Antonio Calabrò: nel futuro che c’è
“La Sicilia è una terra di cui ribaltare la lezione distruttiva”, dichiara Antonio Calabrò, senior vice president cultura di Pirelli, direttore della Fondazione Pirelli e consigliere d'amministrazione di HangarBicocca. “Ci sono un’arte, un intreccio di parole, uno sguardo creativo, un racconto, che possono avere sapore di vita e di futuro. Colore mediterraneo. Proprio a Milano”. Qui trovate un dialogo su arte, cultura, denari, impresa e molto altro.
Che cosa significa fare e promuovere cultura in un gruppo come Pirelli?
Pirelli è un’azienda italiana con 140 anni di storia alle spalle. Un’impresa sensibile alle trasformazioni tecnologiche che maturavano nel resto dell’Europa e del mondo. Le caratteristiche d’origine si sono rafforzate nel corso del tempo. Segnando una cultura d’impresa che ha concepito l’innovazione nel senso più ampio del termine: prodotti e processi produttivi, tecnologie, ma anche governance, relazioni industriali, gestione delle persone, welfare aziendale e, naturalmente, linguaggi del marketing, della comunicazione, della pubblicità. In sintesi: una cultura d’impresa vissuta come cultura del cambiamento, con applicazioni in tutti i settori della vita aziendale.
L’impresa è cultura: potrebbe spiegare meglio il senso di questa definizione?
La strategia scelta da Pirelli è cercare di superare le tradizionali dicotomie tra cultura classica e cultura scientifica, tra una certa idea dell’impresa come soggetto economico che produce ricchezza e lavoro e i centri tradizionali del fare e diffondere sapere e cultura. Parliamo dunque di “cultura politecnica”, nel solco della migliore tradizione culturale scientifica italiana che proprio a Milano, tra Ottocento e Novecento, ha avuto straordinarie testimonianze.
Esempi concreti?
Una Fondazione Pirelli che promuove cultura d’impresa contemporanea e gestisce un Archivio Storico, tra i più grandi d’Italia, che fornisce materiali per mostre, convegni e libri sul lavoro, la moda, il design, le trasformazioni industriali, legando così memoria e futuro. Una collaborazione con il Piccolo Teatro per mettere in scena Settimo, spettacolo ricavato dai racconti di operai, tecnici e ingegneri della fabbrica Pirelli di Settimo Torinese. I concerti di musica classica nei luoghi di lavoro. La promozione di giovani artisti, grafici, fotografi e designer, sulla scia dell’impegno che proprio Pirelli aveva espresso nel corso della sua storia, anche attraverso la bella Rivista Pirelli, come testimoniano i rapporti con grandi nomi come Scopinich, Noorda, Munari, Mulas, Mendini. Ma anche il supporto ai colleghi della direzione comunicazione per la loro sofisticata idea di arricchire il Bilancio Pirelli con elaborazioni grafiche originali e testi di grandi firme della letteratura internazionale. Le relazioni con tutte le funzioni aziendali per dare forma di documentazione e racconto ai nuovi procedimenti di produzione e di sicurezza, alle attività della Formula 1, ai più partecipativi processi di formazione e gestione delle risorse umane ecc.
Cultura, insomma, come strumento dell’identità, dell’appartenenza, del rafforzamento della continua tensione verso la ricerca e, appunto, l’innovazione. E come legame tra l’impresa e i suoi stakeholder, i soggetti sociali e le comunità dei territori in cui la Pirelli opera.
Come ha influito a suo parere l’austerità distruttiva di questo periodo con le attività culturali del gruppo? L’Hangar non è un esempio controcorrente?
L’investimento in cultura, per Pirelli, è strategico. Verso l’interno dell’azienda e verso l’esterno. L’intervento in HangarBicocca è perfettamente coerente con la strategia di cui abbiamo parlato. L’obiettivo di fondo è costruire un luogo aperto alla “grande Milano”, un centro di conoscenza, formazione, dialogo tra gli artisti e la città, con particolare attenzione ai bambini, alle famiglie, agli studenti. Un centro culturale in stretto raccordo con le altre grandi istituzioni della cultura a Milano. Ci guida un’idea forte: la cultura, arte contemporanea compresa, va considerata come processo non elitario ma popolare, dialettico, aperto agli stimoli nuovi. Legato al territorio ma tutt’altro che provinciale.
La rinascita dell’Hangar: in che senso le novità apportate sono da ritenere modello di un motore della trasformazione, agenti dello sviluppo culturale di un Paese?
Non un modello, ma uno stimolo. Un’indicazione fra le tante possibili. Per il mondo delle imprese. E per il pubblico più vasto. Per un’impresa come Pirelli, che vive, come abbiamo visto, sulla frontiera dell’innovazione, il rapporto con gli artisti è uno straordinario strumento di spiazzamento e dunque di rielaborazione. Fare i conti con punti di vista inusuali. Abituarsi a convivere con l’originalità, pur provocatoria, degli sguardi e dei racconti. Imparare che nulla è scontato e che scienza e ricerca sono basate sull’attitudine a rimettere sempre e tutto in discussione. Cogliere anche i segnali più deboli delle trasformazioni, per cercare di capire come cambiano idee, costumi, abitudini, stili di pensiero e di vita. In altri termini, contemporaneità come senso del tempo in movimento, la coscienza del passato da affrontare criticamente, la provvisorietà del presente in cui agire e di cui lasciare segni, la generosa visionarietà di un futuro da delineare. Tutte dimensioni fertili di pensiero, sia per un’impresa che per una comunità.
In concreto?
Ci sono scelte concrete che accompagnano il nostro impegno in HangarBicocca: innanzitutto, la completa gratuità di mostre, rassegne, corsi di formazione, consultazioni di materiali. E un’idea di cultura come percorso di lungo termine: non eventi spettacolari chiusi in se stessi, ma relazioni profonde e distese nel tempo. Anche per questo abbiamo scelto, come artistic advisor, una personalità come Vicente Todolí, l’ex direttore della Tate di Londra, con un impegno triennale: non arte-evento, appunto, ma arte come ricerca di senso e costruzione di consapevolezze
In periodi di incertezza, di crisi, di caduta di ogni punto di riferimento, avere un sistema estetico, un’idea del bello aiuta a dare finalità a qualsiasi progetto. Come comunicare questa predisposizione?
In periodi di crisi, appunto, anche i canoni estetici sono in trasformazione. Vale la pena lavorare pure in questo caso sulla ricerca, sulla discussione, sulla re-interpretazione della nostra memoria del bello. Processo aperto. Con un punto fermo, che ci sta molto a cuore: il senso del bello ha anche una sua forte dimensione morale. Proprio nell’età delle incertezze, etica ed estetica vanno rilette in stretta relazione. E le responsabilità dell’artista, dell’uomo di cultura e, dunque, anche dell’uomo d’impresa vanno considerate lungo lo stesso percorso di senso per ridefinire contenuti, forme, confini e prospettive di un miglior equilibrio della nostra convivenza. Un vero e proprio discorso sui valori.
Ginevra Bria
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