Il film su Frida Kahlo al Torino Film Festival. L’intervista al regista Giovanni Troilo
In sala con Nexo Digital fino al 27 novembre 2019 un altro sguardo su Frida Kahlo, una delle artiste più amate di tutti i tempi. Frida viva la vida racconta di una donna alla continua ricerca della libertà, che ha amato e sofferto tanto. E c’è anche Asia Argento, dopo il #MeToo.
Libera. È la parola che meglio si addice a Frida Kahlo, l’artista messicana che ha fatto perdere la testa a tutto il mondo. Impossibile non immergersi nella sua vita, nell’arte, nei suoi colori. Colori dettati dalla voglia di libertà. Una voglia gigantesca, tanto da andare oltre il dolore fisico. Il regista Giovanni Troilo presenta al 37esimo Torino Film Festival un documentario a lei dedicato, Frida viva la vida. In questo racconto ci sono delle voci nuovi che la ricordano e che ripercorrono la storia dell’artista e tra queste quella della nipote Cristina. La voce fuori campo che accompagna i sei capitoli del film è dell’attrice Asia Argento. Per lei Frida Kahlo è un simbolo, una icona. Qualcuno potrebbe storcere il naso pensando “ancora un racconto su Frida”! E Frida viva la vidanon è un racconto nuovo, né tantomeno rivelatore ma ha una grande forza: mostrare gli spazi di Frida, quelli in cui ha vissuto e quelli in cui ha trovato rifugio e ispirazione. Ne abbiamo parlato con il regista.
Come mai Frida?
All’inizio di questo viaggio, quando mi è stato proposto di fare un film su Frida Kahlo avevo tante paure: un’artista così popolare, su di lei si è detto tantissimo. Ci siamo interrogati a lungo su come provare a dare un punto di vista nuovo. In realtà poi tutto è venuto naturale…. Frida è un’artista che continua a essere attuale, sembra risorgere ogni volta, portando una forza diversa al pubblico. Noi abbiamo scelto di raccontare insieme alla sua arte anche il grande dolore che ha vissuto. Due anime di Frida, strettamente connesse le une con le altre.
I luoghi di Frida Kahlo sono predominanti in questo racconto…
Abbiamo girato parecchio e gli spazi in cui ha vissuto Frida sono stati importantissimi. Pensando a un film che dovesse essere destinato al cinema abbiamo girato pensando a un racconto immersivo. Abbiamo raccontato tanto Città del Messico, Coyoacán, Casa Azul… qui abbiamo avuto un accesso straordinario. Ma anche altri luoghi che Frida ha visitato, come Teotihuacan o diversi che non ha visto ma ha raccontato e resi iconici attraverso l’uso dell’immaginario. Tehuantepec e la società matriarcale sono diventati icona delle sue rappresentazioni, per esempio. Non tutti lo sanno ma è qui che è nata la Frida che vediamo nella maggior parte dei dipinti. È una società matriarcale che indossa anche abiti bellissimi e che esiste ancora.
Quale è stato lo sforzo maggiore per non ricadere nel banale?
Provare a dare ai dipinti di Frida, che per scelta estetica sono sempre tridimensionali, sono molto semplici, quella terza dimensione e quel significato profondo che in realtà ha ogni suo quadro. Ogni suo dipinto racconta di lei, ha dettagli della sua vita anche privatissimi che non esita a mettere nella sua arte.
Una domanda che tu fai a una delle intervistate del documentario la faccio a te: è corretto definire Frida è una femminista?
Una delle nostre intervistate a questa domanda ha risposto di no e nessuno di noi si aspettava questa risposta anche perché, peraltro, lei ha impegnato molto del suo lavoro nel racconto della società matriarcale ed è la prima ad avere avuto accesso alla stanza del dolore di Frida Kahlo. Per tutto il resto del documentario e anche con le altre voci cerchiamo una risposta concreta a questa domanda. Frida è femminista, lo è forse prima del tempo. Lancia delle istanze che ancora oggi restano parzialmente insoddisfatte. Basta pensare all’ideale di bellezza che è totalmente anticonformista e che trae origine da sé stessa. Frida si mette a nudo senza veli e senza vergogna mai e per questo costruisce un tipo di bellezza che è imperituro e che incoraggia tutti, uomini e donne, a fare lo stesso.
La voce off di questo documentario è un’altra anima ribelle, Asia Argento. Una voce fuori campo che noi però vediamo. Perché questa scelta?
L’idea di mostrare il narratore della voce fuori campo è proprio nel costrutto del documentario. Mai come in questo caso si tratta di un lavoro collettivo dove tutte le voci delle narratrici, esclusa qualche eccezione, ci mostrano un lato in particolare di Frida. La voce e il volto di Asia arrivano soprattutto all’inizio e alla fine del film come a presentarci una favola reale. Arriva a prendersi carico di tutto il dolore di questa donna… Asia lo fa benissimo, e non è un caso. Asia è profondamente legata a Frida e subito ha deciso di abbracciare il progetto, perché Frida, oltre a essere una grandissima artista, rappresenta un punto di riferimento importante per la sua vita.
– Margherita Bordino
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