Infrastrutture, architettura, paesaggio. Parola a Stefano Boeri
In concomitanza con l’inaugurazione della stazione di Matera Centrale, l’architetto Stefano Boeri racconta questo progetto e le prossime sfide della Triennale di Milano. Con uno sguardo alle urgenze del territorio italiano.
Matera claustrofobica nei Sassi, e Matera panoramica sull’orrido della gravina; Matera preistorica, terzo luogo più antico nel mondo a essere stato abitato dall’uomo senza interruzione, e Matera patria della modernità alternativa (e mai decollata) ipotizzata dall’esperimento urbanistico del quartiere La Martella; Matera vergogna dell’Italia del Dopoguerra e Matera celebrata Capitale Europea della Cultura 2019. Sul capoluogo lucano si sprecano tanto le ricostruzioni storiche altisonanti, quanto i particolarissimi aneddoti sulla vita nei Sassi, descrizioni affettuose e tragiche di costumi e usanze ancestrali, sopravvissute fino alla seconda metà del XX secolo.
VICINA E LONTANA
Ma Matera non è, non deve essere solo un’eccezione. Matera è anche una città media del Mezzogiorno che deve integrarsi, culturalmente e praticamente, nell’“ordinaria amministrazione” del territorio italiano. Innanzitutto superando il suo drammatico isolamento infrastrutturale, troppo penalizzante per i suoi abitanti, e inspiegabile anche alla luce dell’importante flusso turistico che la investe quotidianamente. Vicina e lontana da tre mari nazionali che hanno distribuito benessere e ricchezze sulle loro coste, Matera è un insediamento dell’entroterra al quale si stanno avvicinando faticosamente due reti ferroviarie: quella delle Ferrovie dello Stato, in provenienza dal Tirreno, che concluderà entro il 2024 il raccordo con Ferrandina (l’attuale arrivo dei viaggiatori su rotaia, che proseguono poi con una navetta); e quella delle FAL – Ferrovie Appulo Lucane, società che sta potenziando la linea in partenza da Bari per diminuire di circa 40 minuti i tempi di percorrenza verso la città pugliese (e il suo aeroporto).
LA NUOVA STAZIONE DI MATERA CENTRALE
La rinnovata stazione di Matera Centrale, progettata da Stefano Boeri Architetti e inaugurata lo scorso 13 novembre, è l’architettura con cui FAL ha scelto di rappresentare quello che si spera essere un nuovo inizio del trasporto ferroviario da e per la città. Un edificio corretto (non soffre di patologie molto comuni come l’ipertrofia o il cattivo gusto scultoreo) e che risponde ai migliori standard contemporanei in materia di sostenibilità energetica. Proprio questa generale misura, che non è contraddetta dall’ampia tettoia sospesa a 12 metri di altezza, è la sua principale qualità: Matera dispone oggi di una stazione nuova di zecca, che nega la sua condizione di municipalità “a statuto speciale” e la allinea alla realtà di altre città italiane ed europee di simili dimensioni.
L’INTERVISTA
La stazione è ormai aperta al pubblico, ma la linea che l’attraversa impiega ancora più di un’ora e mezza per raggiungere Bari. Quali sono le prospettive di crescita di questa infrastruttura?
La storia delle ferrovie è fatta di stazioni e manufatti di diverso tipo, calibrati su flussi maggiori rispetto a quelli registrabili al momento della loro inaugurazione. In questo caso, poi, la prospettiva di potenziamento è realmente sul breve termine: nei prossimi mesi FAL completerà il raddoppio della linea in corrispondenza di tutte le stazioni di sosta, riducendo i tempi di percorrenza a un’ora soltanto e rendendo così il trasporto ferroviario decisamente competitivo rispetto a quello su gomma.
Descrivi la tua stazione anche come un “luogo pubblico costituito da due vuoti”. Cosa intendi?
Il primo vuoto si trova al livello dei binari. Abbiamo ricavato un’apertura di quasi 500 metri quadrati nella pavimentazione della piazza per portare luce e aerazione naturale sulle banchine. L’altro vuoto, invece, è la stessa piazza della Visitazione, che ha un posizionamento strategico all’interno di Matera, al confine tra la città ottocentesca e i quartieri del secondo Dopoguerra, di cui fanno parte anche i due edifici brutalisti del tribunale e del municipio, poco conosciuti ma interessanti. Le dimensioni di questo grande vuoto urbano, e la prossimità di due edifici in sé piuttosto iconici, mi hanno rafforzato nell’idea che si dovesse intervenire con un gesto architettonico importante, pena l’“irrilevanza” della stazione nel suo contesto. È nata così l’idea della pensilina sospesa, che in futuro sarà l’elemento di spicco del grande parco che realizzeremo in questo luogo [Stefano Boeri Architetti ha già presentato il progetto preliminare per il parco, N.d.R].
