoi chiaroscuri e nella prospettiva da sembrare quasi una scultura. Si capisce che Raffaello l’ha realizzata in rapidità, ma nonostante questo – anzi, forse proprio grazie a questo moto appassionato – è perfetta. Raffaello per me non è solamente l’unico artista marchigiano conosciuto in tutto il pianeta (se all’estero si chiede a un passante chi sia Leopardi, non si riceve risposta!); ma è anche l’artista principale del Rinascimento. Il giorno dell’inaugurazione, diverse persone mi hanno chiesto perché si percepisca un’armonia così celestiale quando si guardano le opere di Raffaello: ciò si può certamente spiegare scientificamente, grazie alla perfezione formale con la quale il pittore ricava l’equilibrio compositivo. Ma c’è qualcos’altro: sembra che le sue opere possiedano un’anima. Sono creature naturali; non sono semplicemente “dipinte”, ma sono “nate”. La vita scorre attraverso gli occhi e la mano dell’artista sul supporto, rivelando il tocco dello spirito di Raffaello: come se Bellezza e Intelletto coincidessero pienamente ed eternamente.

Raffaello e gli amici di Urbino. Galleria Nazionale delle Marche, 2019. Photo Camilla Ferrero

Raffaello e gli amici di Urbino. Galleria Nazionale delle Marche, 2019. Photo Camilla Ferrero

Insomma, sei soddisfatto di questo “finale” di direzione?
La realizzazione della mostra mi ha dato grandi soddisfazioni. Siamo riusciti non solo a esporre delle grandi opere, ma soprattutto abbiamo raccontato una storia. La quantità di mostre che vengono presentate al pubblico è diventata assurda, esagerata: la maggior parte di esse non riescono a essere fedeli a un concetto e non narrano una storia comprensibile. Le curatrici Silvia Ginzburg e Barbara Agosti sono invece riuscite a tessere delle biografie, seguendo Raffaello, Genga e Viti attraverso i punti salienti della loro vita, partendo dalla formazione fino all’influsso sui loro successori. Sono molto orgoglioso di aver realizzato questa mostra interamente con le sole forze della Galleria Nazionale delle Marche, senza coinvolgere le solite grandi agenzie.

Anche lo spazio dato ai giovani è stato rilevante.
Negli ultimi anni sono approdati qui, grazie ai concorsi del Ministero, giovani storici dell’arte, architetti e restauratori: vederli lavorare con competenza ed entusiasmo è stato appagante. Anche nel catalogo della mostra di Raffaello abbiamo dato la possibilità agli studiosi in erba di presentare i risultati delle loro ricerche. Bisogna sempre ricordarsi del contributo dei più giovani, che migliorano e portano avanti il lavoro dei predecessori: la stessa opera di Raffaello, ai suoi tempi, era innovativa e rappresentava la modernità, un nuovo punto di partenza pur poggiando sulle basi dei precursori. Non penso che oggi sia facilmente immaginabile un comportamento del genere in Italia; eppure, è stato il vero spirito del Rinascimento.

Raffaello e gli amici di Urbino. Galleria Nazionale delle Marche, 2019. Photo Camilla Ferrero

Raffaello e gli amici di Urbino. Galleria Nazionale delle Marche, 2019. Photo Camilla Ferrero

Il prossimo anno sarai direttore del Museo della Tecnica di Vienna. È tempo di bilanci. Come è stata l’esperienza in Italia?
Ovviamente sono felicissimo di terminare il mio incarico a Palazzo Ducale con una mostra così prestigiosa. Il mio successore erediterà un ufficio che funziona molto bene e che è riuscito a realizzare la trasformazione di una Soprintendenza in un museo autonomo e moderno. Mi chiedono spesso quale sia stato il progetto più importante di questi quattro anni: non penso sia nessuna delle venti mostre e nemmeno la progettazione del nuovo allestimento, bensì credo consista nel cambiamento radicale dello spirito del personale e dell’équipe e nella maniera con cui ci presentiamo ai visitatori (infatti siamo riusciti ad aumentare il numero dei visitatori del 40% e a raddoppiare gli introiti).

Cosa lasci a Urbino e cosa troverai (o pensi di trovare) a Vienna?
Per me questi quattro anni sono stati un’esperienza importantissima, nonostante tutte le difficoltà con la burocrazia italiana, che trovo assurda e contraddittoria. Nel Museo della Tecnica mi aspetta un’istituzione gestita in completa autonomia: non ci sono problemi amministrativi da risolvere; c’è già abbastanza personale qualificato e ci sono i fondi necessari per realizzare i progetti che vogliamo. Le sfide a Vienna saranno diverse: come si riuscirà ad appassionare i visitatori alle questioni della tecnica di oggi e come si potranno trasmettere le problematiche complesse riguardanti l’enorme sviluppo tecnologico a un pubblico “da museo”?

Federica Maria Giallombardo

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Federica Maria Giallombardo

Federica Maria Giallombardo

Federica Maria Giallombardo nasce nel 1993. Consegue il diploma presso il Liceo Scientifico Tradizionale “A. Avogadro” (2012) e partecipa agli stage presso l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Biella (2009-2012). Frequenta la Facoltà di Lettere Moderne presso l’Università degli Studi…

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