Giuseppe Tubi – Antologica delle mostre irrealizzate 2008-2018
L’esposizione è concepita come un’antologica composta da quattro mostre, rimaste sin qui irrealizzate, progettate nel corso degli ultimi dieci anni da Giuseppe Tubi.
Comunicato stampa
La Galleria Mascherino è lieta di annunciare l’inaugurazione venerdì 29 novembre 2019 della mostra Giuseppe Tubi: antologica delle mostre irrealizzate 2008-2018.
L’esposizione è concepita come un’antologica composta da quattro mostre, rimaste sin qui irrealizzate, progettate nel corso degli ultimi dieci anni da Giuseppe Tubi. Dal 1992 l’artista cela la sua identità dietro uno pseudonimo, al fine di mettere in crisi la nozione di autore e testare le ricadute sul piano estetico e sociale legate alla scelta di agire nel contesto dell’arte da una posizione laterale, situata sulla soglia tra presenza e assenza. L’obiettivo dichiarato è quello di porre in discussione ruoli e processi del sistema dell’arte, nella consapevolezza che le regole di quest’ultimo non soltanto riflettano quelle del capitalismo, ma per certi aspetti ne esasperino le dinamiche e ne anticipino gli sviluppi.
Con questa mostra Tubi torna a esporre alla Galleria Mascherino di Roma, riallacciando un sodalizio professionale avviato con la sua prima personale tenuta in questa sede nel 1996, e proseguito negli anni Duemila.
In mostra Giuseppe Tubi presenta quattro cicli di opere che, sebbene non siano stricto sensu nuove, perché realizzate nell’arco degli ultimi dieci anni, vengono qui raccolte ed esposte insieme per la prima volta secondo il modello consolidato della mostra antologica, ritenuto ancora oggi decisivo per istituzionalizzare il lavoro di un artista e favorirne l’ingresso nel canone della storia dell’arte. Per tale ragione Tubi, interessato sin dall’esordio a indagare i meccanismi che governano il circuito dell’arte, in questa esposizione intende ridefinire i parametri stessi della mostra antologica, dove tradizionalmente vengono selezionate le opere ritenute più significative nel percorso di un autore, proponendo invece quattro nuclei di opere inedite, quindi non storicizzate, realizzate per altrettante mostre personali rimaste allo stadio progettuale. L’artista simula dunque una storia espositiva mai avvenuta, o meglio, avvenuta soltanto nella forma potenziale del progetto, il cui statuto è per natura provvisorio e aperto al cambiamento. Ponendo in questione il modello della mostra antologica e più in generale gli assetti del sistema artistico, Tubi prosegue a lavorare nel solco di un cammino già tracciato da tempo, a partire, come si è detto, dalla scelta di adottare un’identità virtuale, concepita all’epoca in opposizione alla crescente spettacolarizzazione e brandizzazione dell’artista.
Benché, dunque, la mostra sviluppi alcuni concetti chiave dell’opera di Tubi, la sua ricerca appare ora declinata secondo soluzioni diverse sotto il profilo tecnico-formale e ideativo rispetto alla sua più nota produzione di quadri digitali realizzati negli anni Novanta e Duemila.
Il primo ciclo di lavori, pensato per la mostra irrealizzata dal titolo shakespeariano La materia di cui sono fatti i sogni, è composto da due diverse serie di opere monocrome strettamente legate tra loro: la prima è formata da quadri di colore argento attraversati da bande verticali, in riferimento alle zip painting di Barnett Newman, ma contenenti frammenti di capelli e peli dell’artista, che include così nell’opera il suo DNA, potenzialmente rivelatore della sua identità nascosta, dando a queste opere il valore di un autoritratto. La superficie dipinta d’argento è trattata seguendo le tecniche della fotografia delle origini e, se esposta ai vapori di mercurio come le lastre specchianti degli antichi dagherrotipi, dovrebbe, secondo le intenzioni dell’artista, fare emergere il suo ritratto fotografico. La seconda serie è invece composta da quadri monocromi realizzati con lacerti di pellicce appartenute alla madre e alla nonna dell’artista: con la loro qualità tattile le pellicce sembrano trattenere la memoria tangibile di chi le ha indossate, evocando il ricordo del contatto fisico vissuto nell’infanzia dall’artista. Si tratta dunque, in entrambi i casi, di opere di natura autobiografica, legate al ricordo e alla sfera personale, che alla luce della sparizione dell’artista (di cui non si conoscono età, generalità e sesso) assumono un carattere ambiguo e paradossale.
