Quello che resta di un corpo. Robert Morris a Roma
Il grande salone centrale della Galleria Nazionale di Roma ospita due sorprendenti cicli scultorei di Robert Morris mai esposti in Europa.
“Un tempio dello spirito”, così la direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea definisce l’esposizione, organizzata insieme allo stesso Robert Morris (Kansas City, 1931 – Kingston, 2018) prima della sua recente scomparsa.
La mostra, che nasceva dalla volontà dell’artista di installare due cicli scultorei mai esposti in Europa, oggi si trasforma in un’esposizione commemorativa e vuole rendere omaggio al maestro del Minimalismo americano di cui è stato uno dei fondatori.
A Roma, nella città monumentale per eccellenza, l’opera di Morris ritorna dopo quarant’anni in una veste del tutto nuova, segnando l’evoluzione della sua ricerca in due diverse direzioni: se nella prima esposizione, a cura di Ida Panicelli, l’artista era stato chiamato, insieme a Carl Andre e Donald Judd, a rappresentare quella che era stata definita “scultura minimal”, oggi le opere volute dal curatore Saretto Cincinelli si mostrano nel loro aspetto più “monumentale”, intendendo con questo termine una stratificazione di significati. Per la direttrice Cristiana Collu, infatti, il termine Monumentum, fa riferimento all’opera d’arte intesa come luogo nel quale si esprime il valore e non solo la rappresentazione. L’attinenza con le parole “momento” e “momentum”, poi, evoca una dimensione effimera, l’impulso di un istante che diventa decisivo.
LE OPERE
Trentotto figure in lino e in fibra di carbonio, imbevute di resina epossidica, trattengono dunque l’attimo della posa, diventando memoria di un vissuto e ricordando allo spettatore la dualità dell’esistenza umana, tra veglia e sonno, conscio e inconscio, vita e morte.
MOLTINGSEXOSKELETONSSHROUDS e Boustrophedons, originariamente pensati come due cicli distinti ed esposti alla Castelli Gallery di New York rispettivamente nel 2015 e 2017, sono stati per la prima volta sapientemente combinati e disseminati negli spazi della galleria, ridefinendo un nuovo dialogo che l’artista aveva in parte previsto, dal momento che alcune di queste figure mostrano diverse ipotesi di collocazione: “Lui sposò molto volentieri il progetto” ‒ ci racconta il curatore ‒ “gli proposi di esporre solo le opere degli ultimi anni mescolando i due cicli, che per lui invece inizialmente appartenevano a due operazioni diverse”.
Dalle costruzioni geometriche essenziali al linguaggio figurato il passaggio sembra azzardato, soprattutto se si considera questa ultima fase come una inversione di marcia. Così Morris descriveva la sua evoluzione stilistica: “Non voglio che mi si chiedano le ragioni per cui non ho lavorato secondo un unico stile, o quelle di una qualunque delle opere d’arte che ho realizzato (la ragione è che non ci sono ragioni nell’arte)”.
I PUNTI DI RIFERIMENTO
Di certo Morris non poteva restare a lungo indifferente verso i cicli scultorei o pittorici dei grandi maestri della storia dell’arte che aveva visto sin dagli Anni Settanta. Si trovano, dunque, riferimenti a Gian Lorenzo Bernini per il dinamismo dei drappeggi, Francisco Goya per la geometria dei cappelli conici simili a quelli delle vittime dell’inquisizione spagnola rappresentati nelle sue incisioni o per gli spettri fluttuanti che aleggiano al centro della sala, Hans Holbein e Andrea Mantegna per il modo in cui rappresenta i corpi morti, Auguste Rodin per la scena che racconta i borghesi di Calais.
“La mostra era inizialmente prevista per marzo 2019”, spiega il curatore, “dopo l’improvvisa scomparsa dell’artista abbiamo voluto riprogrammare una data, senza però modificare il progetto originario”. Cincinelli, che ha partecipato insieme alla Collu al nuovo assetto della galleria curando inoltre la prima mostra temporanea, ci fa notare che l’unica aggiunta, esposta al museo già da qualche mese, è stata l’installazione di un grande feltro, Untitled, 1976, nel contesto di Time is Out of Joint, che ci auguriamo resti a far parte della collezione permanente della galleria.
‒ Donatella Giordano
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