Abbiamo ancora bisogno dei musei? L’editoriale di Stefano Monti
Accorpare i musei “minori” sparsi per la nostra penisola potrebbe essere un mezzo per rilanciare i musei pubblici e destinare risorse più cospicue alle mostre.
Negli ultimi vent’anni, le amministrazioni di tutto il mondo hanno investito ingenti risorse economiche per la costruzione di musei. Nel nostro Paese, questo trend è stato meno evidente a causa della già significativa distribuzione degli istituti museali su tutto il territorio nazionale, ma i numeri sono stati comunque significativi.
Oggi, ogni capoluogo di provincia ha almeno un museo (civico, archeologico e così via) che spesso rappresenta, dal punto di vista economico e culturale, una perdita secca per la collettività. Nel frattempo, a livello internazionale, le “mostre” acquisiscono un valore crescente (in termini di interesse da parte del pubblico e di ritorni economici). Una valida possibilità di sviluppo potrebbe essere, quindi, quella di “accorpare” i musei “minori” al fine di ricavare spazi da utilizzare per un’economia delle mostre che, si badi bene, oltre a generare benefici economici per la collettività, riuscirebbe ad attirare maggiormente l’attenzione dei cittadini.
I vantaggi di una tale strategia sarebbero evidenti: in primo luogo si andrebbero a ridurre i costi strutturali del mantenimento dei musei pubblici (siano essi comunali, regionali, statali). In secondo luogo, si potrebbero creare degli spazi destinati esclusivamente alla circuitazione di mostre. Quest’ultimo punto non è affatto da sottovalutare in quanto, oltre a garantire una programmazione più ricca e culturalmente più attrattiva per il territorio, un maggiore numero di spazi destinati esclusivamente al comparto “mostre” aumenterebbe anche le condizioni di distribuzione delle produzioni nazionali.
“Ridurre il numero dei musei? Sarebbe un bene per la spesa pubblica”.
In altre parole, avviare un processo mirato a ridurre gli istituti museali che, di fatto, non riescono a fornire una proposta culturale in grado di generare interesse (e, quindi, in grado di diffondere cultura e conoscenza), da un lato andrebbe a rendere più efficiente l’allocazione della spesa pubblica in cultura, dall’altro aumenterebbe i canali distributivi (sul fronte del marketing mix) per quei soggetti (profit e non profit) che producono mostre, con un aumento dell’offerta culturale del territorio e un tendenziale incremento dei ricavi e dei consumi culturali dei cittadini. Una maggiore economia che favorirebbe anche gli stessi musei destinati a essere accorpati: la produzione di mostre potrebbe, in questo senso, rappresentare anche uno stimolo a individuare un “prodotto culturale” più coerente con le esigenze dei cittadini.
Non da ultimo, la previsione di uno spazio esclusivamente destinato alle mostre temporanee andrebbe a tutelare l’identità degli istituti museali che, spesso, per poter generare un maggiore flusso di visitatori, finiscono con il divenire un mero contenitore di prodotti culturali non sempre coerenti con la raccolta permanente esposta.
Una situazione positiva su tutti i versanti, quindi. Ma che richiede il coraggio di mettere in discussione l’essenzialità di ciascuno dei musei attualmente presenti sul territorio. Un’utopia.
‒ Stefano Monti
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #18
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati