Tutte le novità del MAD – Murate Art District di Firenze in un’intervista a Valentina Gensini
Presentato il progetto di re-naming e re-branding del centro di arte contemporanea delle Murate, che nel 2018 ha registrato un significativo balzo in avanti in termini di presenze: l’incremento di pubblico rispetto all’anno precedente è stato +74%.
Le Murate Progetti Arte Contemporanea diventa MAD. Un nuovo nome, un nuovo inizio e una rinnovata energia. Perché?
Abbiamo avviato il processo di re-naming e re-branding per una ragione molto forte: la precedente denominazione – Le Murate. Progetti Arte Contemporanea -, decisa nel 2014, non era più corrispondente all’ amministrazione e alla direzione cultura attuai. Non ci rappresentava più, perché il progetto nel frattempo è enormemente cresciuto. Il nuovo nome genera un racconto coerente con quello che siamo diventati. L’inglese attesta il respiro pienamente internazionale del nostro distretto, che è davvero tale in quanto, oltre alla produzione di arte contemporanea, la cultura qui è presente in tutte le sue declinazioni.
Facciamo un passo indietro: cosa è avvenuto negli ultimi mesi?
Nel 2018 siamo cresciuti del +74% a livello di pubblico rispetto al 2017, conseguendo la miglior performance fiorentina; siamo quasi arrivati a raddoppiare le presenze. Quest’anno il trend è ancora in crescita. A ottobre abbiamo già superato il pubblico dello scorso anno. E sul fronte degli artisti? Nel 2018 abbiamo avuto complessivamente 500 artisti in residenza; nel 2019, al 30 ottobre, abbiamo raggiunto quota 600. Metà di questi artisti sono senior: arrivano per produrre lavori, proporre workshop per giovani artisti locali o inviati da istituzioni straniere partner. I restanti sono artisti junior, in formazione. Sono numeri importanti, a dimostrazione di uno spazio votato alla produzione e alla residenza.
Quali sono gli obiettivi per il prossimo futuro?
MAD si configura, sempre di più, come uno spazio di riferimento per le residenze, modalità altra di produzione che prevede l’abitare uno spazio, il portare la propria energia al suo interno, il conoscere l’ambiente e la comunità che gli ruota attorno. Crediamo che conduca verso una ricerca profonda e autenticamente site-specific. Inoltre presuppone la produzione, che è tutt’altro rispetto all’evento e alle mostre, di cui ormai c’è un’offerta obsoleta nel panorama italiano. Ritornare al tema della responsabilità della committenza pubblica sia un aspetto molto interessante, oltre che di grande attualità.
La mostra “Florentine Voices” di Piero Mottola avvia il nuovo corso. Cosa puoi raccontarci del progetto?
Abbiamo al nostro fianco Comune e Regione, promotori di una committenza attenta; entrambi si interrogano insieme a noi sul proprio ruolo di committente pubblico. Piero Mottola ha trascorso alle Murate molte settimane in primavera e, ora, di nuovo oltre un mese. Ha lavorato con i cittadini, con i giovani in formazione, con gli studenti del Conservatorio e dell’Accademia. Ha prodotto un lavoro inedito, che si colloca nell’ambito di un progetto internazionale in corso da anni – Voices -, che restituisce ritratti inediti delle comunità locali. Dopo Cuba e la Cina, è approdato a Firenze.
Qual è il risultato del suo percorso in città?
È un ritratto sonoro-emotivo di Firenze, non ristretto ai soli fiorentini e non vernacolare. Le voci raccolte qui a Firenze sono infatti di milanesi, romani, cinesi, iraniani e di molti altri ancora, a testimonianza dell’internazionalità della comunità fiorentina. È un ritratto spontaneo, esito di due call pubbliche – rispettivamente rivolte a studenti dell’Accademia e del Conservatorio e a comuni cittadini. Li abbiamo invitati a partecipare a un duplice esperimento: la registrazione delle voci e la performance, che ha tenuto a battesimo MAD.
Cosa vedremo in mostra?
La medesima composizione proposta durante la performance è alla base di un algoritmo che genera un’installazione sonora, continuamente mutevole, collocata al primo piano del complesso, nella Sala Anna Banti. In mostra, inoltre, avremo una partitura visiva, che traduce con il colore le frequenze sonore, e una serie di lavori storici che attestano come l’artista, fin dagli anni Ottanta, si sia interessato all’arte relazionale e partecipativa, invitando il pubblico a prendere parte al processo artistico.
Com’è cambiata, dal tuo arrivo ad oggi, la percezione de Le Murate? Quali feedback registri da cittadinanza e visitatori?
MAD si pone come centro per la cittadinanza. Noi produciamo con e per gli addetti ai lavori, ma anche per tutti i cittadini. C’è un consolidamento sempre più forte dell’identità di questo luogo e un rafforzamento dell’interdisciplinarietà: da noi c’è una reale contaminazione, con un concreto scambio tra i diversi pubblici. Gli scambi internazionali sono diventati più fitti e intensi.
Tutto questo come si riflette nel programma espositivo?
Le mostre, forse più episodiche negli anni passati, ora sono costruite su format che, come è avvenuto nel primo semestre dello scorso anno, indagano il contemporaneo nei grandi temi: dal postcoloniale alle identità globali, fino a questioni di genere. Abbiamo lavorato con l’Africa, con il Medio Oriente, con la Cina, sviluppando una interlocuzione internazionale sempre più ampia. Dall’altra parte prosegue, con sempre maggiore approfondimento, il lavoro sull’arte pubblica, a partire dal Progetto Riva.
Verso il 2020: qualche anticipazione?
Avremo un’importante mostra dedicata proprio al Progetto Riva, nella quale racconteremo come l’arte può cambiare la sensibilità dei cittadini rispetto a temi come quello del paesaggio, del dissesto idrogeologico e della riappropriazione di elementi costitutivi come il fiume. Il primo semestre del prossimo anno sarà dedicato a grandi mostre internazionali. Intanto, in anteprima, posso annunciare che il 28 novembre 2019 ospiteremo un convegno interamente dedicato alla residenza d’artista.
-Valentina Silvestrini
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