Il secondo principio di un artista chiamato Banksy
La mostra per Palazzo Ducale è un imponente evento espositivo che riunisce oltre 100 pezzi originali dell’artista britannico. Ci sono i dipinti a mano libera del primissimo periodo, esito della scoperta di Blek le Rat e del suo uso dello stencil. Ci sono le serigrafie che Banksy considera artigianato seriale per diffondere i suoi messaggi. Ci sono oggetti installativi, esito dell’incontro con artisti come Brad Downey, e altri oggetti provenienti da Dismaland (come la scultura Mickey Snake con Topolino inghiottito da un pitone). E poi ci sono diversi pezzi numerati, sia artigianali che industriali, molti certificati e altri attribuiti, che ci raccontano di un artista senza confini linguistici e sperimentali
Comunicato stampa
Nessuno lo ha mai visto, nessuno conosce il suo viso, non circolano foto che lo mostrino: eppure BANKSY conquista il mondo attraverso opere di inaudita potenza etica, evocativa e tematica. Originario di Bristol, nato intorno al 1974, inquadrato nei confini generici della Street Art, Banksy rappresenta un esemplare caso di popolarità per un artista vivente dai tempi di Andy Warhol. Ad oggi possiamo considerarlo il più grande artista globale del nuovo millennio.
La mostra per Palazzo Ducale è un imponente evento espositivo che riunisce oltre 100 pezzi originali dell’artista britannico. Ci sono i dipinti a mano libera del primissimo periodo, esito della scoperta di Blek le Rat e del suo uso dello stencil. Ci sono le serigrafie che Banksy considera artigianato seriale per diffondere i suoi messaggi. Ci sono oggetti installativi, esito dell’incontro con artisti come Brad Downey, e altri oggetti provenienti da Dismaland (come la scultura Mickey Snake con Topolino inghiottito da un pitone). E poi ci sono diversi pezzi numerati, sia artigianali che industriali, molti certificati e altri attribuiti, che ci raccontano di un artista senza confini linguistici e sperimentali.
Marziani e Antonelli: Banksy mette in discussione concetti come l’unicità, l’originalità, l’autorialità e soprattutto la verità dell’opera, tratteggiando una nuova visione che propone qualcosa di nuovo sulla relazione tra opera e mercato, istituendo di fatto un nuovo statuto dell’opera arte, una nuova verità dell’arte stessa, ovvero, l’opera originale non commerciabile.
Tra il 2002 e il 2009 Banksy pubblica 46 immagini su carta che vende tramite la sua “print house” Pictures On Walls in Commercial Rd. (Londra). Si tratta di serigrafie che riproducono alcuni tra i suoi famosi interventi stradali, documentando
opere che sono diventate “affreschi popolari” ma che spesso sono state rimosse, rubate o consumate dal tempo. Oltre trenta serigrafie originali sono state selezionate dai curatori per la mostra genovese, un percorso di approfondimento che prevede ricche schede testuali, affinché il pubblico possa scoprire l’artista nelle sue molteplici angolazioni.
Banksy preferisce da sempre la diffusione orizzontale di immagini rispetto alla creazione di oggetti unici. Una lezione mutuata da Andy Warhol con il suo approccio seriale e l’uso metodico della serigrafia. A conferma di un legame quasi ereditario ci fu, nel 2007, la mostra londinese “Warhol vs Banksy” al The Hospital in Covent Garden, prodotta dallo stesso Banksy. Come è stato ribadito da molte firme internazionali, Banksy rappresenta la miglior evoluzione della Pop Art originaria, l’unico che ha connesso le radici del Pop, la cultura hip hop, il graffitismo anni Ottanta e i nuovi approcci del tempo digitale.
Gianluca Marziani: Banksy supera la stessa arte che finora abbiamo conosciuto. Ne riformula regole, usi e costumi, ricreando una filiera che elimina gli imbuti produttivi del modello tradizionale. Banksy usa strumenti e materiali che tutti conosciamo, senza perdere aderenza con oggetti fisici e tangibili, con forme semplici e quasi banali, con un mondo lo-fi privo di utopie fantasy. Lo capiscono tutti in quanto usa la grammatica degli oggetti e la sintassi delle storie condivise. Si alimenta di cronaca e realtà, ribaltando storie che toccano l’umanità intera. Non esiste pratica esoterica nel suo sistema visuale, nessuna difficoltà di approccio superficiale, tutto risulta leggibile e impattante, nello stesso modo con cui la Pop Art si definiva attraverso il close-up sugli oggetti commerciali. Sotto la superficie si nasconde la complessità eterogenea, un intreccio di possibili letture che indirizza il progetto su varie piattaforme analitiche. La sua forza sta nell’aver capito che in un mondo digitale come il nostro, l’arte doveva fermarsi un attimo prima della sua digitalizzazione, nascendo solida per poi diventare liquida. Un’arte facile in apparenza ma complessa oltre l’apparire, ovvia eppure controversa, empatica per attitudine e cattiva per natura.
Quello di Banksy è un immaginario semplice ma non elementare, perfetto per tempi e modi di produzione, confezionato per la comunicazione di massa: un nucleo di messaggi immediati che, affrontando i temi del capitalismo, della guerra, del controllo sociale e della libertà in senso esteso, mette in scena i paradossi del nostro tempo. Per la prima volta una mostra esamina le immagini di Banksy all’interno di un quadro semantico che ne veicoli origini, riferimenti, relazioni tra gli elementi e piani di pertinenza. A completamento del percorso espositivo, il pubblico avrà a disposizione alcune mappe grafiche che raccorderanno informazioni, tracce, depistaggi, operazioni nascoste. Ci sarà anche un’utile infografica sulla cronologia dell’artista, oltre ai 3 black books, diversi poster da collezione, le banconote Banksy of England, alcune
t-shirt rarissime, le copertine di vinile e una selezione di video.
Per l’occasione verrà editato un importante catalogo in cui saranno raccolte tutte le opere della mostra. Il volume sarà corredato dai saggi critici di Gianluca Marziani, Stefano Antonelli e Acoris Andipa.
Stefano Antonelli a proposito del titolo: Banksy ha scritto che “Se vuoi dire qualcosa e vuoi che la gente ti ascolti, allora indossa una maschera. Se vuoi dire la verità devi mentire”. In seguito disse anche “Non saprete mai chi sono e ogni verità che dirò sarà mascherata da bugia”. Traslando le due affermazioni, il primo principio di Banksy stabilisce che egli abbia qualcosa da dire, il secondo che quanto ha da dire sia una verità. Avere qualcosa da dire è il mandato artistico per definizione, che si tratti di verità non è affatto scontato. Secondo Hegel la religione ci offre la verità come rappresentazione, la filosofia come forma suprema del concetto, l’arte come forma del sensibile. Attraverso questa prospettiva possiamo sostenere come l’opera di Banksy sia una verità che egli somministra ai nostri sensi, affinché possiamo percepirla. Ora, non ci resta che comprendere di quale verità si tratti. Tuttavia, il secondo principio ci suggerisce che l’artista presenta le verità sotto forma di menzogna. E qui la contraddizione diventa irrisolvibile, finché ci accorgiamo che il cortocircuito lo rende uno degli artisti più veritieri e profondi del nostro tempo.