La seconda mostra irrealizzata, dal titolo Remake Remodel - Women in Revolt, comprende l’opera A Collection of Male Inducted Stereotypes: raccolta di cartoline 3d a soggetto erotico, risalenti agli anni Settanta, che compongono un campionario di immagini in cui il corpo della donna è rappresentato come feticcio pronto al consumo. Donne di paesi ed etnie diversi vengono ritratte in pose stereotipate, frutto dello sguardo maschilista e colonialista che permea la cultura visiva dell’Occidente tardocapitalista. Per la stessa mostra era pensato anche il trittico Tribute to LGBTQ Pioneers, basato sull’ingrandimento di cartoline fotografiche degli anni Venti, realizzate con l’uso di finti fondali, all’epoca molto diffusi nelle fiere popolari. In questo caso Tubi presenta immagini dove sono le donne a scegliere le modalità con cui ritrarsi, in coppia e in abiti maschili, sfidando modelli di rappresentazione canonici e soprattutto facendosi interpreti di nuove identità che sfuggono e confliggono con i ruoli dominanti del sistema eteronormativo. A questo corpus di lavori appartiene anche l’ingrandimento di un’altra fotografia trouvée, realizzata anch’essa in una fiera popolare, dove compare una donna che, colpendo con un fucile un bersaglio collegato a un otturatore fotografico, si ritrae nell’atto di sparare con al suo fianco un uomo, presumibilmente il compagno. L’immagine originaria era piegata in modo da nascondere la presenza maschile, come se la donna se ne fosse voluta liberare, azzerandola: la fotografia si trasforma così in una sorta di autoritratto della donna che assume un alto valore simbolico.
La terza esposizione irrealizzata, progettata nel 2008 con il titolo Paesaggi, comprende una selezione di quadri digitali, parte della sperimentazione più conosciuta di Tubi degli anni Novanta e Duemila. Le opere in mostra ruotano tutte intorno a temi legati al conflitto e alle trasformazioni geopolitiche: dai flussi migratori in Human Migration, alle trasformazioni climatiche in Desert Snow, dal conflitto israelo-palestinese in Betlemme Landscape, alle odierne forme di controllo in Air Control. Il contenuto politico, tuttavia, non è espresso in modo esplicito, le immagini si aprono a letture ambivalenti, perché sono modellate sugli schemi formali della comunicazione mediatica o della tradizione pittorica: in Betlemme Landscape, ad esempio, la scena è rappresentata secondo una rilettura moderna dei canoni idealizzanti della pittura romantica di paesaggio. Una modalità, questa, che solleva interrogativi di ordine etico ed estetico: può “il dolore degli altri” essere raccontato seguendo i canoni del bello? Bellezza e atrocità sono termini antitetici?
Conclude il percorso espositivo la serie di opere progettate per la quarta mostra irrealizzata dal titolo Autografo ma non autentico, in cui Tubi, riprendendo una soluzione già usata nei primi anni Novanta in opere come Terrorist.txt o Virus.txt, compila un elenco di espressioni e lemmi riferiti al mercato dell’arte, riconducibili allo stesso campo semantico dell’autenticità, nozione ritenuta un valore indispensabile per decretare la fortuna critica di un’opera e soprattutto la sua valorizzazione in termini culturali ed economici. La serie ha una gestazione lunga: iniziata nel 1994, come omaggio ad Alighiero Boetti appena scomparso, è stata più volte rielaborata nel corso del tempo ed è presentata qui nella sua veste definitiva. Il progetto si presenta come una tassonomia che critica l’eccesso di tecnicismi e i paradossi del linguaggio burocratico diffusi nel mercato dell’arte e soprattutto riflette sullo statuto ambiguo del limite tra vero e falso.
Giuseppe Tubi è uno dei pionieri della computer art, nel 1996 realizza la prima personale di quadri eseguiti interamente al computer (Galleria Mascherino, Roma). Sue personali si sono tenute presso la Fondazione Idis (Napoli 1999), MAN (Nuoro 2000), Palazzo Florio (Udine 2000), Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea (Roma 2001), Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma La Sapienza (Roma 2006). Suoi lavori sono stati esposti, tra l’altro, al Trevi Flash Art Museum (Trevi 1997), MIFAV Università Tor Vergata (Roma 1997), MUSLAB (Roma 1998), Galleria Nazionale d’Arte Moderna (Roma 1999), ex-Mattatoio (Roma 1999), Palazzo Bonoris (Brescia 2000), Palazzo dei Diamanti (Ferrara 2001), Centro per le Arti Contemporanee (Pesaro 2001), Cartiere Vannucci (Milano 2002), Temple University (Roma 2002), Palazzo Trinci (Foligno 2002), Palazzo delle Papesse (Siena 2003), Museo Revoltella (Trieste 2005). Monografie sulla sua opera sono state pubblicate nel 1996 (DeriveApprodi), nel 1999 (Castelvecchi) e nel 2000 in occasione della prima personale a New York (Castelvecchi).