Rivestimenti in pietra chiara, grandi superfici vetrate, divanetti di pelle in sala d’attesa: come invecchierà questa stazione? Esiste il rischio di una sua eccessiva “fragilità”?
Il mio punto di vista è che la realizzazione di un’opera di qualità, ma in un certo senso “eccessiva” nel suo offrire superfici, volumi, materiali quasi fragili, può tradursi in una maggiore sensibilizzazione dei suoi utilizzatori, che si sentono invitati a una forma di rispetto. Un esempio classico di questo circolo virtuoso sono le stazioni della metropolitana di Napoli (che sono certamente un caso molto diverso dall’edificio in cui ci troviamo): spazi inaspettati e ricchissimi diventano l’oggetto di attenzioni e cure che raramente sono riservate ad altre linee metropolitane, o ad altri luoghi della stessa città.
Si parla di una sinergia tra Milano e Firenze in occasione dell’ArchWeek 2020, che potrebbe svolgersi in concomitanza con l’inaugurazione della Biennale di Venezia. Qual è l’interesse di questa iniziativa?
Al di là della specifica sinergia Milano-Firenze, e al di là della Biennale di Venezia, che resta un evento straordinario, credo sia importante cominciare a riflettere su un mese dell’architettura che funzioni alla scala nazionale e che metta a sistema diversi eventi, istituzioni ed energie presenti sul territorio. Si stanno già facendo alcuni passi in questa direzione: La Triennale di Milano e il MAXXI di Roma, ad esempio, hanno ripensato congiuntamente i propri premi di architettura (rispettivamente la Medaglia d’Oro e il Premio YAP) per farne un unico riconoscimento, il Premio Nazionale di Architettura, che sarà assegnato ogni anno presso un’istituzione diversa.
Concentriamoci proprio sulla Triennale. Come procede il progetto Back to Muzio di riscoperta degli spazi originari del Palazzo dell’Arte immaginati da Giovanni Muzio?
Il Palazzo dell’Arte è un guscio straordinario, che in teoria permette al suo interno un grandissimo livello di flessibilità. Che però è stata compromessa nel corso del tempo da una serie d’interventi, concepiti come temporanei e diventati poi permanenti. L’operazione che stiamo compiendo oggi è sostanzialmente una progressiva “sottrazione”, che abbiamo realizzato ad esempio nella curva al piano terra. Il coronamento dell’intero processo, nelle mie intenzioni, sarebbe la riapertura dell’impluvium, uno spazio davvero unico e altamente rappresentativo dell’architettura di Giovanni Muzio.
Questa mattina [13 novembre 2019, N.d.R.] Matera è stata colpita da un’inondazione eccezionale, per fortuna senza gravi conseguenze. Che riflessioni ti senti di fare su questo ennesimo segnale del dissesto del territorio italiano?
Quest’ultimo evento è esemplare di come tale dissesto non derivi solo da fattori ambientali e climatici, ma anche dall’incapacità di prendersi cura del patrimonio storico ereditato dal passato, infrastrutture incluse. A Matera, ad esempio, anche le precipitazioni più abbondanti erano solitamente assorbite dall’antico sistema di raccolta delle acque, composto da cisterne sotterranee comunicanti, di cui quelle poste più a valle scaricavano direttamente il proprio contenuto nel torrente sul fondo della gravina. È la compromissione di questa infrastruttura sotterranea ad amplificare l’effetto dei temporali più violenti.
I Boschi Verticali, a partire da quello di Milano, sono i tuoi progetti più conosciuti e più discussi. In che modo la proposta di piantare alberi in verticale partecipa alla costruzione di una città e di un territorio più sostenibili?
I Boschi Verticali sono solo un tassello di una più ampia politica di forestazione urbana, che comprende anche la creazione di boschi orbitali, un progetto di verde diffuso sulle coperture degli edifici, l’ampliamento delle aree destinate all’agricoltura urbana, ecc. A loro volta, poi, queste proposte specificamente architettoniche e urbanistiche si devono combinare con una più ampia serie di strategie, tra le quali è cruciale la questione energetica. Sono anni che Jeremy Rifkin parla della possibilità di trasformare gli edifici in piccoli collettori di energie rinnovabili, capaci di distribuirle poi sul territorio. Nel suo piccolo, è quello che fa anche la nuova stazione di Matera Centrale: prevediamo che, in futuro, i 696 pannelli solari posti in copertura della sua pensilina possano fornire energia alla piazza e al parco che la circondano.
‒ Alessandro Benetti
www.stefanoboeriarchitetti.net
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