Italian homes. Monica Bonvicini a Torino
OGR, Torino – fino al 9 febbraio 2020. La serie fotografica “Italian Homes” testimonia l’interesse di Monica Bonvicini verso il tema della domesticità contemporanea.
Due anni fa Monica Bonvicini (Venezia, 1965) comincia a fotografare le facciate di una serie di villette costruite nelle periferie del nord Italia negli Anni Sessanta e Settanta dalla forma identica, per studiare in che modo le case sono state modificate nel corso del tempo. Così è nata la serie Italian Homes (2019), una serie di 34 immagini di architetture molto German style (i riferimenti ai fotografi della scuola di Düsseldorf sono evidenti) che costituisce il punto di partenza della sua prima personale in Italia, As Walls Keep Shifting alle OGR di Torino, curata da Nicola Ricciardi con Samuele Piazza. Il secondo spunto è arrivato a Monica dalla lettura del romanzo di Diane Williams The collected stories of Diane Williams, che riflette sul tema della domesticità contemporanea.
PAROLA ALL’ARTISTA
“Mi sono concentrata sulla tipologia di case più semplici, che si trovano dappertutto nel nostro Paese ma anche all’estero”, spiega l’artista. “Erano case che negli Anni Sessanta erano tutte uguali ma oggi non lo sono più”. Anche il titolo ha a che fare con i muri, in quanto è tratto da una frase del romanzo di Mark Z. Danielewski House of leaves, e riflette sul rapporto tra società e ambiente costruito. Così la Bonvicini ha utilizzato Italian Homes come background della grande installazione che occupa la metà del Binario 1 delle OGR, illuminata da luci teatrali in modo da creare un ideale palcoscenico per la sua installazione principale: lo scheletro di legno di una tipica casa familiare raffigurata nelle fotografie, che l’artista costruisce per metà. Un telaio architettonico e vuoto, ancora privo di pareti, finestre e porte: una struttura che contiene all’interno l’opera White Out (2019), costituita da una serie di cinture di pelle nera intrecciate come una sorta di tappeto, che viene animato da quattro performer, dei quali si vedono soltanto le estremità che fuoriescono dall’opera, illuminata a giorno da un gruppo di tubi di neon legati insieme.
CASE E SCATTI
“La facciata racconta l’individualità della casa, all’interno non si sa cosa succede”, aggiunge l’artista, che ha inserito all’interno, oltre a White Out, una grande immagine fotografica in bianco e nero di un uomo seminudo, in perfetto stile LGBT. Infine, adagiata sul pavimento davanti alla casa, la scultura Structural Psychodrama#4 (2019) consiste nel calco in cemento di una rampa di scale, legata da una catena ornata di decine di lucchetti, che sembra abbandonata dopo essere stata depositaria di messaggi romantici. Una mostra equilibrata e puntuale, che conferma ancora una volta la capacità della Bonvicini di abitare lo spazio espositivo attraverso la costruzione di un percorso definito e consapevole, che conduce il visitatore a interrogarsi su temi apparentemente banali ma carichi di significati simbolici, senza dimenticare riferimenti alla cultura contemporanea internazionale.
‒ Ludovico Pratesi
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